Il personaggio
Conte deve uscire dal bunker, altrimenti i 5S rischiano l'estinzione
L'ex premier ha pensato di poter competere col Pd per la supremazia nel centrosinistra, invece si trova con un risultato choc e senza più idee e volti. Urge richiamare i "vecchi". A cominciare da Beppe Grillo
9,99 oppure 10 tondo, ancora una scheda recuperata o contestata e sapremo la targa di una sconfitta abbastanza annunciata. Le percentuali del Movimento Cinque Stelle sono l’unica forma di vitalità di un partito (già, partito, non è mica una blasfemia), rigido, assai pigro, immobile. Altro che movimento.
In un anno e mezzo di legislatura e di governo Meloni, il partito di Giuseppe Conte è il solo che segna una negativa inversione di tendenza. A ottobre ’22, nonostante il ritorno all’opposizione dopo aver partecipato a tre governi diversi in quattro anni, s’era convinto di essere in gara col Partito Democratico per la supremazia nel centrosinistra e soprattutto rappresentante irrinunciabile delle istanze del Mezzogiorno isole comprese. La peggior notizia per Conte non è arrivata adesso e non è arrivata dal governo. La peggior notizia di Conte è stata la nomina a segretaria di Elly Schlein (febbraio ’23), rivelatasi capace – seppur nella polifonia democratica – di coprire lo spazio politico (guerra, salari, poveri) che i Cinque Stelle cercano di occupare a fatica e anche controvoglia.
Le ambizioni di un ritorno a Palazzo Chigi impediscono a Conte, o almeno gliel’hanno impedito finora, di comportarsi da azionista di minoranza di uno schieramento che prima o poi dovrebbe, e potrebbe, battere il destracentro di Giorgia Meloni. Anziché percepire i limiti dei Cinque Stelle e aprirsi a un confronto dentro e fuori al partito, Conte ha creato la sua personale roccaforte, circondato da fedelissimi che l’hanno rassicurato su bel tempo anche in mezzo alla tempesta. E per esempio ha utilizzato il limite dei due mandati, l’ultima tradizione rimasta, per bloccare il ritorno degli ex parlamentari di valore e la crescita di figure di primo piano come Roberto Fico che è stato terza carica dello Stato. Le liste farcite di sconosciuti e povere di nuove idee, non basta la nostalgia del reddito di cittadinanza, ecco, hanno prodotto il risultato che Conte con troppa grazia ha definito «deludente».
Il Movimento non è stato mai un partito di un singolo, verticale, neppure ai tempi dei fondatori, il megafono Beppe Grillo e il cervello Gianroberto Casaleggio. Il rischio per i Cinque Stelle di scomparire gradualmente è più che reale. È il momento di citofonare a casa. E richiamare un po’ di gente lasciata a poltrire sul divano. A cominciare da quel Beppe lì.