Siamo sempre stati fieri del percorso che abbiamo scelto, ma da genitori in questa fase sentiamo tanta preoccupazione. Questa legge sarà un macigno sulle spalle dei nostri figli». Piero e Francesco vivono a Torino, e sono i papà di due bambini di otto anni nati con la gestazione per altri (Gpa) in Canada. Una decisione a cui sono arrivati con il tempo, dopo una lunga riflessione. «Con mio marito stiamo insieme da vent’anni. Io ne ho 40, quindi metà della mia vita l’ho passata con lui. Ciononostante i bambini li abbiamo avuti solo otto anni fa», racconta Piero. «Entrambi veniamo da famiglie cattoliche, abbiamo dovuto decostruire i pregiudizi con cui eravamo cresciuti. Ce n’era uno che non mi ero reso conto di avere: come persona gay non ritenevo di essere adatto come genitore. Ci siamo fatti tante domande». Sia Piero che Francesco, inoltre, erano inizialmente «contrari all’idea di avere figli con una gravidanza portata avanti da qualcun altro. Siamo nati e cresciuti qui in Italia, con i servizi televisivi che parlavano di “utero in affitto” e con le informazioni che avevamo a disposizione». È stata la conoscenza di altre famiglie arcobaleno o coppie che avevano avuto accesso alla Gpa a fargli cambiare radicalmente opinione: «Sono stati incontri prima casuali e poi cercati, con altre mamme e altri papà. Siamo andati a reperire studi e ricerche pubblicate negli Stati Uniti, ormai ci sono persone di trent’anni nate con la Gpa o cresciute in famiglie omogenitoriali. Abbiamo scoperto che ci sono realtà e percorsi diversi, Stati con norme molto chiare».

In Canada, dove sono nati i figli di Piero e Francesco, la Gpa è consentita solo nella forma altruistica, senza cioè un compenso economico per la donna che porta avanti la gravidanza. È previsto un rimborso delle spese mediche sostenute e delle giornate lavorative perse. «Le donne che vogliono accedere a questo percorso devono dimostrare di avere un lavoro e di essere economicamente indipendenti. I genitori intenzionali, dal canto loro, devono passare una sorta di screening da parte di assistenti sociali e psicologi. Sono le donne a scegliere se e con chi iniziare il percorso», spiega Piero. Dopo qualche mese lui e il marito sono stati contattati da una donna, insieme alla quale hanno deciso di portare avanti una gravidanza gemellare.

«I nostri figli conoscono la storia della nostra famiglia. Sin dalla prima riunione con gli assistenti sociali in Canada ci è stato detto quanto fosse importante», dice Piero, che ricorda un libretto illustrato che i suoi figli sfogliavano da piccoli: parlava di tre tesori – «un semino magico, un ovetto e un cuore d'oro – necessari per far nascere i bambini. In alcune famiglie sono già presenti tutti e tre, altre ne hanno solo alcuni, e quindi bisogna cercarli grazie all'aiuto di altre persone». Piero, suo marito e i suoi figli hanno mantenuto stretti contatti con la donna che ha partorito i bambini e con la sua famiglia. «Ci sentiamo spesso, siamo stati tante volte in Canada e lei è venuta qui con i suoi figli e continuerà a farlo. I bambini sono assolutamente tranquilli su questo e anche noi», racconta. Quello che invece li preoccupa è il futuro: «Abbiamo sempre detto ai nostri figli che ci sono persone a cui non piacciono le famiglie come la nostra. Ma un giorno qualcuno potrà dirgli che il percorso con cui sono venuti al mondo oggi sarebbe un crimine universale. Dicono di voler tutelare i bambini, ma saranno loro ad affrontare lo stigma sociale che deriverà dalla legge Varchi. Noi genitori faremo il possibile, ma non riusciremo a proteggerli del tutto».