Si interessano alla politica ma non si fidano dei suoi attuali esponenti. Hanno fiducia nel futuro, ma sono individualisti. E vogliono un ricambio generazionale ai vertici. Un ritratto della la generazione Z dallo studio Mg Research in esclusiva per L’Espresso

Non è vero che i giovani sono disinteressati alla politica. Per più della metà degli under 26 italiani è la politica a essere lontana dai loro obiettivi. E quindi dalla costruzione di un’idea unitaria del Paese, necessaria per l’evoluzione, per uscire dallo stallo. Per immaginare un futuro. Secondo la Generazione Z è la politica che non si impegna a prendere in considerazione le esigenze dei giovani. Che, invece, cercano di conquistare spazio nel dibattito pubblico. Sono soprattutto i partiti ad aver perso la capacità di attrarre l’interesse collettivo, di canalizzare energie e idee. Il 60 per cento degli intervistati dichiara, infatti, di non sentirsi rappresentato da nessuna organizzazione presente in Parlamento. Solo il 15 per cento nutre grande fiducia in un partito, il 51 per cento pensa che l’operato delle formazioni politiche sia scarsamente efficace.

 

Così, i risultati del sondaggio “Il rapporto tra giovani e politica” realizzato dall’Istituto di ricerca Mg Research in esclusiva per L’Espresso su un campione di 500 giovani tra i 16 e i 26 anni intervistati con tecnica Cawi, rivelano che cresce la sfiducia nel voto, il diritto politico alla base di ogni sistema democratico. Per tanti una conquista imprescindibile, un diritto-dovere civico, secondo gli under 26, non più il mezzo attraverso cui cambiare le sorti del Paese. La pensa così oltre la metà degli interpellati. E l’hanno dimostrato anche le scorse elezioni politiche, il 25 settembre 2022, quando per la prima volta nella storia repubblicana l’affluenza è scesa sotto il 70 percento. 

 

Per quasi un giovane su tre ha ancora senso scendere in piazza, manifestare, partecipare a un’azione o a un incontro politico con lo scopo di generare cambiamenti nella società. Per 1 su 4 è, invece, importante discutere di temi politici e sociali con i conoscenti, per costruire una coscienza comune. Solo l’11 per cento ritiene che frequentare la sede di un partito possa essere utile al fine di costruire un Paese migliore. La maggior parte rivela che sono i genitori le figure principali che contribuiscono alla formazione del pensiero politico. Seguono gli amici. Arrivano terzi la scuola e gli insegnanti. È molto poco rilevante il ruolo formativo delle figure religiose, dei leader di partito, degli influencer e degli opinionisti. Eppure, nonostante le scarse aspettative che i giovani ripongono nel voto, gli under 26 non manifestano un’atteggiamento di chiusura nei confronti della politica: il 50 per cento si definisce «coinvolto», il 16 per cento attivamente interessato. Danno fiducia soprattutto al presidente della Repubblica. Molto meno affidabili vengono considerati i partiti politici, il Parlamento e il sistema giudiziario. E anche se è bassa la stima verso chi governa, più del 70 per cento degli intervistati guarda al futuro con ottimismo, pensa che nei prossimi 5 anni la propria condizione migliorerà. Ma solo nel 43 per cento dei casi grazie alle capacità individuali, per 19 su cento grazie all’aiuto della famiglia, per il 7,6 per cento grazie al supporto delle istituzioni.

 

La tv e i social network sono i principali canali di informazione della Generazione Z. Quasi un quarto è molto informato, legge, cerca notizie su quello che succede. Il 54 per cento si definisce abbastanza informato ma non cerca spontaneamente notizie che abbiano a che fare con la politica. Il 18 per cento ammette di documentarsi poco, il 5,5 per cento per niente. Per il 65 per cento degli intervistati la situazione in Italia non migliorerà finché non ci sarà un cambio generazionale nella classe dei politici, finché non arriveranno rappresentanti più giovani. Così, nel frattempo, quasi il 70 per cento degli under 26 se ne va. Perché pensa che lavorare all’estero sia l’unica soluzione per vedersi valorizzati.