Rievocare le qualità degli uomini d’altri tempi per giustificare chi oggi non esercita il diritto di voto è un triste esercizio nostalgico. Dalla nostra rubrica delle lettere

Cara Rossini,
dall’età di 21 anni – oggi ne ho 73 – sono sempre andato a votare. Considero il voto un diritto-dovere del cittadino. Mio padre mi diceva che ogni voto è importante e le Regionali in Sardegna lo confermano. Ciò che mi amareggia è la grande percentuale di persone che non si sono recate alle urne. Credo che ritengano il proprio voto ininfluente sulla proprie condizioni di vita, di studio e di lavoro. È una sostanziale sfiducia in questo sistema, ma si dimentica che gli altri assetti istituzionali, che non si basano su libere elezioni democratiche,  hanno evidenziato derive autoritarie con rischi ben maggiori. Questa sfiducia dell’elettorato si riflette su chi viene nominato a rappresentarlo. «Deputati e senatori – si dice – tutelano i loro di interessi». Con la disaffezione al voto si manda un messaggio negativo alla politica dimenticando che il Parlamento è, nel bene e nel male, lo specchio del Paese. Forse si potrebbe migliorare la selezione della classe politica scegliendo i candidati migliori. Magari guardando agli albori della Repubblica, quando Enrico De Nicola, primo capo provvisorio dello Stato, per rispondere alle lettere dei cittadini acquistava da sé francobolli. O quando il suo successore Luigi Einaudi in una cena ufficiale al Quirinale chiese se qualcuno volesse dividere una pera con lui.
Ennio Gelosi

 

 

La risposta di Stefania Rossini
Rievocare le qualità di uomini d’altri tempi è un triste esercizio nostalgico. Noi siamo qui e ora con scontento e rabbia che hanno invaso la politica, con la democrazia in crisi perché sfiduciata da cittadini delusi e con il rischio di derive autoritarie. Quasi una nemesi per il lungo periodo di pace, benessere e progresso di cui abbiamo goduto. Ma è questo il mondo che ci siamo costruiti e che dobbiamo affrontare senza l’alibi di sentirci estranei.

 

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