Altro che autonomia differenziata: il governo manda le regioni del Nord in rosso

La Lega festeggia perché il ddl è stato approvato in consiglio dei Ministri. Ma nel frattempo le zone che più hanno subito i contraccolpi del Covid rischiano di chiudere i conti in negativo, compromettendo la possibilità di avanzare qualsiasi istanza di indipendenza

Il ministro Roberto Calderoli è soddisfatto: giovedì il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge sull'autonomia differenziata, che in teoria dovrebbe diventare legge entro la fine dell'anno. Soddisfatto lo è anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, e con lui brinda il presidente uscente della Lombardia, Attilio Fontana, che fra una settimana potrà presentarsi alle elezioni regionali con lo scalpo di “Roma ladrona” e il bottino dell'autonomia differenziata, sperando che questo basti per portare la Lega almeno in doppia cifra: «Finalmente, l'abbiamo portata a casa», par di sentirlo. Tenere al Nord i soldi del Nord è l'obiettivo della vecchia Lega secessionista, che stavolta – verrebbe da dire - a furia di mirare lontano non si è resa conto (o finge di non rendersi conto) del gigantesco sgambetto che i palazzi romani stanno facendo proprio alle regioni del Nord sul fronte economico.

 

Che c’entra la contabilità ordinaria con l’autonomia differenziata? C’entra eccome, perché se le Regioni del Nord non avranno i bilanci in ordine, difficilmente potranno presentare una richiesta di autonomia differenziata. Ma andiamo con ordine.

 

È di un paio di settimane fa la richiesta di un incontro urgente da parte delle Regioni - Emilia Romagna, Lombardia e Veneto in testa – per trovare una soluzione ai giganteschi sforamenti di bilancio che soprattutto le regioni del Nord hanno fatto fra il 2020 e il 2022 per far fronte all'emergenza pandemica, accollandosi i costi di vaccini, assunzioni straordinarie, dispositivi medici e tutto quello che è servito per contenere la diffusione del Covid 19: «Questa situazione determinerà conseguenze catastrofiche per il servizio sanitario pubblico che ha invece urgenza di rivedere i modelli organizzativi per rafforzare e sviluppare l'assistenza territoriale», scrivono le regioni al ministro dell'Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, e al ministro della Salute Orazio Schillaci. Da parte del governo nessuna risposta, ma nel frattempo le Regioni devono chiudere i bilanci. Per ora dall'amministrazione centrale – a trazione per un terzo leghista, ricordiamolo – arrivano solo spiccioli e, per esempio, alla Regione Emilia Romagna i 207 milioni del governo per coprire gli extra costi del covid non basteranno: «Il bilancio 2022 è stato chiuso in pareggio solo perché abbiamo messo risorse nostre per il terzo anno consecutivo, o comunque risorse straordinarie sbloccate negli ultimi giorni dell'anno», fa sapere l'assessore alla Sanità dell'Emilia Romagna Raffaele Donini, che spiega come per la loro regione i costi Covid non rimborsati per l'Emilia Romagna superano i 400 milioni di euro, mentre le spese energetiche vanno oltre i 200 milioni. A livello nazionale l'accollo regionale del post Covid è di oltre due miliardi di euro che rischiano di mandare in piano di rientro (cioè in rosso) - e quindi di dover tagliare la spesa - molte regioni. Insomma, se i governatori non riescono neppure a portare a casa i quattrini che hanno dovuto spendere per far fronte alla pandemia, figuriamoci come andrà a finire la partita dell'autonomia differenziata, che implica bilanci regionali in ordine.

 

Così, mentre Calderoli festeggia perché sulla carta ha portato a casa la promessa dell'autonomia differenziata, sulla testa dei cittadini del Nord – nell'assoluto disinteresse dei ministri - si sta concretamente per abbattere la scure dei tagli alla sanità, come se la situazione degli ospedali non fosse già abbastanza compromessa.

 

Altro che soldi al Nord, l'intera riforma dell'Autonomia Differenziata rischia di tradursi nell'ennesima batosta (fiscale) per i già tartassati cittadini e imprenditori.

 

Entrando nel dettaglio del disegno di legge presentato al Consiglio dei ministri da Calderoli, il testo lascia aperte ancora molte questioni cruciali, su tutte il palese tentativo di scavalcare il ruolo del Parlamento, interpellato solo per un parere non vincolate in una materia che dovrebbe stravolgere l'Italia. «Definire quella di ieri una giornata storica, perché secondo molti esponenti della Lega sono convinti di aver concluso il processo che porta all'autonomia differenziata, è oggettivamente esagerato», commenta Paolo Balduzzi, economista dell'Università Cattolica di Milano, che nel 2018 è stato consulente tecnico per la Presidenza del Consiglio al tavolo di trattativa con le Regioni per la stesura delle intese di autonomia differenziata con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Che aggiunge: «Del resto sono altrettanto esagerati i commenti di alcuni esponenti dell'opposizione che giudicano “eversiva” l'operazione in atto. Le criticità ci sono: ma sembra che i toni sopra le righe servano soprattutto a condizionare l'imminente campagna elettorale per le regionali».

 

Entrando nel merito dei 10 articoli, al primo punto si pone la priorità della determinazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni: senza di quelli, non ci sarà alcun autonomia differenziata. Se si pensa che i cittadini italiani attendono la determinazione dei Lep da oltre vent'anni, è facile intuire che il percorso dell'autonomia sarà più lungo del previsto. «Lo spirito della riforma dovrebbe essere quello di innescare una competizione virtuosa tra le regioni, in grado di fare di più e meglio dello stato centrale. Tuttavia, il pericolo è quello di moltiplicare le burocrazie e i centri decisionali, di ingolfare le istituzioni (e il paese) con regole troppo diverse da regione a regione, nonché di alimentare un ulteriore sovrapposizione delle competenze tra stato e regione», avverte Balduzzi, che fa notare come l'intero asse decisione si muova tra l'istanza di autonomia da parte di ciascuna singola Regione, le prerogative del presidente del Consiglio, le disposizioni del Consiglio dei Ministri, i pareri (non vincolanti) della Conferenza unificata, e la totale impossibilità per il Parlamento di modificare la norma, che va approvata in toto o respinta, senza poter proporre alcuna modifica. «Infine vale la pena ricordare che al momento non esiste nemmeno un criterio oggettivo o tecnico per stabilire se una regione sia o meno in grado di fare meglio dello stato negli ambiti di competenza che saranno trasferiti. Come criterio minimo, bisognerebbe almeno richiedere alle regioni che i conti siano in ordine», chiude Balduzzi. Dunque, un criterio minimo per l'accesso all'autonomia differenziata dovrebbero essere i conti in ordine. E già, peccato che i conti delle Regioni del Nord, gravati dagli extra costi del Covid, siano parecchio in sofferenza. E allora addio autonomia differenziata.

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