Ventuno Paesi su ventisette, secondo i dati di Amnesty international, prevedono una forma di riconoscimento sulle tenute di chi gestisce l'ordine pubblico. E, nonostante le pressioni internazionali e dell'opinione pubblica, questa eccezione non finirà presto

Gli scudi che spingono, le manganellate che partono a casaccio sugli studenti disarmati che manifestano contro il genocidio in corso in Palestina, ha riaperto il dibattito sulla necessità di utilizzare dei codici identificativi sulle uniformi delle forze dell’ordine. Nella maggior parte degli stati membri dell’Unione europea, identificare gli agenti di polizia che si occupano di ordine pubblico è già una regola diffusa. L’Italia fa eccezione.

 

Secondo una mappatura di Amnesty International, sono 21 su 27 gli Stati membri che hanno deciso di adeguare le proprie normative interne alle richieste dell’Unione Europea. Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna sono i paesi che hanno introdotto misure di identificazione per gli agenti impegnati in attività di ordine pubblico.


La Germania le prevede in nove regioni su 16. In altri Länder per i corpi di polizia regionali la polizia è libera di scegliere se riportare un’etichetta identificativa o meno (a Berlino, però, dal luglio 2011 la polizia ha l’obbligo di esporre un codice di riconoscimento di quattro cifre). Mentre in Ungheria e in Svezia, pur non essendo previsto un obbligo, gli agenti di polizia espongono nome e grado sull’uniforme, oltre che un codice quando indossano l'equipaggiamento speciale. La Grecia nel 2010 ha introdotto l’obbligo, per tutti gli agenti, di rendere visibile nelle proprie spalline un numero di riconoscimento individuale. Nel 2013 è toccato alla Francia, che ha imposto a tutti gli agenti in servizio, sia in uniforme che in borghese, l’obbligo di esposizione del codice alfanumerico di riconoscimento.  

 

 

Nella risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea, il paragrafo 192 «esorta gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo». Anche il Relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto alla libertà di assemblea pacifica e di associazione e quello sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie raccomandano, in merito alla corretta gestione delle manifestazioni, che «i funzionari delle forze di Polizia siano chiaramente e individualmente identificabili, ad esempio esponendo una targhetta col nome o con un numero». Nel 2022 una delegazione di Amnesty International Italia ha consegnato al Capo della Polizia e direttore Generale della Pubblica Sicurezza, prefetto Lamberto Giannini, oltre 155.000 firme raccolte in calce alla petizione della campagna che chiede l’introduzione di una legge sui codici identificativi per le forze di polizia impegnate in operazioni di ordine pubblico. 

 

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, rilancia a L'Espresso l'appello e spiega: «La contropartita sono le webcam che non possono essere un'alternativa. Pisa, Firenze andando indietro nel tempo anche prima, pensiamo a Torino, fanno emergere il bisogno di avere questi codici. Sono una forma di garanzia anche per la polizia perché isola i comportamenti contrari alla legge». La campagna per inserire anche in Italia i codici identificativi era stata lanciata durante il decimo anniversario del G8 di Genova: «Si sono susseguiti diversi Governi, di diverso colore, eppure questo tema non è mai diventato una priorità». E al capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri che ha chiuso alla possibilità di una normativa («Non ci saranno mai. Servirebbero solo per false denunce»), il portavoce di Amnesty replica: «Nel corso di questi 13 anni c'è stata una pronuncia del Parlamento europeo del 2012 non vincolante eppure gli altri paesi l'hanno adottata. Da quello che sappiamo non c'è stato un segnale di abuso o di un uso eccessivo e improprio di questa normativa. L'applicazione è limitata ai contesti di gestione di ordine pubblico, non quando si fa irruzione nei covi di bande armate o simili».