I celebri versi sugli studenti e i poliziotti a Valla Giulia, pubblicati da L’Espresso nel 1968, vengono ancora strumentalizzati. In realtà erano un atto di accusa contro il Potere. Dal quale il poeta è stato perseguitato. E ucciso

Caro direttore, in questo scomposto turbinìo di manganelli non poteva mancare l’ennesimo rimando a Pier Paolo Pasolini: «Lui stava dalla parte dei poliziotti, non degli studenti». Citazione tanto consunta quanto «a schiovere», direbbe Eduardo, cioè fuori luogo, sbagliata. E strumentale.

 

Del resto non è la prima volta che il poeta viene strattonato verso il pantheon della destra (oggi Tajani, ieri Salvini e Sgarbi): sorte amara per chi è stato irriso (“Il Borghese” lo chiamava PPPP, e la quarta P stava per pederasta), linciato, perseguitato da polizia, giudici, “benpensanti” di destra. Ucciso. E poi inseguito per cinquant’anni dall’«infame mantra» (copyright Wu Ming): Pasolini stava con i poliziotti.

 

Quel j’accuse - scritto dopo gli scontri tra studenti e polizia, il primo marzo 1968 a Valle Giulia, a Roma: manganelli, autoblindo in fiamme, feriti, arresti - era destinato a Nuovi Argomenti ma, intercettato da L’Espresso, era stato pubblicato integralmente il 16 giugno. Fu la causa di una furibonda lite, mai più sanata del tutto, tra questo giornale e Pasolini che aveva autorizzato solo qualche stralcio e che si era pure ritrovato un titolo non suo: “Vi odio cari studenti”.

 

 

Certo i versi più irritanti suonano proprio così: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri». Ma poche righe su 212 proprio non bastano, bisogna andare avanti: «E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio, fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico in cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha eguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare)».

 

Dalla parte dei poliziotti? Macché. Piuttosto Pasolini segnalava una novità che non gli piaceva, che figli della borghesia attaccavano figli di poveri agitando bandiere di sinistra. Ecco le sue parole: «A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri». Guerra civile, più che una rivoluzione che gli studenti da soli non avrebbero mai fatto. E infatti, paradosso dopo paradosso, ecco l’invito: «Andate ad accamparvi in via delle Botteghe Oscure!».

 

E fu polemica. Isolato sia dagli studenti che dal Pci, Pasolini sentì addirittura la necessità di spiegarsi (su Tempo Illustrato del giugno 1969): «Nella mia poesia dicevo, in due versi, di simpatizzare per i poliziotti, figli di poveri, piuttosto che per i signorini della facoltà di Architettura di Roma […]; nessuno dei consumatori si è accorto che questa non era che una boutade, una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l’attenzione del lettore, e dirigerla su ciò che veniva dopo, in una dozzina di versi, dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescio, in quanto il potere oltre che additare all’odio razziale i poveri […] ha la possibilità anche di fare di questi poveri degli strumenti, creando verso di loro un’altra specie di odio razziale».

 

Ma ormai, per dirla con Wu Ming, la frittata era fatta, «per la gioia di “postfascisti”, ciellini, sindacati gialli, teste da talk show, scrittori tuttologi esternazionisti, commentatori pavloviani». Appunto.