Su ventisei capoluoghi di provincia, appena in 3 sono state elette prime cittadine. La parità di genere è ancora lontana. Secondo la sindaca di Ancona dal 2013: «Le donne sono ancora schiacciate dal peso della cura familiare»

È un buon giorno per il centrosinistra. Un po’ meno per la parità di genere. Dopo i ballottaggi delle comunali, su 13 capoluoghi di provincia in cui si è votato domenica 26 giugno, in sette sono stati eletti sindaci del centrosinistra, quattro vanno al centrodestra, due alle liste civiche. L’affluenza è calata rispetto al primo turno, poco più del 42 per cento degli aventi diritto è tornato alle urne. Tra i risultati peggiori, però, c’è la mancanza di sindache. Sono solo tre: nel Comune di Piacenza entra Katia Tarasconi, del Pd. A Cuneo, Patrizia Manassero, centrosinistra, a Viterbo Chiara Frontini, centrodestra. E basta. Su 26 capoluoghi in cui, a giugno 2022, si sono svolte le amministrative, soltanto in tre città è stata eletta una sindaca. Valeria Mancinelli, che guida Ancona dal 2013, resta l’unica Prima cittadina di un capoluogo di regione.

 

Non solo l’unica sindaca di un capoluogo di regione ma anche la prima donna a guidare Ancona. Come è stato il percorso per arrivare in cima all’amministrazione cittadina?
«Sono stata eletta per la prima volta durante le amministrative del 2013. Riconfermata nel 2018. Il primo scoglio è stato arrivare a essere candidata. Ci sono riuscita grazie alle primarie del Partito Democratico, perché sono stati gli elettori a scegliermi. Senza il supporto dei cittadini, con il meccanismo tradizionale dei partiti, non sarei arrivata dove sono oggi. Questo per la mia visione politica che rompe con gli schemi consueti. Penso che ci siano poche sindache, elette soprattutto nelle grandi città, perché per una donna è più difficile già arrivare a candidarsi. Perché bisogna avere tempo da investire, la possibilità di accumulare esperienze. Avere a disposizione le risorse necessarie per vincere le elezioni, che sono una competizione. Mentre sulle donne continua a gravare gran parte del lavoro di cura, non solo dei figli ma anche degli altri familiari. E il lavoro domestico. Tutto questo restringe il vivaio da cui possono nascere le campionesse. Il problema, quindi, non sta nell’ultimo quarto di miglio - le votazioni - ma in tutto quello che serve per arrivarci».

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Ci sono molte donne che collaborano con lei alla gestione della città. Si tratta di una scelta consapevole?
«Penso che le donne possano e debbano affermarsi per quello che valgono. Come amministratori, come dirigenti, come persone capaci di condurre una comunità, se e quando lo sono. Ma non perché donne. Il fatto che oltre ad essere competenti e preparate siano anche donne dimostra che, come amministrazione, abbiamo creato le giuste condizioni affinché ogni persona abbia lo spazio che merita».

 

Guida Ancona da quasi dieci anni. É riuscita a costruire una città a misura di donna? In che modo?
«La cosa più importante che può fare una buona sindaca per supportare la parità di genere è garantire l’efficienza della rete di servizi che riguardano la cura della persona e della famiglia, come gli asili nido e le scuole a tempo pieno. In questo modo si lascia il tempo alle donne di impegnarsi in altre attività. Far funzionare i servizi pubblici e essere la costruttrice di un’amministrazione solida, proficua, capace, attenta, sembrano azioni banali ma sono fondamentali per favorire non solo le donne ma tutti i cittadini. Soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Così si riesce a garantire giustizia, tutelare i diritti, generare uguaglianza. A favorire l’integrazione sociale».

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Anche alla luce dei risultati delle amministrative, che pensa del fatto che la politica locale dà così poco spazio alle donne?
«Credo che la strada da percorrere verso la parità di genere, appunto, sia molto lunga. E si vede. Quel vivaio di cui parlavo prima, fatto di donne che hanno le possibilità e il tempo per mettersi in gioco, purtroppo non è ancora abbastanza ampio. Per diventare sindaca è necessario vincere una competizione, democratica ma dura, che necessita di partecipanti allenati. Invece, più si complicano le questioni di carattere sociale e economico, più le famiglie sono in difficoltà, più si abbassano le opportunità delle donne di entrare a far parte del vivaio di professioniste allenate. Poi ci sono le donne che si auto-censurano. Soprattutto a sinistra, per anni, c’è stata l’idea che “potere” fosse sinonimo di “male” e di “corruzione”. Una sciocchezza. Il potere è uno strumento fondamentale per incidere sulla realtà. Se usato bene. Le nuove generazioni sono fuori da questa logica ma hanno il problema della crisi della credibilità politica. Che colpisce tutti, sia uomini, sia donne, e porta i cittadini ad allontanarsi da chi si dedica all’amministrazione delle cose pubbliche».