Procreazione medicalmente assistita
Social freezing l’altra strada per la maternità
Cresce il numero di donne che ricorrono alla crioconservazione degli ovociti per una futura fecondazione in vitro. Una possibilità con mille restrizioni. Inesistenti altrove
Mariangela aveva trent’anni quando ha trovato l’amore. Si aspettava che in capo a qualche anno la famiglia si sarebbe allargata, ma la strada si è rivelata in salita: «Desideravo un figlio, ma gli anni passavano e il mio compagno non si convinceva. Così ho deciso, nel frattempo, di fare la crioconservazione». La fortuna di Mariangela è quella di essere una ginecologa specializzata in pma, la procreazione medicalmente assistita: conosceva quindi i dati sulle probabilità di gravidanza dopo una certa età, e le opzioni per preservare la fertilità – tra cui la crioconservazione, cioè il congelamento, degli ovociti: per averli a disposizione, in futuro, per un’eventuale fecondazione in vitro.
Mariangela è una delle 468 donne che hanno effettuato questa procedura in Italia nel 2022 nella modalità “social freezing”, cioè senza una ragione medica: senza avere problemi di infertilità (ed essere quindi nel mezzo di un ciclo di pma) né una malattia oncologica (e dover mettere in salvo i gameti prima di una terapia nociva alla fertilità). I dati vengono raccolti annualmente dal Registro Pma dell'Istituto superiore di Sanità.
«La crioconservazione per ragioni sociali non va intesa come una certezza assoluta, bensì come la scelta di aumentare le proprie possibilità di gravidanza in futuro», avverte il ginecologo Andrea Borini, responsabile di 9.baby, un network di centri di pma. Anche perché la percentuale media di buona riuscita della pma sta tra il 30 e il 40% – però a nessuno piace pensarsi nel 60-70% sfortunato.
Il punto è che le chance di successo aumentano quanto più giovane è l’ovocita utilizzato: quelli “attempati” hanno più probabilità di essere di scarsa qualità, e di non funzionare nel concepimento o nell’impianto nell’utero. Motivo per il quale alle donne in età avanzata – cioè, nella biologia della fertilità, dopo i 38 anni – che non riescono a concepire ma che non hanno, ovviamente, ovociti propri congelati 10-15 anni fa a cui poter attingere, viene spesso proposta la fecondazione eterologa: utilizzare cioè i gameti di una donatrice giovane (nel 99% dei casi, peraltro, importati a caro prezzo dall’estero: in Italia le donazioni sono pressoché inesistenti).
Il numero di persone che scelgono il social freezing, e che dell’eterologa quindi non dovrebbero più aver bisogno, è in lentissima crescita: in Italia meno di 100 donne l’avevano fatto nel 2015, primo anno per il quale esistono dati. C’è stato un incremento del 10% tra il 2021 – quando erano state in 427 a sottoporsi alla procedura – e il 2022, ma le cifre sono ancora aneddotiche.
In Francia 1.759 donne hanno scelto la “autoconservazione di ovociti senza ragione medica” nel 2022: quasi il quadruplo che in Italia. Anche perché dal 2021 la pratica è incentivata: lo Stato copre la spesa per ogni donna tra i 29 e i 37 anni che voglia farlo.
La conservazione degli ovociti è una procedura medica, e come tale ha rischi e costi. La donna si sottopone a una stimolazione ovarica, assumendo ormoni, e poi a un prelievo chirurgico sotto anestesia. Il tutto costa in genere sui 2.500-3mila euro, più un migliaio di euro per i farmaci, che il sistema sanitario non passa.
E attenzione: se in Italia ogni donna può congelare i suoi ovociti indipendentemente dal suo stato civile, potrà scongelarli e utilizzarli solo a patto di essere in coppia con un uomo (o andando all’estero). La legge vieta l’accesso alla procreazione assistita alle donne single e alle coppie non eterosessuali: una discriminazione dovuta alla famigerata legge 40/2004. E un ulteriore disincentivo.
In altri Paesi invece, tra cui la Francia, la pma è aperta a tutti; della legge francese sorprende però la scelta di far partire la gratuità della crioconservazione solo dai 29 anni. «Biologicamente il tempo ottimale per il congelamento degli ovociti è tra i 20 e i 30 anni, quando la fertilità è al suo picco massimo», nota Borini, citando però anche alcuni studi che indicano l'età di 37 anni come quella con la miglior performance di “costi-benefici”. Questo perché se si congelano gli ovociti da giovani c'è un'alta probabilità che si finisca per non averne bisogno: non è detto infatti che si incontreranno problemi di infertilità.
In effetti, la crioconservazione dovrebbe essere considerata come un'assicurazione. Se si paga ogni anno per assicurare la propria casa contro gli incendi, ci si lamenta forse, dopo trent'anni, che la casa non sia mai andata a fuoco? La possibilità di congelare gli ovociti dovrebbe essere valutata, e scelta, e supportata dallo Stato, considerando i rischi e benefici per la salute e il benessere degli individui e della società; non certo il tasso di donne che “riscuoteranno” tra uno, o dieci, o vent'anni, scongelando gli ovociti.
Oggi Mariangela e il suo compagno sono finalmente in accordo sul volere un figlio. Per ora lo cercano “spontaneamente”, e gli ovociti di Mariangela restano in freezer; ma se la gravidanza tardasse ad arrivare, lei sa che sono lì a disposizione. Non sono giovanissimi, dato che il freezing è avvenuto quando aveva già 37 anni: ma a questa età perfino ogni mese in meno può essere cruciale per la qualità dei gameti, e quindi per una maggiore possibilità di successo.
Quando si parla di bassa natalità «si dà sempre colpa alla donna, che lavora e quindi posticipa; ma tantissime, come nel mio caso, avrebbero voluto figli prima», conclude Mariangela: «Spesso sono gli uomini che a quarant’anni ancora non si sentono pronti». Il social freezing serve quindi, a volte, anche semplicemente per guadagnare tempo.