Scuola
La riforma della scuola professionale è legge. Le opposizioni: «Un provvedimento confuso che piega l’istruzione alla logica delle aziende»
Il nuovo percorso di studi 4+2 secondo il ministro Valditara colmerà il «mismatch» con il mondo del lavoro. Ma l'organico dei docenti resta invariato e agli studenti viene chiesto di iscriversi senza informazioni sulla didattica
«Vuoi bruciare le tappe e inserirti nel mondo delle imprese o della formazione universitaria?». «Il percorso consente allo studente di abbreviare i tempi nel conseguimento del diploma, e proiettarsi fuori dalla scuola per vivere nuove e diverse esperienze con un anno di anticipo, allineandosi all’esperienza di vari paesi europei». Così l’Istituto tecnico statale “Aterno- Manthonè” di Pescara, ad esempio, presenta la nuova istruzione tecnico-professionale 4+2, tanto voluta dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara che il 31 luglio, dopo l’approvazione al Sentato di gennaio, ha avuto il via libera anche dalla Camera, ed è diventata legge.
La scuola, presa a campione, è una delle 171 che avevano aderito al "Piano nazionale di sperimentazione filiera tecnologico-professionale” avviato già a fine 2023, come si capisce dall’elenco pubblicato sul sito del Mim. Tra le altre presenti nella lista - che contiene, come evidenziato in un articolo pubblicato a gennaio 2024, parecchie strutture private e paritare e anche l’Istituto tecnico salesiano “Don bosco” in Egitto che per essere ammesso alla sperimentazione non ha ritenuto necessario neppure esplicare quali sono i partner nella costruzione della filiera - ce ne sono alcune, come l’I.I.S. “Einaudi-Alvaro" di Palmi, Reggio Calabria (istituto sempre scelto a campione dalla lista) che non hanno sul sito nessuna informazione circa i nuovi percorsi di studio.
Così gli studenti, che secondo quanto ha dichiarato il ministro Valditara in occasione dell’approvazione della riforma, avranno, grazie alla nuova filiera, «gli strumenti per costruirsi, in base alle proprie inclinazioni, un solido futuro», e potranno colmare il «mismatch drammatico tra offerta e domanda di lavoro», a poco più di un mese dall’inizio della scuola, dovrebbero iscriversi a un nuovo percorso di istruzione di cui non si sa nulla. Ancora meno di quanto si sa del Liceo del Made in Italy, a cui si sono iscritti in pochissimi forse anche perché manca il programma dei tre anni dopo il biennio. O magari in questo caso dovrebbe bastare l’invito a «bruciare le tappe e abbreviare i tempi di conseguimento del diploma».
«Vuoi conoscere i dettagli e la mappa delle scuole che hanno aderito? Trovi tutto su unica.istruzione.gov.it (la nuova piattaforma voluta dal Mim per avvicinare la scuola alle famiglie con particolare attenzione all’orientamento scolastico ndr)», dice il video promo sulla nuova “filiera tecnologico-professionale: il tuo futuro inizia qui”. Ma non è vero. Su Unica c’è l’elenco delle scuole che hanno aderito ma non ci sono informazioni concrete su che cosa gli iscritti dovranno studiare o sulle differenze rispetto al percorso fino a oggi considerato standard.
Tutto quello che si capisce sulla riforma della filiera, è che durerà quattro anni invece di cinque. Al termine di questi lo studente potrà o avere un diploma come se avesse frequentato cinque anni di scuola e quindi andare a lavorare, o iscriversi all’università. Oppure potrà accedere agli Istituti tecnologi superiori, Its Academy, scuole di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica post diploma che permettono di conseguire il titolo di tecnico superiore. Per facilitare il link tra i vari organi che devono costruire la formazione completa dello studente, nascono i “Campus” che appunto sono reti che collegano l’offerta didattica degli Istituti tecnici e professionali, degli Its Academy e dei centri di formazione professionale, che le scuole hanno dovuto mettere in piedi per partecipare alla sperimentazione. In cui, come già evidenziato, figurano molto spesso sempre gli stessi partner: addirittura 16 volte come nel caso di un ente che sembra offrire corsi di laurea, master, corsi di perfezionamento, certificazioni tra le scuole che hanno aderito in Calabria.
Sempre a quanto si capisce dalle informazioni disponibili e dalle dichiarazioni del ministro Valditara, l’obiettivo della nuova filiera è quello di favorire il legame tra mondo dell’istruzione e del lavoro grazie allo «studio delle materie Stem, delle lingue», al potenziamento della «didattica laboratoriale e i Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (alternanza scuola-lavoro ndr)», alla «presenza di esperti provenienti dalle imprese». «Con un’attenzione particolare ai nuovi lavori e alle professionalità emergenti». Ma senza variare l’organico dei docenti. Che non è chiaro come acquisiranno nuove competenze.
«È una giornata importante: grazie al lavoro di squadra di tutta la maggioranza, oggi onoriamo un impegno preso con i nostri studenti e con il mondo del lavoro. Con la nuova filiera tecnico-professionale costruiamo un canale di istruzione di serie A, in grado di dare una solida formazione ai nostri ragazzi, secondo programmi fortemente innovativi, che assicureranno competenze teoriche e pratiche di qualità, anche grazie al contributo delle imprese», ha commentato Valditara subito dopo l’approvazione del Ddl di riforma dell'istruzione tecnico-professionale.
Ma sono in tanti a non essere d’accordo. Per il M5S, «Con questo provvedimento la scuola viene ridotta a luogo per sfornare lavoratori, quasi dovesse sostituire i centri di addestramento professionale del passato. In assenza di risorse pubbliche si punta ai finanziamenti privati da parte dell'industria territoriale. Ma non si tratterà di investimenti, perché non ci sarà alcun affiancamento di lavoratori nel corso della formazione e l'azienda potrà avvalersi di risorse continue da parte delle scuole». Per il deputato di Avs Angelo Bonelli: «La sperimentazione voluta dal ministro è stata, come quella analoga del Liceo Made in Italy, un insuccesso: hanno aderito solo 171 istituti tecnico-professionali su circa 3 mila. Ed è un altro colpo inferto alla scuola pubblica e un danno per i ceti medi e popolari: vogliono privatizzare tutto». Secondo il Pd, si tratta di una riforma confusa, calata dall'alto, senza confronto con il mondo della scuola.
«Rappresenta l'avvio della privatizzazione del sistema pubblico di istruzione e della regionalizzazione dell'istruzione tecnica e professionale. Un'idea di scuola inadeguata rispetto agli obiettivi di sviluppo del nostro Paese oltre che alla missione democratica che appartiene costituzionalmente al sistema di istruzione», spiega Gianna Fracassi, segretaria generale di Flc Cgil: «Si crea una formazione di ridotta qualità, si costruiscono percorsi formativi di serie B, anzi “percorsi addestrativi” indirizzati verso le classi sociali più svantaggiate», chiarisce Fracassi facendo riferimento al fatto che nel testo della riforma, per parlare dell’educazione dei futuri studenti viene utilizzato il termine «addestrare». Mentre Confindustria plaude.