Politica
febbraio, 2023

Antonio Tajani nella trincea Farnesina, ma rischia di finire stritolato come Luigi Di Maio

Il ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio ha il vantaggio di guidare la diplomazia italiana e lo svantaggio di farlo con una Forza Italia impazzita e Berlusconi incontrollabile sull’Ucraina. Regge il patto con Meloni, ma sarà capace se serve di fare una scissione?

Ci sono politici che posano la prima pietra, a volte neanche la posano, e ci sono politici che posano l’ultima pietra o comunque lasciano intendere ammiccanti che qualcosa hanno posato. A quest’ultima categoria appartiene il pluridecorato Antonio Tajani, il forzista moderato o moderante che ha la ventura da ministro degli Esteri di sorseggiare ogni giorno un “elisir” di eccellente, se non proprio longeva, vita politica: la Farnesina.

 

La diplomazia italiana fa belli i ministri, consegna già agghindati relazioni, eventi, seminari, accordi, bilaterali, poi sta ai ministri meritarsi la bellezza e renderla duratura oppure fugace, transeunte, estemporanea come le dichiarazioni. E del ramo dichiarazioni, tuttavia, il Tajani è un esperto di livello mondiale, poiché ha rilasciato 25 interviste ai quotidiani in circa 3 mesi di governo e si è esibito, dunque pluridecorato ma anche polivalente, in politica estera, ovvio, energetica, migratoria, comunitaria, perciò alleanze, tattiche, progetti per i continenti più vicini e quelli più lontani. La scorsa settimana ha annunciato con patrio «orgoglio» il vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari che si terrà a Roma a luglio con la partecipazione di 193 Paesi e le rispettive autorità istituzionali e politiche come se avesse strappato la sede e le date in quel preciso istante. Macché.

 

Alle conferenze degli ambasciatori (dicembre) e sui Balcani (gennaio) ha esposto (ostentato?) ai ministri e pure alla presidente Giorgia Meloni la sua esemplare immersione nei meccanismi della Farnesina. Ha addirittura accompagnato i colleghi ministri di Turismo e Sport a una manifestazione di semplice «avvicinamento» (mancano sette mesi!) alla Ryder Cup di golf che fu assegnata all’Italia nel 2015 (sette anni fa!): «Lavoriamo a una strategia sulla Ryder Cup che si svolgerà a Roma in autunno. Vogliamo accendere i riflettori sull’Italia - ha detto dopo una riunione con Daniela Santanchè e Andrea Abodi - per promuovere Roma attraverso lo sport come elemento di diplomazia. La Ryder Cup servirà a rafforzare i rapporti fra Europa e Stati Uniti. L’Italia giocherà da protagonista».

 

Sotto la pietra, o il Tajani, c’è l’esigenza di sorreggere la claudicante carriera di partito con la brillante carriera alla Farnesina. Tajani è ministro degli Esteri, vicepresidente del Consiglio, coordinatore nazionale di Forza Italia, capodelegazione nel governo, ma è isolato e parecchio ostracizzato in Fi, rappresenta più o meno sé stesso e un antico legame con Silvio Berlusconi che il tempo (e i rivali) hanno scalfito. Nel governo non è riuscito a cooptare (va bene anche posare) un amico, non Paolo Barelli, non Raffaele Nevi, non Francesco Battistoni. Qualcosa deve cedere. Ha troppo per essere così solitario. Un generale senza truppe. Per l’esattezza, Tajani è un ufficiale di complemento dell’Aeronautica. Il papà Raffaele, origini salernitane di Vietri, era un ufficiale dell’Esercito. Un paio di cose da annotare: l’estrazione salernitana e la disciplina militare. 

 

Il viceministro Edmondo Cirielli, carabiniere di Nocera Inferiore che siede alla Camera da vent’anni e che si è congedato col grado di generale di Brigata, è stato presidente della provincia di Salerno. Cirielli ha un ruolo di rilievo in Fratelli d’Italia, è presidente della direzione nazionale. Non è un viceministro decorativo. Ha l’assoluta fiducia di Meloni. Ha la delega alla cooperazione internazionale. La politica estera del governo Meloni è abbastanza scolastica: fermamente aderente all’Alleanza Atlantica con la Nato e alle priorità degli Stati Uniti per coerenza storica seguendo l’atteggiamento mai tentennante di Mario Draghi. Nessun dubbio, a cascata, con l’Unione Europea, se non quel tentativo di ottenere successi e vendicare maltolti dopo presunti scontri muscolari a beneficio dei media e del consenso «nazionale». Il bagaglio politico di Tajani, da ex presidente del Parlamento, sono proprio l’Europa e i suoi amici nel Partito Popolare che in futuro possono servire a incipriare il volto ruvido di Fratelli d’Italia.

 

Le questioni energetiche e migratorie, l’Africa sono centrali per il governo Meloni. Lo dimostrano le visite in Egitto, Algeria e Libia. Alessio Nardi, finanziere generale di Divisione, è il Consigliere per la Sicurezza di Tajani e quindi per l’Africa. Nardi è il punto di contatto del ministro con Cirielli e la Farnesina per le attività su questi temi. A Raito di Vietri, comune del papà di Tajani, nel Salernitano di costiera amalfitana del viceministro Cirielli, svetta Villa Guariglia, una ex casa colonica con giardini terrazzati che la nobile famiglia ha donato alla provincia e che oggi ospita il museo della ceramica. Lì ha vissuto l’ambasciatore Raffaele Guariglia, che fu ministro degli Esteri nel governo Badoglio e senatore del partito nazionale monarchico. Il nipote Riccardo Guariglia, diplomatico da tre generazioni, a marzo su nomina di Tajani assumerà la carica di Segretario Generale della Farnesina. La carrellata di aneddoti si può concludere citando il passato giovanile monarchico di Tajani.

 

Oltre alle curiosità che danno ordine al caso della vita, c’è sostanza nelle scelte del ministro degli Esteri. Guariglia Segretario Generale, Francesco Genuardi Capo di Gabinetto, Francesco Maria Talò, ex rappresentante italiano a Bruxelles presso la Nato, consigliere diplomatico a Palazzo Chigi (l’ha indicato Meloni, certo, ma Tajani ha inciso) sono coerenti con il suo approccio: nessuna increspatura nella politica estera del governo, un navigare tranquillo. A settant’anni da compiere in agosto, dopo la fortunata stagione in Europa, Tajani ha ottenuto la consacrazione in Italia, però già vacilla, perde pezzi, è contestato nel partito. E non bastano le interviste a temprarsi. Se le tensioni in Forza Italia (e le bizze di Berlusconi) rappresentano un pericolo concreto per il governo Meloni, Tajani ne rappresenta la garanzia antirottura. È l’unico forzista al governo capace, dopo la freudiana morte del padre, ormai vista e rivista in qualsiasi ambito, di organizzare un battaglione (scusate i termini militari, però ci stanno) a difesa del governo Meloni. Non si possono biasimare coloro che adesso sogghignano pensando a Luigi Di Maio, il predecessore in molti sensi, e alla sua disgraziata «operazione draghiana»: allestita per salvare il governo, finì per accelerarne la fine. Le ultime granate verbali di Berlusconi contro Zelensky e Meloni, come scrivono i retroscenisti, hanno «messo in imbarazzo» Tajani, che si è subito impegnato a precisare e rettificare. Quanto sarà sostenibile ancora questo «imbarazzo»?

 

A differenza dell’ex grillino pentito, Tajani ha più risorse da offrire a Meloni, per esempio i suoi agganci con il già citato Partito Popolare Europeo e la quotidiana e formale sorveglianza di Forza Italia (le dimissioni da capo politico dei Cinque Stelle hanno aiutato Di Maio nel breve e medio periodo e l’hanno logorato poi quando serviva contarsi e pesarsi).

 

Tajani deve conciliare i voti forzisti nella sua Ciociaria e la crisi umanitaria nel Nagorno Karabakh sapendo che lo salva la Ciociaria, non il Nagorno Karabakh. Hai voglia a emanciparsi fra Europa e Farnesina. La politica se non è locale, è glocal. Anzi no: è golf. Non sai mai dov’è la prossima buca.

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