La legge inasprisce le pene per chi ricorre alla Gpa. Ma viene presentata come una bizzarra estensione planetaria del nostro diritto. Un proclama da crociata che allarma i Paesi dove è prassi da tempo. Come ha documentato in un libro appena uscito l’autrice di questo articolo

L’equivoco, se così vogliamo chiamarlo, ha convinto persino gli americani, preoccupati di quello che potrebbe succedere a bambini e bambine arrivati al mondo grazie alla Gpa, la gravidanza per altre persone. Ma quella che è stata approvata in via definitiva lo scorso 16 ottobre, a dispetto dei proclami delle forze di governo e della premier in prima persona, non è una legge che stabilisce un reato universale. E ci mancherebbe. In fondo basta pensarci con un minimo di mente aperta: come è possibile che quello che decide un Parlamento nazionale debba valere anche per gli altri Paesi? E infatti non vale. La legge appena approvata si “limita” a stabilire che quello che la legge 40 vietava già da vent’anni (punto 6, articolo 12) dovrà valere nei confronti dei cittadini italiani anche se la procedura sarà stata eseguita all’estero. Una legge, insomma, che cerca di rendere gli italiani (e solo noi, niente di universale) un po’ più punibili, prevedendo da 3 mesi a 2 anni di reclusione e multe da 600mila a un milione di euro a chiunque abbia a che fare con questa procedura di procreazione medicalmente assistita.

Quanto all’applicabilità reale di questa legge non mancano i dubbi: non solo siamo ben lontani da un reato universale, ma è ancora tutto da dimostrare che si riuscirà davvero a perseguire le persone che si sono rivolte a quei Paesi dove la procedura è perfettamente legale. La nuova legge, comunque, non è ancora in Gazzetta ufficiale e non ne conosciamo i decreti attuativi, non sappiamo, quindi, se riguarderà anche le coppie che hanno già praticato la Gpa, né che cosa succederà ai bambini e alle bambine nel caso in cui i loro genitori vengano perseguiti e condannati. Vero che la ministra Eugenia Roccella ha dichiarato che la legge non sarà retroattiva, ma è anche vero che ha ricordato ai pubblici ufficiali: personale delle anagrafi, ma anche medici, che sarà loro dovere segnalare i casi sospetti di persone che si siano macchiate del reato di volere dei figli anche se la loro condizione biologica non glielo consente.

Caccia alle streghe

Difficile non percepire l’ostilità, se non il livore, con cui chi si oppone alla Gpa parla e tratta chi invece la vorrebbe praticare. Che siano persone che soffrono di infertilità, condizione che l’Organizzazione mondiale della sanità riconosce come malattia, sembra essere una colpa. Un atteggiamento che ricorda quello che circolava ai primi tempi dell’epidemia di Hiv: combattere lo stigma della malattia ha richiesto anni ed evidentemente non ne siamo fuori nemmeno ora. Le coppie omogenitoriali, poi, maschili o femminili che siano, hanno la pretesa di volere qualcosa cui proprio non avrebbero diritto.

Che distanza umana e culturale con il percorso che la scorsa estate ha portato l’Irlanda a regolamentare la procreazione medicalmente assistita nel suo complesso, inclusa la gravidanza per altre persone nella versione altruistica e solidale. Una legge che regolamenta l’accesso alla Gpa per tutelare tutte le persone coinvolte, prevenendo ogni forma di sfruttamento, con particolare riguardo «ai diritti, agli interessi e al benessere dei bambini nati attraverso la maternità surrogata (sia quelli futuri, sia quelli già esistenti), delle portatrici e dei genitori intenzionali», si legge nell’introduzione al rapporto pubblicato alla conclusione dei lavori legislativi. Forse ancora più interessante il metodo con cui gli irlandesi sono arrivati alla loro legge, incaricando un gruppo di lavoro di ascoltare anche il punto di vista di persone nate grazie a un percorso di gravidanza solidale, le donne portatrici e le famiglie che hanno vissuto l'esperienza di una genitorialità attraverso la Gpa. «Condividendo le loro storie personali, hanno fornito ai membri del comitato una visione diretta delle sfide che hanno affrontato e continuano ad affrontare nella loro vita quotidiana», scrivono gli autori del rapporto. Insomma, con pragmatismo e un certo coraggio, la cattolica Irlanda ha voluto affrontare una realtà complessa, riconoscendo che i percorsi verso la genitorialità si stanno trasformando e che la riproduzione medicalmente assistita è diventata un settore dell'assistenza sanitaria che va seguito nelle sue evoluzioni, spesso veloci, per le profonde ricadute che ha sulla vita delle persone.

Davvero l’opposto di quello che avviene nel nostro Paese dove nessuna donna che abbia condotto una gestazione per una coppia che desiderava un figlio è mai stata ascoltata, anzi spesso se ne è negata, a priori, l’esistenza. Nessun ascolto nemmeno delle coppie di genitori, e tantomeno delle giovani persone venute al mondo grazie alla Gpa. Come ai tempi di Galileo ci si rifiuta di guardare nel telescopio. Si dovesse mai vedere la luna.

“Normale per me”

Tra gli argomenti di chi obietta al ricorso alla Gpa c’è che i bambini e le bambine soffrirebbero ad essere privati dal rapporto con la donna che li ha portati in grembo. Per questo molto interessanti sono i primi studi che arrivano dai Paesi, come il Regno Unito, dove la Gpa è regolamentata da una trentina d’anni. Come quello realizzato da Susan Golombok, professoressa emerita ed ex direttrice del Center for family research presso l’università di Cambridge, sulle percezioni e il benessere nelle persone giovani nate attraverso una Gpa o fecondazione eterologa. Il lavoro si sviluppa a partire da uno dei pochi studi longitudinali (cioè quelli che seguono lo stesso gruppo di persone nel corso del tempo), disponibili sulle famiglie create grazie alle biotecnologie e ha coinvolto 65 famiglie britanniche con bambini nati da riproduzione assistita: 22 da gravidanza per altre persone, 17 da donazione di ovuli e 26 da donazione di sperma, dall'infanzia fino alla prima età adulta. Nel corso di una ventina d’anni, i ricercatori hanno confrontato queste famiglie con altre 52 formate con concepimento non assistito nello stesso periodo. Ebbene: i risultati confermano che l'assenza di una relazione biologica tra figli e genitori non interferisce con il benessere psicologico dei giovani adulti o nella qualità delle relazioni familiari. «Nonostante le preoccupazioni di molte persone, le famiglie con bambini nati attraverso queste tecniche stanno crescendo bene», riflette Susan Golombok, che aggiunge: «Se abbiamo notato qualche differenza positiva, è nel gruppo delle famiglie che avevano rivelato subito ai bimbi il modo in cui sono venuti al mondo».

Riflettendo sui propri sentimenti riguardo alle origini biologiche, i giovani adulti intervistati a loro volta sono risultati sereni, qualcuno si è sentito più consapevole, un po' più comprensivo nei confronti della lotta che i genitori hanno affrontato per averlo. Come ha detto uno di loro: «So che non è normale, ma è normale per me. Ed è quello che conta».

Le parole per dirlo

«L’autonomia della gestante per altri, riconosciuta come soggetto etico che dispone di sé, si esercita nel donare a una persona o una coppia la possibilità di essere genitori e a un bambino o bambina di nascere atteso e desiderato da una famiglia che se ne prende cura. Renderlo possibile significa accettare prospettive sulla procreazione diverse da quella tradizionale, ammettere che una gravidanza possa non coincidere con un desiderio personale di maternità, che la genitorialità possa prescindere da genetica e biologia riproduttiva». Non è un’esponente militante delle famiglie arcobaleno a scrivere queste parole, ma la pastora valdese Ilenya Goss, che coordina la Commissione per i problemi etici posti dalla scienza, composta da teologi, medici e scienziati delle chiese metodiste, valdesi e battiste, che si è espressa sulla Gpa già nell’estate 2023.

Il punto è esattamente questo: riconoscere che oggi, in virtù delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita, le prospettive della procreazione sono cambiate, aprendosi a nuove possibilità, meno tradizionali. Come la medicina palliativa e di rianimazione hanno spostato il confine del fine vita, come la tecnologia dei trapianti sta rendendo possibili trasferimenti d’organo impensabili anche solo cinque anni fa, così gli scenari per desiderare, immaginarsi ed essere genitori si sono moltiplicati. Perciò la definizione più consueta di genitorialità: una coppia eterosessuale, giuridicamente sposata che genera figli attraverso il rapporto sessuale e la gravidanza è ormai insufficiente e non riesce a riconoscere i diversi modelli di famiglia resi possibili dall’avanzamento tecnologico.

Non è facile, almeno può non essere facile per tutti accettare queste trasformazioni che mettono in gioco anche i sistemi di valori in cui ci si riconosce. Eppure la via della repressione e delle randellate (metaforiche, almeno per ora) non porta tanto lontano. In questa battaglia di valori che contrappone in maniera trasversale gruppi di persone, non necessariamente schierate sullo stesso fronte politico peraltro, la scelta lessicale ha un ruolo determinante. E se l’espressione “utero in affitto” è orribile e giudicante (di nuovo la ministra Roccella, ma anche la filosofa Lucetta Scaraffia hanno dichiarato che la usano apposta) molto più fuorviante è l’espressione «maternità surrogata», purtroppo passata non solo nella lettera della legge Varchi, ma anche diventata di uso frequente. Un’espressione che non aiuta per niente a capire di che cosa stiamo parlando perché il percorso della Gpa non è affatto un percorso di maternità, ma di gestazione. «Se una gestante per altri viene definita “madre”, nonostante sin dal principio non intenda esserlo, e per di più “surrogata”, che nella nostra lingua ha un valore sminuente, siamo di fronte a una valutazione e a un giudizio più che all’oggettivo nominare una procedura», ci viene ancora in soccorso Ilenya Goss.

Il discorso pubblico intorno alla gravidanza per altre persone può essere deliberatamente viziato dall’appartenenza ideologica, ma questo è possibile anche perché sopravvive una certa confusione tra le parole e i concetti: gravidanza o gestazione non sono maternità, la gestante non può essere “surrogata”, l’utero non viene dato in affitto nemmeno quando la Gpa si realizza in condizioni di mercato, e la famiglia naturale, tanto spesso richiamata come modello, non è l’unica e sola possibile. Insomma, il linguaggio tradisce il sopravvivere di pregiudizi o di inesattezze che costringono allo scontro ideologico invece che al confronto e che respingono sullo sfondo le persone, singole o in coppia, nel loro desiderio di diventare genitori di un figlio o una figlia desiderati, attesi e amati.