Violenza di genere
Baroni molesti Il MeToo degli atenei
A Genova un docente pubblica sui social foto hard ritoccate di ignare studentesse. Scoppia la protesta che dilaga in tutta Italia. E fioccano le denunce ai pochi sportelli antiabuso
È l’ultimo caso, quello che fa più rumore: il professore associato di Architettura indagato a Genova per aver “spogliato” alcune studentesse a partire dalle loro foto pubblicate sui social, attraverso una app che utilizza l’intelligenza artificiale, per poi diffonderle su Telegram. Le indagini sono in corso: a metterle in moto è stato lo stesso ateneo, in seguito alle denunce di alcune matricole. È l’episodio che ha fatto da scintilla alle proteste, con le studentesse del collettivo Cambiare rotta che si sono incatenate davanti al rettorato per cinque giorni e quattro notti. Per chiedere un centro antiviolenza in ateneo: «Quello che è accaduto – racconta Alice Natale, al primo anno di Infermieristica, legata al pilastro di marmo del rettorato – è la punta dell’iceberg. Rivela un sistema malato». È un vero e proprio MeToo universitario, quello che si sta propagando negli atenei di tutta Italia. Che ribollono: da Torino a Milano a Roma si raccolgono denunce. E si cercano risposte negli sportelli antiviolenza di ateneo, che si stanno moltiplicando. Come a Pisa, dove è nato un centro interuniversitario che fa capo a Università di Pisa, Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant’Anna; o all’Università della Calabria, dove esiste uno spazio polifunzionale con la presenza attiva del corpo studentesco.
In catene contro il rettore
Nella terza notte trascorsa all’aperto, le studentesse incatenate ai piloni nel cortile del rettorato dell’Università di Genova indicono un’assemblea pubblica. Le incontriamo qui, avvolte nelle coperte, focaccia e biscotti portati dai compagni di corso, mentre altre studentesse e studenti, in cerchio, portano le loro esperienze. «Abbiamo lanciato un form anonimo su Google – spiega a L’Espresso Alice Natale – quello che emerge è che ad Architettura l’ambiente di rapporti non professionali tra studenti e prof era normalizzato. Era ed è consueto, purtroppo, che un prof ti si avvicini, che ti inviti a un aperitivo in modo non formale, che ti faccia avance anche sessuali. Un sistema marcio». Il rettore Federico Delfino al quarto giorno di protesta ha incontrato le studentesse, presentando il progetto dell’ateneo: un punto di ascolto con uno psicologo. «Un’idea nata quando è accaduto il tragico caso di Giulia Cecchettin – spiega – ci abbiamo lavorato per un anno, pubblicheremo a breve i bandi e ci coordineremo con i centri antiviolenza del territorio». Ma agli universitari non basta, e a sostenerli c’è anche il Comitato pari opportunità di ateneo guidato dalla docente di Sociologia Luisa Stagi: perché un progetto ad hoc esisteva già, è costato 23 mila euro di assegno di ricerca e un anno di lavoro della sociologa Mariella Popolla. Che ha studiato il modello dell’Università di Valencia e prevede la presenza delle operatrici dei centri antiviolenza in ateneo per la presa in carico. «Temo che ci sia una fortissima resistenza ad adottare un approccio di genere quando si vogliono affrontare questioni di genere», riflette Popolla, attualmente assegnista di ricerca e docente a contratto all’Università di Cagliari. La vicenda approda anche in Parlamento: la deputata e vicepresidente del gruppo Pd alla Camera Valentina Ghio, infatti, ha presentato un’interrogazione alla ministra delle Pari opportunità e a quella dell’Università: «Non si tratta di una questione episodica, ma strutturale in diversi atenei. Va affrontata».
Torino, il primo sportello in Italia
L’ateneo torinese è il primo a essersi dotato di uno sportello antiviolenza: inaugurato nell’ottobre 2019, quello del Campus Einaudi nasce dal basso, dall’incontro tra il gruppo di ricerca Varco e i centri antiviolenza Emma onlus. Da un mese sono attivi altri quattro: a Palazzo Nuovo, Scuola di Management ed Economia, Campus di Agraria e Veterinaria di Grugliasco, gestiti con le operatrici di Emma e di Telefono Rosa Piemonte Torino. Anche l’ateneo torinese è stato scosso da casi di cronaca che hanno fatto detonare le proteste. Uno riguarda l’ex direttore della scuola di specializzazione di Medicina legale: agli arresti domiciliari, accusato – oltre che di falso ideologico – di violenza sessuale, minacce e stalking. L’altro coinvolge un professore di Estetica: sospeso per un mese per comportamenti molesti che avrebbe tenuto con alcune dottorande, battute allusive e messaggi privati. Sono le micce della protesta studentesca dello scorso 9 febbraio. «Abbiamo bloccato le lezioni per una giornata e avviato una discussione a Filosofia perché l’Università prendesse una posizione sul caso – ripercorre Erica Chiesa, studentessa di Comunicazione, di Cambiare Rotta Torino – ma hanno solo condannato il singolo, che comunque tornerà a insegnare il prossimo semestre. Il nostro slogan invece è: non parlateci di mele marce, perché il problema è generalizzato». Quanto generalizzato, lo mostrano i cartelli che erano appesi sulle colonne del rettorato: «Un mio compagno mi ha toccato più volte senza il mio permesso mentre studiavamo», «un professore mi ha accarezzato la gamba per complimentarsi con me durante un consiglio di dipartimento». Lettere anonime raccolte dal gruppo Studenti indipendenti in appena due settimane, frutto di un questionario fatto girare su WhatsApp. Proprio per sbattere in faccia agli autori frasi sgradevoli e inopportune, è nata due anni fa la campagna permanente all’Università di Trento #finiscequi, prima in Italia e ora seguita anche dagli atenei di Brescia, Genova e Roma Foro Italico: una serie di manifesti affissi nelle sedi dell’Università e pubblicati sui social che riportano frasi frequenti che svelano discriminazioni e molestie. Come: «Ha detto che sono un ottimo ingegnere per essere donna», o «ha detto che poi ce lo rispiega dato che la fisica non è per noi ragazze». L’invito dell’ateneo è di segnalare, rivolgendosi alla consigliera di fiducia.
Milano, Brera al veleno
A fornire numeri allarmanti ci sono i risultati del questionario anonimo distribuito dall’Università degli Studi di Milano a studenti, docenti, amministrativi, dello scorso marzo: su 5.244 risposte, 218 denunciano violenze sessuali compiute al di fuori dell’ateneo ma con persone con cui si avevano rapporti di studio o lavoro in università, 212 tentate violenze sessuali (carezze, baci o contatti inappropriati), 347 episodi di stalking. In percentuale le categorie più colpite sono quelle degli assegnisti, dei borsisti, degli specializzandi e dei dottorandi. E dunque, la Statale ha risposto con lo sportello Ad alta voce, realizzato con il centro antiviolenza della clinica Mangiagalli. Poi c’è il caso che ha agitato l’Accademia di Brera, dove le votazioni per scegliere il nuovo direttore, a giugno, sono state segnate da una lettera d’accusa che una professoressa ha spedito a oltre cento colleghi raccontando di essere stata molestata da uno dei candidati. «Assurdo che la campagna elettorale sia andata avanti come se niente fosse – racconta Giorgia Salvati, studentessa di Filosofia alla Statale, di Cambiare Rotta Milano - è mancata la volontà politica di bloccare tutto. Noi abbiamo fatto assemblee e dato vita a un presidio. Perché è un problema strutturale: il modello universitario è intriso di abusi». A Genova, intanto, le studentesse hanno sciolto le catene. Per ora: «La lotta paga – rivendicano – non finisce qui».