Bilanci

Il vittimismo di Giorgia Meloni: cronaca di un anno di complotti immaginari

di Susanna Turco   30 ottobre 2023

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Gli appunti online, il disastro stampa di Cutro, i monologhi, i videomessaggi, il post per rompere con Giambruno. Dopo un anno di governo emerge chiara la cifra della comunicazione della premier

Dodici mesi di vittimismo. E un anno dopo siamo ancora fermi al «non». Quello che non siamo. Quelli che non vogliamo. E quegli altri che non ci vogliono. È una fatale circostanza quella che ha portato Giorgia Meloni a lasciare pubblicamente il suo compagno Andrea Giambruno proprio nei giorni in cui cade il suo primo anno di governo. Il benservito via post sui social, con il volto di sua figlia per una volta non nascosto dai pixel, l’annuncio condito di complottismo nel post scriptum, il P.S. in coda come unico dato politico di parole che restano declinate al singolare e scansano qualsiasi occasione per farsi bandiera o percorso collettivo, rappresenta la summa di quanto di più incisivo s’è visto nel primo anno di governo della destra-destra: una certa idea di comunicazione. Vaga. Altalenante. Non strategica ma con elementi ricorrenti, una sua cifra.

 

Il vittimismo, il complottismo. Quello che fa gridare ora alla fatwa contro Mediaset, vietando ospitate alle prime fasce di Fdi. Uno speciale personalismo che porta a una stretta corrispondenza, si vorrebbe dire all’adesione completa, tra privato e pubblico. Un unico grande io, che non fa differenza tra dentro e fuori. Tanto che ormai, basandoci sull’originale, non è impossibile immaginare anche i prossimi possibili siluramenti, a questo punto politici, di Giorgia Meloni. Pensare ad esempio al post che potrebbe accompagnare alla porta il leader della Lega Matteo Salvini, soprattutto se lui continuerà a fare la guerriglia da dentro il governo e se le Europee dovessero ribadire il trend pro Fratelli d’Italia a tutto sfavore del Carroccio che abbiamo visto confermarsi anche domenica scorsa nelle elezioni di Trento e di Bolzano. «La relazione con la Lega di Matteo Salvini finisce qui. Le nostre strade si sono divise da tempo…», eccetera.

 

Immaginarlo per deduzione è possibile perché Meloni in questo anno ha comunicato soprattutto sé stessa. Il suo carattere, la sua tenacia, le sue obiezioni, la sua lotta contro il mondo: della concreta azione di governo resta al contrario ben poco. Basti pensare che fine ha fatto il decreto anti-rave, primo reboante atto del governo che introduceva il nuovo reato (poi modificato) di «invasione per raduni pericolosi». Una norma di assoluta urgenza, della cui applicazione da allora non si hanno notizie. «È il segnale che mi interessa dare», disse Meloni in conferenza stampa, a dicembre 2022.

 

Ecco è il segnale che le interessava dare. Come ha fatto questa estate sulle banche, per il decreto sugli extraprofitti annunciato a mercati aperti, bruciando così in un giorno più di quanto non si sarebbe guadagnato con gli effetti stessi di una norma che poi comunque ci si è rimangiati un mese più tardi, dopo aver fatto infuriare Giorgetti, Tajani, gli osservatori internazionali, e Marina Berlusconi. O come è stato per la norma voluta dal ministro Adolfo Urso per limitare l’aumento dei prezzi dei voli: annuncio, polemiche, correzione, sparizione. Un andamento ormai tipizzabile. Da paradigma: un «complotto» che in realtà è l’autocomplotto di un governo che fa interamente da solo, dalla culla alla tomba.

 

Tutto cominciò un anno fa con l’underdog, «lo sfavorito che per riuscire deve stravolgere tutti i pronostici». Così si disegnò Giorgia Meloni il 25 settembre 2022, nel suo primo discorso in Parlamento per la fiducia, postulando che «non sarà una navigazione facile» «anche per un pregiudizio politico che spesso colgo nelle analisi che ci riguardano», perché «sono la prima donna» che a Palazzo Chigi, «vengo da una storia politica spesso relegata ai margini e non ci arrivo tra le braccia di un contesto familiare favorevole o grazie le amicizie importanti». Ecco la base paradigmatica, l’origine logica della comunicazione a seguire.

 

Non siamo quello che immaginate, non potete figurarvi di cosa siamo capaci, siamo qui per smentire le vostre previsioni: adesso, essendo passato un anno – con un esecutivo più simile al grigiore del governo Rumor che al blu china con pochette dei governi Conte – la premier ha giusto la prudenza di mettere l’accento sul fatto che la legislatura è prevista durare un quinquennio, come a dire che siamo ancora ai titoli di testa, solo per questo si è visto pochino. Si ha adesso l’accortezza di annunciare le misure non in base al risultato che produrranno di per sé, ma in base a ciò che in prospettiva si vorrebbe che producessero. Cioè: sembra indicativo, in realtà è congiuntivo, il modo della possibilità e del desiderio. Ad esempio per gli asili nido: illustrando le misure decise nella legge di Bilancio, Meloni ha detto: «Il nostro obiettivo è dire che al secondo figlio l'asilo nido è gratis». Per il momento infatti l’asilo non diventa affatto gratis, e se qualcuno l’ha scritto ha capito male: la finanziaria aggiunge soltanto 150 milioni di euro in più sul bonus nidi già esistente. L’obiettivo è per l’appunto uno solo, e Meloni l’ha dichiarato. L’obiettivo è «dirlo».

 

E a dirlo Meloni è brava soprattutto nei primi mesi del suo governo, quando è essenziale rassicurare l’Europa e il mondo che l’Italia non è in mano a un manipolo di fascisti. Le conferenze stampa si susseguono a ritmi regolari, con un mix tra l’impostazione concordata delle domande e qualche piccolo fuori programma a dare il brivido dell’imprevisto. L’apoteosi arriva con la conferenza stampa di fine anno: Meloni raggiunge il record di tre ore e 44 domande. All’inizio del mese ha già lanciato «gli appunti di Giorgia»: brevi video su un quadernetto nero con l’elastico dove la premier gigioneggiando sulla propria grafomania scrive le cose importanti che ha fatto e che vuole fare come presidente del Consiglio. Un format insomma: una trovata che però non prende mai piede, non diventa un appuntamento fisso, compare e scompare tra le onde dell’azione dell’esecutivo.

 

Tutto quest’andazzo viene giù di botto, e senza alcun preavviso. Accade il 9 marzo, durante la trasferta a Cutro, 11 giorni dopo la strage in mare costata la vita ad almeno 94 persone. Meloni decide di trasferire là, al comune, il Consiglio dei ministri. La conferenza stampa che segue è un disastro comunicativo, si trasforma in una specie di dimostrazione di incompetenza sulle circostanze del naufragio: la premier sbaglia, si contraddice, si fa sopraffare dalle domande, resta vaga; quando le chiedono perché non sia andata dai parenti delle vittime non sa bene cosa rispondere (li inviterà poi a Palazzo Chigi, diffondendo infine un video muto dell’incontro).

 

È il punto più basso dell’azione di governo: per pura fatalità, è la prima trasferta sul campo di Mario Sechi, il portavoce appena nominato, faticosamente, dopo quattro mesi in cui quel posto è rimasto vacante. «Io un portavoce non lo voglio, perché se poi sbaglia lo uccido», era solita scherzare Giorgia Meloni, in vista della sua ascesa a Palazzo Chigi. Ma ecco, una certa implacabilità nelle decisioni ormai si può intuire anche da lontano: Sechi infatti lascia l’incarico a fine giugno, dopo quattro mesi a Palazzo Chigi (andrà a dirigere Libero). E non sarà rimpiazzato da nessuno, o meglio: lo sarà da una delle due persone di cui Meloni si fida ciecamente, cioè il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari da settembre anche coordinatore della comunicazione del governo. Una scelta che dice la chiusura progressivamente assoluta di Meloni, dentro un fortino in cui contano, sempre di più, sempre meno persone: Fazzolari, la sorella Arianna cui Meloni mette in mano il partito (responsabile del tesseramento e capa della segreteria politica), la storica collaboratrice Giovanna Ianniello, la segretaria factotum Patrizia Scurti.

 

Nel frattempo anche sul piano comunicativo Meloni si allontana sempre di più dal governo, dagli altri, da tutti. La si vede il 25 maggio con gli stivaloni nel fango in Emilia-Romagna, Regione alla quale tuttavia negherà a lungo un commissario per l’alluvione e fino adesso anche i risarcimenti. Cerca di intensificare il suo profilo internazionale, in primis il rapporto con la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen: Meloni la porta in elicottero sopra il fango, a luglio a Tunisi a trattare con il presidente Saied, a settembre a Lampedusa per l’emergenza migranti.

 

Intanto, l’apoteosi dell’involuzione solitaria di Giorgia Meloni è già arrivata. Il 6 giugno, dopo la visita a Saied che precede quella con i vertici europei, la premier si presenta davanti a microfono e leggio con la postura tipica di quando dichiara alla stampa. Coi fogli degli appunti, gli sguardi alla sala. Solo che non ci sono i giornalisti, non c’è nessuno: è un videomessaggio, di quelli che Berlusconi avrebbe registrato alla scrivania con le foto dei figli dietro. Ecco lei lo fa dalla Tunisia, con due portoni di legno alle spalle. Un segno dei tempi. 

 

Meloni in effetti dopo il disastro comunicativo di Cutro tace a lungo. Per mesi, fino a luglio. Non presenta neanche il Def, è la prima volta che accade. Ricompare il 1 maggio, ma non è una conferenza stampa, bensì un’altra novità: illustra il nuovo decreto sul lavoro camminando lungo le sale una dentro l’altra di Palazzo Chigi, come fosse uno spot televisivo, la pubblicità di una polizza assicurativa. Un altro tentativo che resterà un unicum.

 

Quello che non smette invece mai di fare è mostrarsi madre. Che accompagna a scuola. Che fa l’albero di Natale. Che festeggia il compleanno a tema. O che culla nell’aereo presidenziale, come fece a fine luglio divulgando la foto di se stessa con Ginevra in braccio durante il volo di ritorno dagli Stati Uniti. Erano i giorni in cui, seguendo di poco il caso Santanchè, infuriava la polemica per gli sms dell’Inps a chi aveva perso il reddito di cittadinanza, quella immagine contribuì (almeno per i media) a voltare pagina. È uno dei modi con i quali Meloni si riprende le redini della comunicazione: e vale tutto. Quando nell’agosto 2022 scivolò sull’obesità, chiamandola «devianza», ne uscì mostrando a tutti la fotografia di sua madre. Un mese fa, in piena ondata di sbarchi e con la Lega che ci lucrava su, Meloni ha invertito il trend con un video in cui fra l’altro annunciava il potenziamento dei Cpr modello lager. Trucchi efficaci, sull’attimo, per cambiare il verso alla narrazione, soprattutto quando il nemico del momento latita.