Prima pagina Il voto Usa
Muri, dazi e trivelle Il sogno americano di Trump
Frontiere chiuse con il Messico, stretta sui prodotti cinesi,addio al Green Deal, una campagna integralista su scuola, vaccini e diritti Lgbt, insieme con la promessa di pace in UcrainaIl presidente che serve alla Russia di Putin, intanto, grazia gli eversori di Capitol Hill e comincia a regolare i conti con i giudici
L’agenda del primo giorno di lavoro dentro la Casa Bianca è già scritta e condivisa da mesi. Donald Trump, il presidente numero 47 della storia americana, comincerà con un decreto per deportare milioni di immigrati clandestini, sigillando al contempo e in modo definivo la frontiera col Messico che significa azzerare ogni programma di asilo. La seconda decisione irrevocabile sarà quella di concedere il perdono presidenziale agli assalitori del 6 gennaio 2021, i «patrioti» che cercarono di sovvertire la vittoria di Joe Biden a colpi di spranga. E se gli rimarrà tempo vorrebbe anche far fucilare Liz Cheney (parole sue), la repubblicana figlia dell’ex vicepresidente Dick che lo ha tradito per sostenere Kamala Harris.
Lasciando per un attimo da parte le spacconate da teppista, la vittoria di Donald Trump porta con sé un valore inestimabile. Si tratta di successo netto e inequivocabile, una prova di forza che quasi nessuno aveva previsto, a cominciare dalle decine di sondaggisti che non hanno mai smesso di servire dati improntati su un equilibrio che serviva solo a tenere gli americani davanti alla tv, quasi fosse il Superbowl.
In verità la partita è durata solo qualche ora, il tempo di capire che l’America ha scelto senza esitazioni una strada ben precisa. Non ci saranno rigurgiti o recriminazioni. Gli americani preferiscono l’uomo forte che vuole togliere lo Stato dalle loro vite, l’America ha creduto alle promesse reboanti che Trump dissemina da anni, senza tanto preoccuparsi se quelle promesse hanno una sola chance di essere mantenute. Perché, sarà bene chiarirlo subito, l’America che si consegna nelle mani di Trump non è contenta del mondo in cui vive e non le interessa un fico secco se Donald ha subìto una condanna per falsificazione di documenti elettorali. Agli elettori di Trump non importa un accidente se si prende gioco dei portatori di handicap, se tradisce la moglie con una pornostar, se ha due accuse federali che pendono sul suo capo o se usa un microfono per mimare una masturbazione in pubblico. E quando insulta i portoricani in massa, non interessa neppure ai portoricani stessi che lo votano in massa negli Stati chiave.
Come ha tempestivamente commentato l’agenzia russa Tass – casualmente il primo organo dei media al mondo a congratularsi – gli americani hanno scelto con «realismo».
E non c’è dubbio che i temi scelti da Donald Trump siano reali per i milioni di americani che lo hanno ascoltato: la minaccia quotidiana degli immigrati, la necessità di abbassare i prezzi gonfiati dall’inflazione e il bisogno di stoppare le guerre in corso. Gli americani definiscono questo genere di approccio «around the table», ovvero dare la precedenza a temi che affliggono le persone attorno al tavolo da cucina, il luogo sacro dentro al quale ogni persona dovrebbe sentirsi al sicuro. E non ha importanza se gli immigrati clandestini non mangiano per davvero cani e gatti, per la maggioranza degli americani è chiaro il senso di quel che voleva dire Trump. Non vanno mica per il sottile. Non ha nessuna rilevanza neppure che l’immigrazione non costituisce una vera minaccia per il Paese o che Donald possa davvero spegnere il conflitto in Ucraina con una semplice telefonata. Quasi 70 milioni di americani ci credono perché Donald Trump ha saputo convincerli, cosa che a Kamala Harris non è proprio riuscita. Fine dei commenti e inizio della vita vera.
Che per Trump si profila come una passeggiata della salute, considerata la maggioranza assoluta ottenuta al Congresso e al Senato. «We’ll fix everything!», ha proclamato all’alba di mercoledì di fronte ai suoi tifosi adoranti radunati a West Palm Beach in Florida. «Aggiusteremo tutto».
Ed ecco la lista dei lavori di manutenzione del presidente Trump. Dopo deportazioni e chiusure al confine, Trump rilancerà massicciamente le attività di perforazione. Lo slogan è già pronto: «Drill, baby, drill». Trivellare a tutto spiano e uscire immediatamente dal protocollo di Parigi, dando una spallata decisa alle politiche di Biden sulla transizione elettrica. Il Green New Deal muore così, in fondo Trump lo ha da tempo ribattezzato Green New Scam, il nuovo imbroglio verde.
Poi arriveranno le tariffe sui prodotti stranieri, con la Cina in testa alla lista dei cattivi. Seguirà il taglio delle tasse per le grandi corporazioni ma anche quelle sulle mance per i lavoratori dipendenti.
Trump si occuperà anche di educazione, negando sovvenzioni a tutte quelle scuole che legittimano l’esistenza di un’identità transgender o accolgono tematiche Lgbt, che diffondono contenuti non appropriati su questioni di politica, razza e sesso. Non è ancora chiaro come Trump riconcilierà questa posizione con la tanto sbandierata restaurazione della libertà di espressione di cui assieme al suo fido cavaliere Elon Musk, parla da mesi. Più facile sarà chiudere quelle le scuole che prevedono l’uso di mascherina o l’obbligatorietà dei vaccini. Così ha promesso.
E Trump farà tutto questo mentre grazie alle sue eccezionali qualità di negoziatore, avrà impedito lo scoppio della terza guerra mondiale.
Certo, poi ci sarebbero anche le questioni legali ancora aperte. Le due più serie sono quella della cospirazione del 6 gennaio e poi l’accusa di aver cercato di aggiustare il voto della Georgia. Se la Harris avesse vinto sarebbero Stati due veri spauracchi, ma da nuovo presidente si trasformano in pure formalità. Al riparo da un’immunità assoluta, Trump comincerà col rimuovere il capo del dipartimento di Giustizia, Merrick Garland, per sostituirlo con una persona di sua fiducia, Aileen Cannon, la giudice che ha già lavorato per lui e che nel frattempo ha fatto causa a Taylor Swift per un presunto plagio. Taylor Swift che aveva apertamente sostenuto Kamala Harris… A poche ore dal suo insediamento, Trump licenzierà anche Jack Smith, il procuratore che ha costruito i due casi federali contro di lui e così facendo congelerà di fatto le due procedure a suo carico e chissà in quale labirinto legale andranno a finire. E se questa strategia non dovesse funzionare, Trump potrebbe anche concedersi il perdono presidenziale, perché è una sua prerogativa. Certo, nessun presidente ha mai perdonato sé stesso, ma Trump ha già demolito così tanti tabù, che uno più o uno meno che differenza può fare?
All’alba di quello che si annuncia come un radioso quadriennio per Trump e per il partito repubblicano, non si può disconoscere il valore di un’impresa che solo quattro anni fa sembrava impossibile. Impresa riuscita solo a Grover Cleveland, il presidente democratico numero 22 e 24, rieletto dopo quattro anni in castigo nel 1892.
Da politico finito nel 2021 – a detta di parecchi di quelli che ridono adesso assieme a lui sul palco – Trump è rifiorito nel corpo di un campione capace di un recupero sensazionale. Non può essere solo frutto delle fake news o dell’ottusità dell’elettorato americano. Onore a Donald Trump che adesso – davvero – ha la chance di cambiare il Paese esattamente come ha promesso. È il trionfo del Maga, il Make America Great Again stampato sulle centinaia di migliaia di cappellini rossi in bella esposizione in Florida. «Rifacciamo grande l’America assieme. Ricostruiamo le città più belle che mai, rilanciamo le industrie manifatturiere, blocchiamo le importazioni di cose che possiamo produrre noi», declama Trump strappando ovazioni a raffica. E chi se ne frega se quei cappellini rossi sono tutti rigorosamente made in China.