L'ex sindaca di Milano dopo il flop da candidata del Terzo Polo in Lombardia riparte da quello spazio metafisco che ha illuso per anni la politica italiana. E che oggi è quanto mai affollato di leader e sigle

«Lavoro per costruire un soggetto al centro, non uno dei tanti centrini, ma un centro che rafforzi la cultura moderata e riformista che interpreto». A pronunciare l’ultima missione impossibile alla ricerca dello spazio mitico della politica italiana, non premiato da una legge elettorale, è Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, vedova Moratti (il petroliere Gian Marco Moratti, presidente della Saras).

 

Donna di centro-destra, per traiettoria di vita. Già presidente della Rai indicata da Silvio Berlusconi, ministra nel secondo e terzo governo Berlusconi, sindaca di Milano eletta dalla Casa delle Libertà, vicepresidente della Lombardia guidata dal leghista Attilio Fontana, incarico da cui si è dimessa per diventare la candidata alla Regione del Terzo Polo. Un’avventura brevissima, terminata non nel migliore dei modi (solo il 18% di preferenze). Moratti riparte da qui, da uno spazio ambitissimo e già saturo di Renzi, Calenda e transfughi di Forza Italia: «C'è una vasta area orfana di rappresentanza, un'area che guarda con interesse al centrodestra. Si tratta di rafforzarne quella componente perché altrimenti la coalizione oggi al governo potrebbe slittare fatalmente ancora più a destra», confessa con un’intervista a Il Giornale. 

 

L’assalto al Centro era stato già pesato dalle elezioni del 25 settembre dove il Terzo polo, composto da Azione e Italia viva, era semplicemente diventato il sesto con il 7,8 per cento dei voti. Oggi, tuttavia, il colpo d'occhio sulla rincorsa per essere il centro del centro è da presa militare. A concorrere per i voti orfani dei centristi sono uomini e donne schegge di altri partiti, dunque vicino a essere polvere. A parole tutti pronti a federare, unire ma ognuno per i fatti suoi. 

 

Ma che spazio ha nel paese reale questo mondo metafisico che è per definizione meno passionale, meno ideologico, più pragmatico. Almeno il 10%, secondo un sondaggio di Emg del 2022 che ha sommato le sigle già posizionate nella terra di mezzo del (fu?) bipolarismo: Udc, Toti, Lupi, Renzi, Calenda e i radicali di Più Europa. Numeri lontani, dall’ipotetico 20% che spinse Mario Monti a intraprendere nel 2013 la sfortunata avventura di Scelta Civica (8,3% alle urne). Un campo s-popolare, una cifra stilistica più che un’ideologia politica. Animato da continue polemiche di intrattenimento, ma quieto. Nella speranza finale di contare, essere determinati in una maggioranza.