Ordine pubblico
Più sicurezza? Solo per chi usa i manganelli
Il disegno di legge sulla sicurezza, criticato come «illiberale», punisce le proteste pacifiche e non affronta i reati finanziari, evidenziando una preoccupante deriva autoritaria
Per la sicurezza reale dei cittadini, non c'è niente di concreto. Ci sono molte norme da sventolare come slogan elettorali, ma inutili nei fatti. E ci sono novità pericolose per la democrazia: si pretende di punire con la galera perfino le proteste pacifiche, non violente.
Da autorevoli giuristi, magistrati e sindacati di polizia arriva una bocciatura solenne del disegno di legge sulla sicurezza approvato nei giorni scorsi dalla Camera, in attesa del voto finale del Senato. Secondo Nello Rossi, direttore di “Questione giustizia”, la rivista-pensatoio di Magistratura democratica, si tratta di «una selva di norme in molti casi illiberali, accomunate da una concezione unilaterale della sicurezza. L'unica che conta è la sicurezza nelle strade, l'unica minaccia è la criminalità urbana, visibile. In Italia stanno aumentando a dismisura i reati finanziari, le frodi via web, ma di questi non si fa parola. Non si parla di sicurezza economica, l'evasione fiscale si può condonare. Non si fa niente per la sicurezza del lavoro, dell'ambiente, del territorio. Con l'abolizione dell'abuso d'ufficio si nega anche la sicurezza dei cittadini rispetto agli abusi del potere. Anche quello giudiziario: un giudice può incontrare di nascosto un suo imputato e dargli consigli perché è amico degli amici. Siamo alla follia».
«Penso che questo governo confidi in una miopia dell'opinione pubblica, che tende ad accorgersi solo dei problemi che ha sotto gli occhi. Per i reati di strada c'è un continuo gioco al rialzo, demagogico e spregiudicato: si aumentano le pene minacciate e le misure di polizia. Ma non si mandano più agenti nelle strade: si fa solo propaganda. Intanto ceto politico e classe economica puntano a recuperare l'immunità. C'è un'immensa opera di minimizzazione dei reati della politica e discredito della magistratura. Il caso Toti è emblematico».
Armando Spataro è stato procuratore antimafia e antiterrorismo. Ha anche rappresentato al Csm il Movimento per la giustizia, la corrente di cui era stato uno dei fondatori con giudici come Giovanni Falcone. Anche per lui, le nuove norme sono un disastro. «Il ddl sicurezza è perfettamente in linea con le tante riforme della giustizia, che dovrebbero invece definirsi controriforme, approvate o annunciate da questo governo con cadenza quasi giornaliera: basti pensare, ad esempio, alla riduzione della possibilità e durata delle intercettazioni; all’obbligo per alcuni tipi di reato di interrogare l’indagato prima di un eventuale arresto; alla competenza di un collegio di giudici per le ordinanze di custodia in carcere; e tante altre norme che allungano i tempi del processo e rendono più difficile il contrasto alla criminalità organizzata. E ora si introducono nuovi reati e si inaspriscono le pene per condotte marginali o di gravità non certo elevata: si usa il diritto penale per guadagnare consensi, trasmettendo messaggi securitari a un elettorato disinformato. È chiaro che occorre punire con decisione ogni reato, in particolare quelli che ledono il diritto alla sicurezza: ho sempre svolto funzioni di pubblico ministero e non posso certo essere accusato di eccesso di garantismo. Ma moltiplicare i reati è inutile e spesso è dannoso. Che senso ha punire la resistenza passiva? I comportamenti illegali sono già ora punibili. Si vuole contrastare il diritto alla protesta pacifica di studenti, lavoratori, ambientalisti? Anche il ministro delle Infrastrutture dimostra di rivendicarlo, questo diritto, quando auspica una manifestazione dinanzi al Palazzo di Giustizia di Palermo a sostegno della sua dichiarata innocenza nel processo Open Arms».
Contro il ddl si scaglia anche Pietro Colapietro, il segretario generale del Silp Cgil: «Lo critichiamo sia come poliziotti che come cittadini. Nei fatti non si fa nulla contro la criminalità: si vuole usare la polizia per colpire il disagio sociale. Per molti di noi è una grande sofferenza arrestare l'operaio che occupa per disperazione la strada davanti alla fabbrica che chiude. In una democrazia non si punisce la protesta, si fa sicurezza reale. In polizia abbiamo bisogno di nuove assunzioni, di non dover fare straordinari obbligati, pagati sempre in ritardo. Ora non copriamo nemmeno il turn over, perdiamo più di tremila poliziotti all'anno. Non ci servono nuovi reati, ma più mezzi, macchine adeguate, alloggi di servizio». Il sindacalista della polizia attacca anche la norma di favore: «Un agente normale non vuole la seconda arma: abbiamo il problema opposto, non sappiamo dove lasciare quella di servizio. Se è una questione operativa, se si vuole fornire a chi lavora in abiti civili una pistola più pratica della calibro 9 parabellum, allora si aumenti la dotazione: perché dovremmo pagarcela noi? A chi serve tenere una seconda arma senza licenza? Riempire un Paese di armi è un errore tragico. C'è una rincorsa al consenso immediato, mentre mancano interventi strutturali per la sicurezza».
Anche tra i giuristi le critiche sono pesanti. Il professor Marco Pelissero, che insegna all'università di Torino, è il presidente dell'associazione italiana dei docenti di diritto penale. Nel maggio scorso è stato sentito come esperto alla Camera proprio sul ddl sicurezza. E ora spiega a L'Espresso: «In generale, è una legge che si muove in chiave repressiva senza aumentare la sicurezza effettiva. Le norme penali vengono usate in funzione simbolica e comunicativa». Il giurista conferma la presenza di parti discriminatorie e antidemocratiche. «Le norme contro l'occupazione di immobili e quelle sul Daspo urbano sono scritte in modo da consentire applicazioni abnormi, anche in situazioni di reale emarginazione e marginalità. È paradossale che questo disegno venga portato avanti da un ministro della giustizia che si era insediato promettendo di ridurre il controllo penale: l'ha fatto solo con l'abrogazione dell'abuso d'ufficio».
La norma peggiore del ddl è quella che si potrebbe definire "ingabbia-Gandhi". «Diventa reato il blocco di strade o ferrovie attuato in forma di resistenza passiva, solo con il proprio corpo», chiarisce il professore. «Era già un illecito amministrativo, sanzionato con una multa, ora diventa penale ed è punito con la reclusione fino a due anni se commesso da almeno tre persone, anche senza alcuna violenza o minaccia. In questo modo si criminalizza la protesta pacifica. È una deriva molto preoccupante».
La svolta autoritaria è estesa anche alle prigioni. «Nel reato di rivolta in un carcere, o in un centro detentivo per immigrati, ora rientra pure la resistenza passiva: anche qui si punisce il solo fatto di non obbedire a un ordine, senza alcun elemento di violenza, minaccia o tentata evasione. Di fronte all'incapacità di affrontare i problemi delle carceri, sovraffollate di detenuti, si incrimina come rivolta la protesta puramente passiva. È una norma pericolosissima, che si presta a diventare uno strumento di gestione arbitraria delle prigioni e a favorire l'uso della forza». Ci mancava solo la legge salva-lager. Viva il garantismo!