Crisi senza fine
Nel disastro ex Ilva la classe operaia va all’inferno
Stipendi dimezzati, ricorso continuo agli straordinari, condizioni di sicurezza precarie. Così la crisi dell’acciaio la pagano i lavoratori. E chi denuncia non viene ascoltato e rischia il posto
Sul contratto di Gregorio c'è scritta la sua mansione: servizi di pulizie aziende industriali e derattizzazione. Il suo è un contratto multiservizi. «Multischiavo», ribatte. Perché pulire un sito industriale è un ruolo riduttivo, se si tratta di affaccendarsi e rischiare la vita nella più grande acciaieria d'Italia, l'ex Ilva; e sgobbare sugli altiforni per mantenerli attivi, respirare le polveri pesanti della cokeria e dei parchi minerali e gestire quegli stessi reparti sequestrati nel 2012 perché, secondo i magistrati, «producono malattia e morte». Gregorio respira la stessa aria inquinata e sottostà agli stessi ordini dei capi reparto delle tute blu che, a differenza sua, hanno un più onorevole contratto metalmeccanico. Gregorio lavora e s'ammala allo stesso modo, ma guadagna la metà dei colleghi assunti per davvero alle dipendenze della AdI, Acciaierie d'Italia, finita (come in un infernale gioco dell'oca) di nuovo in amministrazione straordinaria. «Un neoassunto alle dipendenze dirette dell’ex Ilva prende 1.800 euro al mese. Chi, come me, è assunto dalle società in appalto guadagna 900 euro mensili. Io, dopo venti anni di anzianità, arrivo a 1.100 euro. Per colmare il divario si fanno fino a 60 ore mensili di straordinario e, in queste condizioni, la stanchezza può essere letale». Gregorio, 50 anni, di cui venti in Ilva, ci parla del dumping contrattuale, l'ultima frontiera delle tante ingiustizie subite dalle maestranze della grande acciaieria tarantina. Si tratta della concorrenza sleale attuata nel mondo del lavoro, che ha come vittime gli operai più giovani, costretti ad accettare il contratto multiservizi, nonostante svolgano lavori più impegnativi. Davide Sperti, segretario generale della Uilm di Taranto, racconta che il fenomeno è iniziato con l'arrivo dei franco-indiani di ArcelorMittal: «Chiesero alle ditte dell'indotto un taglio delle fatture del 40 per cento, che non provocò una levata di scudi di queste piccole e medie imprese, bensì un'accettazione supina. A pagare il conto furono le loro maestranze, che passarono dal più oneroso contratto metalmeccanico a quello multiservizi, inadatto all'attività industriale di questi impianti». Ed era solo l'inizio perché, continua Sperti: «Con la gestione affidata all'amministratrice Lucia Morselli il fenomeno è esploso. Acciaierie d'Italia ha cominciato a pagare con ritardi semestrali le ditte che, ogni Santo Natale, mettevano in dubbio stipendi e tredicesime. Quest'anno non andrà diversamente». Anche se oggi la gestione è tornata in capo allo Stato e ai commissari – Giancarlo Quaranta, Giovanni Fiori e Davide Tabarelli – in questi giorni gli autotrasportatori dell’ex Ilva sono in sciopero per l'ennesimo ritardo nei pagamenti. Ed è l’intero indotto a tremare perché, a causa di alcuni finanziamenti traballanti, si rischia di veder posticipati i pagamenti.
L'Espresso incontra Gregorio e i suoi colleghi più o meno anziani davanti alla portineria imprese: sono stretti in un capannello per un’assemblea sindacale convocata dalla Nidil Cgil, la categoria dei precari. Fra loro ci sono gli operai interinali dell’agenzia Etjca e sui loro contratti si legge che «vista la particolarità dei servizi richiesti dai clienti, potrà esserLe richiesto di rendere la prestazione lavorativa anche nelle festività nazionali infrasettimanali e senza che vi sia necessità di consenso esplicito e preventivo da parte Sua». Capodanno e Natale in fabbrica, quindi, per una paga oraria lorda di 8,22 euro. Giuseppe, che vive a Manduria, comune a 50 chilometri dalla fabbrica, dice: «Viviamo in una situazione di ricatto costante, c’è sempre una minaccia all’orizzonte, uno spostamento di mansione, di turno, di reparto, le ferie forzate o le ore di cassa integrazione, infine, anche lo spettro del licenziamento. Un collega, per un post su Facebook, è stato cacciato e poi reintegrato dai giudici». C'è chi ha cercato l'aiuto dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, senza successo: «Le aziende utilizzano gli interinali, che sono i più ricattabili. I contratti ci dividono in lavoratori di serie a, b e c, ma viviamo tutti negli stessi ambienti, respirando gli stessi fumi, la stessa polvere di minerale», continua un altro lavoratore e ci mostra le numerose lettere di denuncia presentate all’Ispettorato. E relative risposte: «Si informa che è necessario circostanziare le irregolarità per la cui richiesta viene presentata». E poi, «si comunica che non sono emersi elementi a supporto di quanto denunciato». Un altro lavoratore si confida: «Gli ispettori una volta mi dissero che se avevo una famiglia, era meglio non denunciare quelle cose, perché avrei potuto perdere il posto». Un altro ancora mostra una contestazione disciplinare ricevuta per aver preteso un aspiratore per spazzare la polvere proveniente dai parchi minerali. Per contrastare il fenomeno del dumping contrattuale, dal 2020 la Cgil ha inviato segnalazioni all'Ispettorato del Lavoro, a Inail, al ministero del Lavoro, prima ad Andrea Orlando, poi a Marina Elvira Calderone. La risposta è stata zero. A L'Espresso l'Inail dice: «Non essendo materia di nostra competenza, l'unica segnalazione pervenuta è stata tempestivamente inoltrata alle autorità competenti». La responsabile dell'Itl, Antonella Cangiano, conferma di aver svolto degli accertamenti congiunti con Inail e Inps, a proposito del fenomeno del dumping contrattuale, che «qualora accertato andrebbe solo represso». Insomma, pare di capire che gli accertamenti non siano terminati. Daniele Simon, responsabile Nidil Cgil di Taranto, dice che per questi ultimi la situazione all’interno delle aziende dell’appalto Ilva è drammatica: «Esiste un meccanismo punitivo nei loro confronti. Se non stai simpatico al datore di lavoro, c’è utilizzo delle ferie forzate. Se non sei abile, ti sospendono per patologie. Chi ha subito danni da lavoro diventa per le imprese un peso da dover gestire». E conclude: «Per questi lavoratori non c’è cultura della sicurezza, non solo perché in massima parte, nel passato, gli incidenti anche mortali hanno riguardato lavoratori giovani, dell’appalto, somministrati, costretti a lavorare in ambienti non adatti, ma anche perché il loro contratto prevede a malapena la visita medica».
Un altro girone dantesco è quello dei dipendenti della Ecologica Spa di Stefano Miccolis, che è anche editore della Gazzetta del Mezzogiorno. Ecologica Spa è l’impresa dell’indotto Ilva con il giro d’affari più ampio, 6 milioni di capitale versato e trecento dipendenti. Ma questa è anche una fra le tante aziende dell’appalto che negli ultimi mesi ha reclamato i crediti vantati nei confronti di Acciaierie d’Italia. Ad Ecologica Spa sono state rivolte anche la maggior parte delle contestazioni presentate da diversi rappresentanti sindacali, e di cui L’Espresso ha preso visione. «Si invita a sostituire la cisterna potabile dell’acqua e delle docce, poiché sono stati riscontrati problemi igienico-sanitari, irritazioni e infezioni sulla pelle», si legge nelle denunce dei delegati sindacali: «Più volte ho segnalato la carenza di una manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto di filtraggio dell’aria che versa in pessime condizioni, in quanto fuoriescono dai filtri polvere e granelli di carbone». Ed è soltanto la punta di un iceberg di irregolarità contestate alle aziende, a cominciare dall’uso dei contratti multiservizi. Lo stesso contratto che aveva Antonio Bellanova, morto schiacciato l’anno scorso sotto il peso di una ecoballa di rifiuti da mille chili mentre era impegnato nelle operazioni di stoccaggio al porto di Taranto, all’interno della stiva di una nave battente bandiera panamense. Bellanova, dipendente di Ecologica Spa, era un lavoratore somministrato con un contratto multiservizi, e un’inchiesta giudiziaria tuttora in corso condotta dai Carabinieri dello Spesal e coordinata dal pubblico ministero Antonio Natale, sta cercando di stabilire le cause della morte. Quello che è certo è che i nomi di alcune imprese che lavorano nell’indotto dell’area industriale di Taranto sono diventati tristemente famosi per gli infortuni mortali accaduti a giovani operai, come il ventenne Giacomo Campo. Altre aziende dell’indotto si caratterizzano invece per un doppio filo tenuto con il mondo politico locale. Un esempio è la Iris Srl, ora fallita, che lascia un buco di diversi milioni di euro e riconducibile al parlamentare di Forza Italia, Pietro Franzoso, deceduto nel 2016 dopo essere stato schiacciato da un pesante cancello nella sua fabbrica.
Un altro è Evoluzione Ecologica, oggi intestata alla famiglia Intermite, ma fino a poco fa riconducibile alla famiglia di Pasquale Lonoce, condannato in primo grado a 9 anni per aver corrotto l’ex presidente di Forza Italia della provincia di Taranto e sindaco di Massafra, Martino Tamburrano. Gli altri legami di questo tipo, tra fabbrica e politica, sono quelli di Gaetano Castiglia, consigliere provinciale di Forza Italia e già assessore con Tamburrano, che è a capo dell’impresa omonima e i cui lavoratori sono stati poi assorbiti dall’Ecologica Spa in seguito a un accordo sindacale firmato da Cisl e Usb, ricevendo in cambio il contratto multiservizi invece che quello metalmeccanico. Neanche la gestione pubblica - «che dovrebbe garantire un ritorno alla legalità, oltre alla salute delle persone» dice Davide Sperti della Uilm - è riuscita a dare un taglio al dumping contrattuale, rubricando quest'ultimo come l'ennesimo problema di un'acciaieria che il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti vorrebbe privatizzare al più presto, per alleggerire i conti pubblici. La scadenza per la presentazione delle offerte vincolanti, fissata al 29 novembre, è stata rinviata per dare il tempo agli interessati di fare le ultime verifiche. A quanto risulta a L'Espresso, però, la totale incertezza che aleggia nel mondo dell'acciaio – è di pochi giorni fa la notizia che il colosso Thyssen Krupp taglierà 11mila dipendenti nelle acciaierie tedesche, cioè il 40 per cento della forza lavoro – rende la cessione dell'impianto difficoltosa. Le offerte economiche delle tre grandi industrie interessate - Vulcan Green Steel dell'indiano Naaven Jindal; la canadese Stelco recentemente acquisita dagli americani di Cleveland Cliff; il gruppo azero Baku - non sarebbero neppure sufficienti a coprire i prestiti pubblici accordati negli ultimi anni dallo Stato all'ex Ilva. Ed è per questo che, nonostante la contrarietà dei dipendenti e degli esperti del settore, si fa strada la possibilità di uno spezzatino, che renderebbe la vendita economicamente più vantaggiosa. A poco serve la rassicurazione del ministro delle imprese, Adolfo Urso, di garantirne il futuro del siderurgico con il golden power. Temi alti e altri, che volano sopra la testa di chi, per 900 euro al mese, si rovina la vita e qualche volta la perde.