Il dossier

Gli "scontenti" partono all'assalto della legge di Bilancio: Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti temono agguati

di Carlo Tecce   13 novembre 2023

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Parte l'iter parlamentare e il governo ha paura delle trappole degli alleati. Dal ruolo del senatore forzista Lotito agli scontri all'interno del ministero dell'Economia. Con il ministro leghista si gioca la faccia con questa Finanziaria

Cos’è questa insolita quiete che avvince la legge di Bilancio. Una specie di indifferenza. Oppure una semplice distrazione. Il testo più complesso e cagionevole, la struttura finanziaria che tiene su (o giù) lo Stato, è stato incardinato col consueto ritardo al Senato e sonnecchia in sala di aspetto di Palazzo Madama prima di affrontare la liturgia parlamentare. Com’è noto il governo materiale, cioè la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, una coppia politica di estrazione diversa che ha una strategia comune, ha ordinato ai partiti di maggioranza, leggasi quel formicaio impazzito che è Forza Italia e altri formicai di ben più ingegnosa architettura, di non intralciare l’approvazione della legge. No, non è una stramba forma di ordine e disciplina: è scarsa fiducia nelle intenzioni altrui.

 

Al governo e in special modo al Tesoro si preparano a respingere la controffensiva di coloro che, per motivi più o meno dicibili, vorranno contestare e ribaltare il testo. È forse pleonastico specificare che non esiste alcun timore (zero) di un’azione di qualche rilievo delle opposizioni, che siano di centro, di sinistra, di centrosinistra. Anzi la loro cacofonia (o afonia) è sempre di aiuto. In commissione Bilancio è scontata, invece, la vivacità politica del vicepresidente Claudio Lotito. Il senatore forzista nonché patron della Lazio, attento ai bisogni del calcio, col compagno di partito Dario Damiani può prendere in ostaggio l’intera maggioranza e trattare vantaggiosi “riscatti” o quantomeno assumere una posizione da protagonista.

 

Per i parlamentari la legge di Bilancio è un momento di risveglio. È la primavera dei sensi. Dunque un evento prevedibile e perciò previsto: con altre scatole di norme – addirittura si è parlato di una “legge mancia” da 300/400 milioni – si potranno soddisfare le pressioni di tutti e le richieste di ciascuno. E peraltro i temi più attinenti ai lobbisti – giochi d’azzardo e sigarette elettroniche – sono marginali in questa legge di Bilancio perché rientrano nella riforma fiscale che sta curando il viceministro Maurizio Leo.

 

Al momento al ministero di Giorgetti, aspettando la reazione di Lotito e colleghi, si ritrovano a negoziare con le associazioni, i sindacati, i medici, i movimenti per il rientro degli studenti all’estero, i presidenti di Regione, pure quelli che invocano l’autonomia differenziata, che reclamano più trasferimenti di denaro. Davvero niente di impegnativo. Però resta una incognita. Questa gigantesca. La collaborazione con la Ragioneria generale dello Stato. Potrebbe muovere dei rilievi tecnici, far vacillare le coperture finanziarie. Accade. È già accaduto.

 

Stavolta al ministero del Tesoro c’è la notoria divergenza tra gli uffici che fanno capo al Ragioniere generale Biagio Mazzotta e il coordinamento legislativo di Daria Perrotta, dirigente molto stimata dal leghista. È improbabile che una tensione costante, ormai usurante, non si rifletta sulla legge di Bilancio. Il governo non ha grosse ambizioni quest’anno, soltanto una premura del ministro: dimostrarsi affidabili, ratificare un bilancio statale rigoroso e coerente con le risorse (e i debiti) del Paese. Per vari fenomeni macroeconomici e geopolitici che non dipendono né dalla presidente Meloni né tantomeno dal ministro Giorgetti, la legge di Bilancio è sintetica e assai esile: circa 24 miliardi di euro (28 incluso il decreto fiscale collegato) per 10 miliardi riduzioni fiscali per i redditi medio-bassi, 4 miliardi per l’accorpamento delle aliquote fiscali, 3 miliardi per il pubblico impiego, 2,5 per il personale sanitario, un miliardo per le famiglie e la natalità, spiccioli per le pensioni e altro che rimozione postuma della Fornero. Niente di particolarmente attraente per gli elettori e niente di particolarmente incisivo per le sorti d’Italia.

 

Va ricordato il contesto, come spiega la stessa relazione allegata al disegno di legge: «Al netto delle spese per il rimborso del debito e dei fondi da ripartire (quest’ultimi troveranno solo in corso di esercizio una puntuale destinazione), oltre il 25 per cento degli stanziamenti (219,7 miliardi di euro) è finalizzato alle politiche di previdenza e assistenza e ad altre forme di sostegno, prevalentemente assegnati alla missione 25 “Politiche previdenziali” (135,1 miliardi). Una quota pari al 18 per cento è stanziata per politiche relative alla salute e all’istruzione (154,8 miliardi), mentre agli affari economici è destinato circa il 14 per cento delle risorse (121,8 miliardi). La spesa per i servizi istituzionali e generali assorbe il 14,2 per cento del totale (122,5 miliardi) e quella per i servizi pubblici generali il 9,6 per cento (82,9 miliardi), in buona parte destinati alla missione “Difesa e sicurezza del territorio” (29 miliardi) e alla partecipazione italiana alle politiche di bilancio in ambito Unione europea (23,7 miliardi). La spesa per interessi rappresenta l’11,2 per cento del totale (96,9 miliardi) mentre il 6,5 per cento degli stanziamenti è destinato a trasferimenti agli enti territoriali per le politiche di loro competenza (56,5 miliardi, al netto di quelli per la spesa sanitaria che sono considerati nella categoria Salute e Istruzione). La spesa stanziata per interventi relativi alla cultura, all’ambiente e alla qualità della vita assorbe lo 0,8 per cento del totale considerato con stanziamenti per 7,3 miliardi». Lo 0,8 per cento. Questo è uno spazio di futuro. Un assaggio. E poi ai ministeri – circa 2 miliardi di riduzioni e 14 di riprogrammazione – la botta più grossa di tagli. Il granaio della Repubblica. Neanche hanno protestato. Le autorità politiche e le propaggini tecniche hanno priorità differenti.

 

Il ministero per l’Ambiente del forzista Gilberto Pichetto Fratin, per una voce di spesa di largo impatto popolare, è fra i più martoriati del gruppo: «La missione energia e diversificazione delle fonti energetiche – è scritto nella relazione – è quella che riflette la diminuzione percentuale maggiore rispetto alle previsioni assestate del 2023 (-94,9 per cento). Il programma promozione dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e regolamentazione del mercato energetico del ministero dell’Ambiente (-19,5 miliardi circa) vede ridursi gli stanziamenti per i crediti di imposta per la componente energetica acquistata e utilizzata (-6,2 miliardi circa) e per l’acquisto del gas naturale (-5 miliardi circa). Nello stesso programma diminuiscono ulteriori voci di spesa (…) per contrastare gli effetti dell’incremento dei prezzi nel settore elettrico e del gas naturale (-8,1 miliardi circa)». Anche se non è finita e le “guerre vicine” sono raddoppiate, la crisi energetica si dichiara estinta. Sapete, però, qual è il ministero che di recente (e la lista è lunga) ha chiamato il Tesoro per avere più soldi? Non per ripristinare i fondi, ma per ampliare il suo organico. Sì, avete capito.