Elezioni 2022
Tweet, blog e dichiarazioni che un po’ imbarazzano un po’ fanno comodo al mondo di Fratelli d’Italia. Tracce lasciate da due fra gli intellettuali più ascoltati dalla leader di Fdi (l’ex del Cda Rai è l’uomo che sta scrivendo il programma). Da Putin salvatore della Russia a Putin vittima del complotto delle lite. Ma ce ne è anche per Mattarella. Gran finale: la «pelata del Duce»
di Susanna Turco
Ma chi l’ha detto che in Fratelli d’Italia non c’è classe dirigente. Ispirata forse dalla stessa ambivalenza da vedo/non vedo che evidentemente scoraggia in Fratelli d’Italia pubblicazione social di messaggi su Ucraina e la Russia, Giorgia Meloni ha stretti a corte- ne valuta anche la candidatura in Parlamento, in questi caotici giorni di trattative sulle liste – due sopraffini intellettuali, fra gli altri.
Gennaro Sangiuliano, attuale direttore del Tg2, nel cuore sempre il sogno di salire di testata oltre ogni ridotta di destra, ma anche perennemente in predicato di una candidatura, sì come instancabilmente egli si offre (in questi mesi soprattutto) di presentare eventi con tutti i protagonisti della destra, a una settimana di distanza (l’ha fatto con la Versiliana, l’aveva fatto in primavera con le varie convention).
Giampaolo Rossi, archeologo di formazione, assai ascoltato dalla leader di Fdi, ex consigliere di una Rai dove non disdegnerebbe di tornare ma puntando ancora più in alto, ora impegnato nella stesura del programma di Fratelli d’Italia come fece un anno fa per l’indimenticabile aspirante sindaco di Roma Enrico Michetti. «Penso che Putin sia il punto più avanzato che un Paese come la Russia, con il suo bagaglio storico, possa consentirsi in questo momento», ha detto l’uno alla presentazione del suo libro al festival Come il vento nel mare, nell’estate 2019. «Ecco perché bisogna punire la Russia di Putin: per educare il resto del mondo. Guai a chi si oppone ai disegni del nuovo ordine mondiale imposti dall’elite e dai fedeli scudieri che governano le democrazie occidentali», ha scritto l’altro nella primavera 2018.
Due soffici filoputiniani che oggi benissimo s’adatterebbero interpretare gli umori di quella fetta di elettorato che la destra meloniana porta in pancia senza troppi strepiti (tutto fa brodo, del resto).
Sarà per questo che tutt’ora la rete pullula dei loro pensieri. Svolti anni fa. Attualissimi, per certi versi. «Putin ha dato identità, orgoglio, visione e progetto ad un paese che era umiliato e disastrato», spiegava Sangiuliano nel 2018, ai tempi dell’uscita della sua biografia su Putin, “vita di uno zar”. «Ha dato stabilità politica, condizioni di vita migliori, per la prima volta si è creata una classe media e le condizioni di vita sono oggettivamente migliorate», diceva al Tempo il 17 marzo di quell’anno, mentre sui media dominava il caso dell’avvelenamento da Novichok della ex spia russa, naturalizzata britannica, Sergej Skripal. «Putin avrebbe potuto ordinarlo? Ma che interesse poteva avere a far uccidere un signore in pensione (…) il sospetto è che forse Theresa May abbia un interesse politico a cavalcare questa vicenda», diceva Sangiuliano nell’intervista.
Stessa linea esternava, sul suo blog, Giampaolo Rossi, aggiungendo sempre il 17 marzo 2018 che «l’immagine dei soldati di sua maestà che si aggirano con le tute anti-batteriologiche (…) è la perfetta icona di cui il mainstream ha bisogno per spaventare l’opinione pubblica e additare Mosca come un pericolo per l’occidente». Perché, continuava, «Putin paga l’aver combattuto e sconfitto Daesh, l’aver impedito l’abbattimento del regime di Assad (…) Ecco perché bisogna punire la Russia di Putin: per educare il resto del mondo».
Un po’ tranchant? Rossi, «marinettiano» per autodefinizione, non si nasconde dietro le parole. Con Putin e non solo.
Sempre in quella feconda primavera del 2018, non si risparmiò col capo dello Stato Sergio Mattarella, all’epoca impegnato nell’operazione ostetrica di far nascere un governo dalle elezioni del 4 marzo.
Dandogli su twitter del Dracula, come abbiamo raccontato, e praticamente del golpista («con Mattarella siamo ad uno stadio successivo della fine della nostra sovranità: #Napolitano aveva abbattuto un governo legittimo; #Mattarella ha impedito che nascesse. Lo step successivo sarà cancellare definitivamente il parlamento. #euro #golpe).
Bisogna invece risalire ancora indietro per ritrovare Mussolini. Non solo per il «video eccezionale del 1927 di un Mussolini inedito e americano» (29 luglio 2016). Ma soprattutto per la questione del paragone tra Grillo e Mussolini. «Questa storia è insopportabile, il problema è estetico», spiegava Rossi, con il rimando a un post che si può dire definitivo, risalente all’aprile 2013. Il cuore del ragionamento: «Grillo non sarà mai Mussolini per ragioni estetiche. Per esempio: c’è qualcuno che ha il coraggio di paragonare il ditino moralista, gli occhietti socchiusi, la vocina gracchiante di Grillo, ai pugni sui fianchi, lo sguardo allucinato e la voce roboante dell’uomo della Provvidenza? E c’è qualche stilista che potrebbe preferire la polo sgualcita che malcela l’indole borghese, con la virilità della camicia nera che anticipava di settant’anni lo stile Armani? E poi, si possono paragonare le piazze riempite dai volti livorosi e arcigni degli sbandieratori del Che con le adunate gloriose e piene di tricolori e moschetti? (…) e dietro la pelata del Duce c’era una generazione ardita e legionaria plasmata nelle trincee della grande guerra; invece spostando la chioma di Grillo, si incontra una generazione stanca e annoiata, cresciuta su Facebook e che sa a malapena che la bandiera italiana ha tre colori».
Insomma «non c’è paragone: Grillo sta a Mussolini come la foto di Obama che mangia un panino da Mc Donald sta al Napoleone sul cavallo rampante dipinto da Jacques Louis David». Nel frattempo, Grillo è sbiadito tra questioni giudiziarie. Tutti gli altri stanno ancora lì, le «adunate gloriose» non sappiamo.