Politica
«Calenda è pazzo». «Renzi ridicolo». Il Terzo Polo finisce tra gli insulti
Il tandem tra l’ex sindaco di Firenze e l’ex manager romano va in frantumi nel giro di tre giorni tra accuse e tweet al vetriolo. Italia Viva accusa: “Un alibi di Calenda. Ha paura di perdere il congresso”
Otto mesi bruciati in tre giorni. Martedì, mercoledì, giovedì. Tre giorni e la coppia del Terzo Polo, Carlo Calenda e Matteo Renzi, sono diventati il Bugiardo, il Pazzo, il Ridicolo. Settantadue ore di tweet al veleno e accuse. C’è stato un tempo in cui dopo la fondazione di un partito o la sua scissione, si pronunciava un discorso memorabile. Oggi, semplicemente, ci si insulta e buona vita. Erano partiti come gli Albano e Romina della politica (“Io sono Albano”, aveva specificato Calenda), sono finiti come Eva contro Eva.
«Il partito non lo riusciremo a fare, perché non lo vuole fare». Conferma il leader di Azione in mattinata, ai microfoni di “Striscia la Notizia”. Niente di fatto. Esperimento abortito per Il Terzo Polo, che come una bomba di petardi e cartaccia, fa un gran rumore ma non resta che cenere e una scia di veleno. In mattinata era stato un virgolettato riportato da il Corriere della Sera ad accendere la miccia, Renzi che dice ai suoi «Calenda è pazzo, ha sbagliato il dosaggio delle pilloline». Calenda che risponde piccato: «Queste volgarità nascondono un nervosismo esagerato. Semplicemente hai provato a darci una fregatura e sei stato rispedito al mittente. Questa volta lo #staisereno non ha funzionato. Fine».
Il leader di Italia Viva prova a smentire ma non ci crede nessuno, a sentire il capogruppo di Azione-Iv alla Camera Matteo Richetti che intervenendo ad Agorà su Raitre dice «Conosco Carlo Bertini. Secondo lei se l'è inventato che Calenda ha sbagliato le pillole? Vi rendete conto della violenza. Sono molto preoccupato del clima che si è creato attorno a quel tavolo».
Il clima, appunto. Incendiato sui soldi, sulle date dello scioglimento dei partiti, sulla richiesta del Leader di Azione di mettere fine alla Leopolda. Matteo Renzi cerca di tenerla sulla politica: «In queste ore ci sono polemiche inspiegabili dentro il Terzo Polo. Ne sono molto dispiaciuto anche perché non vedo un motivo politico per la rottura. Eviterei di inseguire le polemiche e i retroscena. Andrei al sodo». scrive su Twitter. Tutto inutile, uscito dal Senato Carlo Calenda è netto: «Il progetto del partito unico è definitivamente morto. Andremo avanti con due partiti e, se ricomporremo il clima, ci alleeremo dove sarà possibile». Ma la separazione si consuma a stracci in faccia. «Calenda ha sbalzi di umore», sentenzia Boschi.
Peccato che sia finita, sul serio. Doveva essere chiaro subito che quella di Albano e Romina sarebbe diventata roba da dilettanti in confronto a Carlo e Matteo. Il corteggiamento era iniziano anni fa quando l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi decise di chiamare Carlo Calenda a fare il ministro dello Sviluppo al posto della dimissionaria Federica Guidi. («Il miglior presidente del Consiglio dai tempi di De Gasperi» diceva Calenda). Amore a prima vista, durato qualche anno. Poi Calenda prende spazio alla ricerca del mitico centro, quello di Renzi si riduce, consumato dalle sconfitte collezionate dal giorno dopo la sua ascesa. Calenda attacca quando Renzi benedice il Conte bis: «Voleva essere Macron ed è finito come Mastella». E poi i viaggi in Arabia Saudita da Bin Salman («Inaccettabile, immorale, pericoloso»). Gelo, frecciatine fino alla nascita del governo Draghi. Torna l’amore. Prima Calenda possibile candidato a sindaco contro Virginia Raggi e Roberto Gualtieri. Poi la nascita del Terzo Polo. La candidatura alle nazionali. La notte delle elezioni a seguire lo spoglie all’hotel Mediterraneo di Roma l’ex premier neanche c’è («in volo per Tokyo, dove parteciperà ai funerali di Stato di Shinzo Abe»). Il Terzo Polo diventa il sesto. L’ex premier toscano e l’ex manager romano, così diversi da essere attratti ciascuno da quello che all'altro manca (il potere, la cultura politica, il consenso, l’esperienza) e costretti a correre insieme per sopravvivere iniziano già, quella notte, a pensare a strade diverse. Oggi le truppe sono divise: di qua i renziani, di là i calendiani. E tutti volano rasoterra, con tenore della discussione concentrato sotto la cintura. Richetti che paragona Renzi a Berlusconi: «La Leopolda si è sempre fatta, ci hanno detto, legittimo farla. Con che risorse? Abbiamo chiesto. 'Con quelle di Iv'. Ma Italia viva come Azione non ci saranno più. Chi la farà la Leopolda? Matteo Renzi? Per me può farla. Può fare tutto: il riformista, la Leopolda. Siamo cresciuti battagliando sul conflitto di interessi di Berlusconi. Nel nuovo partito il conflitto di interessi sarà un punto su cui non si transige».
Il consigliere del Lazio di Italia Viva, Luciano Nobili che risponde: «Richetti insiste a dichiarare contro la Leopolda, dimenticando che senza Leopolda non sarebbe mai entrato in Parlamento».
In tarda mattinata Matteo Renzi e Carlo Calenda sono entrambi in aula, al Senato, per votare il decreto Pnrr. Seduti nella stessa fila, separati da tre senatrici tra cui Mariastella Gelmini, vicesegretaria di Azione. Non si parlano. Una giornata pesantissima percorsa in corridoio e poi ancora da veleni. Il sospetto, argomentano i renziani, è che il leader di Azione avesse già deciso di rompere e per un motivo: il timore di perdere il congresso se si fosse candidato Luigi Marattin. Sorriso largo di congedo collettivo, un piede fuori dal Parlamento Calenda chiude: «Vuole tenersi soldi e il partito di Italia Viva. Diventa ridicolo».