Ai Meloni boys piace la teoria cardine dell’egemonia. Ma per imporre valori che dividono

Caro direttore,

 

gonfierà il petto d’orgoglio l’ottimo Ugo Sposetti, l’ex parlamentare comunista che amministra il patrimonio del fu Pci – dal famedio del Verano, dove riposano Togliatti, Iotti, Di Vittorio, ai 2.399 immobili di proprietà, sezioni e non solo – e presiede l’Associazione Enrico Berlinguer che all’ex segretario ha appena dedicato una bella mostra. Mostra galeotta, per così dire, perché ha colpito al cuore sia Elly sia Giorgia. Una dopo l’altra.

 

Schlein, leader dem da un anno, dopo aver girato con Sposetti i padiglioni di Testaccio ha deciso di stampare la foto di Berlinguer sulla tessera del Pd. Marchio identitario. Meloni, premier da diciotto mesi e presidente di Fratelli d’Italia – partito che discende dai lombi di Fini (rimosso), ma nel cui simbolo arde ancora la fiammella voluta da Almirante (mai rinnegata) – visitando la stessa mostra con lo stesso Sposetti deve aver pensato che Berlinguer non andava lasciato alla sinistra. Ora, che Schlein rispolveri un’ala del pantheon non sorprende, anche se la scelta – in politica ogni gesto ha un senso – si presta a più interpretazioni: voglia di riportare a casa la parola d’ordine della «questione morale» sfilandola a Conte & C.? Nostalgia del Pci più che dell’Ulivo? Puro marketing? Scegliete voi. Ma perché Meloni? E perché pochi giorni dopo, alla convention di FdI a Pescara, è arrivata la calorosa standing ovation alla memoria di Berlinguer sollecitata da quel demonio di Ignazio La Russa? Vediamo. Secondo Paolo Macry, Berlinguer piace perché, scagliandosi contro i partiti che occupano le istituzioni corrompendole, innescò per primo la miccia del populismo che oggi pervade destra e sinistra. Marco Damilano, acutamente, ha invece letto nell’applauso un ossequio ad Almirante che con il leader comunista coltivò rapporti di rispetto e stima per rettitudine e onestà, fino a omaggiarlo nella camera ardente. C’è pure una lettura, come dire?, minimalista, che vuole il gesto ispirato solo dalla presenza di Bianca Berlinguer che, altro che TeleKabul!, aveva accettato di «entrare nella tana del lupo» per la bella intervista a La Russa.

 

Hanno tutti un po’ ragione. Ma si ha l’impressione che questo repechage da destra non sia occasionale. La Rai meloniana maltratta Scurati, ma prepara un docufilm su Antonio Gramsci, che quindi avrà più fortuna commemorativa del povero Giacomo Matteotti. Forse del teorico e fondatore del PCd’I, martire antifascista, si apprezzerà da destra il pensiero critico e la forza del dialogo (in primis con Piero Gobetti), e il netto no alla svolta settaria e filostaliniana del partito pagato con l’ostracismo, l’emarginazione e, in fondo, la vita stessa.

 

Ma di certo è intorno alla teoria cardine di Gramsci, quella dell’egemonia, che si appunta l’attenzione dei Meloni boys, come suggerisce anche uno stimolante saggio di Alessandro Giuli – “Gramsci è vivo”, Rizzoli – dal sottotitolo esplicito: “Sillabario per un’egemonia contemporanea”. Ecco, il richiamo a una nuova egemonia segna da sempre il sogno della destra al governo. Solo che non è dato sapere quali siano gli ideali politici, morali, sociali che si vorrebbero egemonicamente imporre o, nella migliore delle ipotesi, condividere. Si registrano piuttosto il rifiuto di valori sui quali è fondata la Repubblica, dunque di tutti (e perciò Sergio Mattarella difende ogni giorno la Costituzione da assalti scomposti), e il tentativo di estirpare simboli che non sono propri. Per ora non si condivide nulla, né si indicano nuove strade. Si strappano bandiere altrui. Ci rifletta la destra migliore. E anche la sinistra a rischio scippo.