Intervista
Pier Luigi Bersani: «Schlein deve ricostruire il Pd. Conte stia attento a quello che semina»
«I cacicchi sono frutto del partito liquido. Per questo la segretaria deve ricostruire il partito. Il leader 5 Stelle dovrebbe cambiare bilancia per le critiche che avanza. Tarquinio si candida? Bisogna fare la ola». Parla l'ex segretario ed ex ministro dem
Pier Luigi Bersani conosce la materia meglio di tutti. Il Pd «si dovrebbe dotare certo di un codice etico più stringente, ma anche di una struttura politica più forte: è nato come partito liquido, ha bisogno di solidità». E Giuseppe Conte dovrebbe fermarsi: «Dosare la misura delle critiche, prima che sia tardi: se si continua così, dietro di noi non avremo più nessuno». L’ex segretario del Pd, il primo a tentare (invano) un accordo di governo coi Cinque Stelle nel lontano 2013, scissionista con Articolo 1 e rientrato un anno fa nei dem, per via della sua storia ha una speciale cognizione di causa in questi giorni difficili sia per i democratici, scossi dal caso delle inchieste di Bari e Torino, sia per l’alleanza coi Cinque Stelle, picconata dalle critiche del leader M5S. In altri tempi lo si sarebbe chiamato un padre nobile, ma non è decisamente quella stagione: «Io sono un volontario dell’Auser, l’associazione dei pensionati, al massimo do una mano, spingendo il carro invece di pretendere di tirarlo».
I cacicchi non ci sono da oggi, nel Pd, e nemmeno il trasformismo. Che dovrebbe fare Elly Schlein?
«Bisogna anzitutto rafforzare assolutamente il codice etico, che c’è già ma si può rendere più stringente. E però affrontare un problema strutturale del Pd: quello di essere un partito così liquido da diventare ai margini anche evanescente. È stato costruito in tempi nei quali si pensava che assomigliare alla società civile fosse una garanzia di innocenza. In omaggio a questo si sono allentati moltissimo gli strumenti di selezione, di verifica e di controllo. E questo lascia una porosità. Non si può certo imputare a Schlein, ma si dovrebbero fare dei passi per solidificare la struttura del partito».
Servirebbe anche a contrastare il trasformismo?
«Certo: organismi autorevoli sarebbero in grado di dire, anche a livello locale: no, questa operazione politica non si fa. È che oggi, a fronte degli amministratori, non c’è davvero il partito: e allora il partito diventano loro. I sindaci, i governatori. Quindi servirebbe un meccanismo che rafforzi il ruolo degli iscritti e quello gli organismi dirigenti, in modo che siano in grado di intervenire anche in situazioni locali».
Nelle scorse settimane lei e Schlein siete stati più volte insieme in giro per comizi, in Sardegna e in Abruzzo. Nel 2013, dopo il tradimento dei 101 che non votarono Prodi per il Quirinale, lei si dimise da segretario e l’attuale segretaria animò il movimento Occupy Pd. Vi siete ritrovati?
«Noi ci siamo ritrovati già anni fa, quando Schlein ha guidato la Lista Coraggiosa per l’Emilia-Romagna. Lei rappresenta un salto generazionale necessario, è chiamata a fare da ponte, a trovare un equilibrio tra sensibilità e generazioni profondamente diverse. E per fortuna l’abbiamo trovata una persona capace di portare il Pd verso stilemi nuovi, altrimenti andavamo a finire male. Il Pd era talmente rinsecchito, che non vedeva la gente che era a mezzo metro dalla sua porta».
Cosa c’è stato, in mezzo?
«A livello di Pd, in mezzo c’è stata la stagione renziana. Un periodo in cui abbiamo preso a schiaffoni i nostri mondi con l’intenzione esplicita di tagliare le radici di sinistra del partito, e di farne la Forza Italia dei tempi nuovi. Danni spesso sottovalutati ma invece ancora presenti e profondi, e che hanno prodotto fratture coi nostri mondi ancora non ricucite, nonostante la novità grossa rappresentata dalla nuova segretaria. Per questo, penso bisognerebbe avviare, magari in autunno, una discussione che coinvolga l’insieme del partito».
Un altro congresso?
«Ma no, chiamiamolo come vogliamo: conferenza programmatica, o anche Ugo. Prendi quattro cinque temi: pace, guerra, lavoro, un giudizio sulla stagione renziana. Li fai circolare non solo a Roma, apri una discussione in giro per il Paese. Non c’è mai confronto tra le parti, anche il meccanismo congressuale non lo favorisce, io credo che quello sia stato e sia un problema: se vuoi riprendere un rapporto reale con alcuni strati della società e con i nostri mondi, a cominciare da quello del lavoro, devi far vedere che ti strappi un po’ la giacca. Devi far vedere che il cambiamento oltre che nello stile, nel messaggio, nella generazione, nei temi, è anche una correzione politica. Ad esempio sui temi del lavoro devi dire ben chiaro che hai fatto qualche stupidaggine».
Trova che Schlein non lo dica?
«Lo dice, ma non è abbastanza. Perché se continua lei a dirlo, ed altri invece a pensare che non è così, non basta. Il cambiamento si deve riverberare su tutto il partito: abbiamo fatto un certo numero di stupidaggini, cari lavoratori, cari insegnanti, cari giornalisti. È chiaro che questo significa anche un elemento di chiarimento che può portare anche dei guai, dentro al partito. Ma serve per tornare ad essere espansivi».
Facciamo un esempio?
«La pace, un tema cruciale. Affermazione numero uno: la sinistra, noi, non possiamo essere un partito del pacifismo assoluto, perché nasciamo dalla Resistenza. Detto questo il pacifismo assoluto per noi è comunque un valore che fa parte della compagnia. Discutiamo: è così? Dopodiché se c’è nella mia compagine uno che mi porta invece una idea assoluta di pacifismo, gli lascio spazio, anche di autonomia».
Anche di elezione? L’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio si può candidare o è un disastro?
«Bisognerebbe far la ola. Dice: Tarquinio si candida. Ola».
Dopo le accuse di Giuseppe Conte è ancora possibile un’alleanza coi Cinque Stelle?
«Su Bari la destra ha organizzato un trappolone e noi ci siamo finiti dentro mani e piedi per due motivi. Il primo riguarda il Pd, come abbiamo detto. Dal lato Conte, però, questa vicenda evidenzia che non solo non c’è un meccanismo di solidarietà, ma mancano elementi minimi di rispetto. Perché non è che dice: “Occhio che mentre migliaia dei vostri tirano su l’acqua col cucchiaino c’è qualcuno che la butta via col secchio”. Apre invece una questione quasi ontologica sul Pd, cioè domanda se Elly Schlein vuol fare il partito vecchio o quello nuovo. Allora lei potrebbe chiedergli: vuoi fare un altro “Vaffa day” e tornare allo streaming?».
Conte vuol tornare al M5S prima maniera?
«Io gli rimprovero di perdere la misura della critica: usa una bilancia un po’ asimmetrica, nella quale le cose che dice lui pesano una piuma, quelle che si sente dire pesano una tonnellata. Ma se immagini che tanto poi ci si ritrova quando è ora di combattere, devi fare attenzione a quel che semini».
Perché poi raccogli tempesta?
«Puoi creare una reciproca incompatibilità tra elettorati: i dem che non votano più i grillini e viceversa. Io dico: finiamola ragazzi, stiamo dando scandalo mentre inizia una campagna amministrativa rilevante e c’è una destra pericolosa al governo di questo Paese. Smettiamola, no?».
Lei è stato il primo a tentare un governo coi grillini, che non vollero. Quando loro hanno voluto, si è fatto: il Conte due. A che punto siamo adesso?
«Anzitutto bisogna capire i Cinque Stelle da dove sono nati: sono nati contro il Pd, raccogliendo in questo “vaffa” un pezzo non irrilevante della nostra gente, e assieme a questo mettendo insieme di tutto: la campagna anti-casta del “Corriere della Sera”, la sinistra delusa, con un po’ di destra revanscista, l’incazzatura generica di chiunque. Dopodiché hanno cominciato una strada che è ancora adesso quella: nel loro mondo le parole coalizione, alleanza, non hanno il peso, il significato che hanno per gli altri. Loro, anche adesso, devono essere riconoscibili su alcune loro cose, il resto è relativo. Una volta erano il numero di parlamentari, gli stipendi, la casta, reddito di cittadinanza… Issues che hanno una dimensione nazionale. Ecco, ci dicessero quali sono le nuove cose su cui vogliono puntare. Una volta fissate, si discute e si vede, perché le alleanze si sono sempre fatte nello stesso modo».
Cioè come?
«Primo: devi volerle, qui non ci siamo ancora. Secondo: parti da quello unisce. Terzo: rendi compatibile, con un po’ di fatica, quello che ti differenzia».
Appare problematico il primo punto: volerlo.
«Loro in realtà sono convinti che si farà l’alleanza, anche il loro elettorato lo è, risulta da tutte le loro rilevazioni. Il problema è che pensano, anche per loro esigenze, di marciare divisi e colpire uniti. Ma per vincere non funziona: se marciamo divisi, con una destra così, quando arriviamo al momento di colpire uniti, ci voltiamo e non c’è più nessuno dietro di noi che ci segue».
E allora qual è il consiglio numero uno?
«Se vogliamo battere la destra, abbiamo urgenza di dire che siamo un’alleanza e di lanciare in giro per il Paese dei Comitati per l’alternativa: aperti, con tre-quattro punti di valori e principi, dicendo che siamo Pd, Cinque Stelle, sinistra e verdi ma sappiamo che non può essere solo la politica, che c’è bisogno di un’alternativa morale, civica, liberale in questo Paese. Il programma lo costruiremo in un grande rapporto con la società. Poi vediamo come aggiustarla. Già adesso, se si dicesse una cosa così, in un giorno non li riusciresti più a contare, i Comitati. Perché c’è tanta gente, ma proprio un sacco, che non sopporta questo barbaro dominio ma è in isolamento, ma non sa dove andare».
E chi la guiderebbe un’alleanza? Serve sempre qualcuno che non sia del Pd, come accaduto finora?
«Ma assolutamente no: questo problema non lo sbrogli nelle segrete stanze, con una riunione tra Conte e Schlein. Ma se fai il percorso che dicevo, vedrai che viene fuori chi dovrà essere. Che sia Pd, Cinque Stelle, Avs, indipendente, Papa straniero, quello che vuoi. Fai partire i carri dell’alternativa e quando sarai sotto vedrai come decidere. Quando abbiamo vinto, noi più o meno abbiamo fatto sempre così».