L'intervista
«Il Movimento 5 Stelle cambia ma non sarà mai un partito tradizionale»
Col Pd c’è dialogo e competizione. Non c’è bisogno di Renzi per il nostro campo largo. Il superbonus edilizio l’ha voluto anche Meloni. Giuseppe Conte a tutto tondo
In queste settimane lei ha parlato spesso della necessità di un’Assemblea costituente che porti a una rifondazione del Movimento Cinque Stelle. Perché? Come si è giunti a questo punto?
«Perché sarebbe assurdo che una forza politica che si autodefinisce movimento rimanga statica nel corso dei decenni, perdendo quella vis propulsiva e innovatrice che l’ha sempre caratterizzata. Di qui la sfida di avviare un processo costituente secondo le logiche della democrazia partecipativa e deliberativa che non chiama più solo gli iscritti a rispondere a un quesito deciso dall’alto, ma li coinvolge, insieme ai simpatizzanti, sin dall’inizio nella fase della proposta e poi nella fase del confronto cosiddetto deliberativo, cioè dove in quel confronto si discutono le varie soluzioni su nuovi temi e progetti per poi pervenire a una votazione finale riservata ai soli iscritti, i quali però avranno la garanzia che questo processo si è sviluppato dal basso, non è stato governato dal gruppo dirigente».
Lei cosa vorrebbe che uscisse da questa Assemblea costituente, quale M5Stelle vorrebbe? Si va verso una forza politica che attraverso le nuove regole interne sarà più partito che movimento?
«Assolutamente no, perché la forma partito tradizionale l’abbiamo ripudiata sin dall’inizio. E oggi per affrontare un contesto politico-sociale in cui c’è grande disaffezione verso le forze politiche, non si può pensare di ricorrere alla forma partito tradizionale, con correnti interne che nate con la finalità di alimentare il dibattito di idee si strutturano come meccanismi per alimentare cordate di potere. Nel nostro Statuto è ben chiaro il divieto di formare correnti. Alle correnti sostituiamo un processo costituente dal basso che rimetterà agli iscritti, attraverso un confronto argomentativo, il rilancio e la definizione di nuovi obiettivi strategici per gli anni a venire. Mi aspetto una sferzata incredibile di energia e di entusiasmo. Sarà questo il modo migliore per contrastare la disaffezione e l’astensionismo che porta molti cittadini ad allontanarsi dall’impegno politico».
Sulla questione del doppio mandato lei ha detto che decideranno i cittadini che parteciperanno, ma lei personalmente cosa ne pensa?
«Qui la mia opinione non conta nulla, ciò che penso l’ho espresso in passato. Quello che io mi aspetto è che dal confronto, ipotizzando che anche questa questione verrà posta in discussione, prevarranno soluzioni che mirino a rendere più efficace l’azione politica del Movimento e non a risolvere interessi personali di questo o quell’appartenente alla comunità».
In questo progetto di rifondazione quale ruolo avrà Beppe Grillo?
«Beppe Grillo rimane, oltre che fondatore, il garante e nessuno lo priverà della libertà di esprimere le proprie idee ma è chiaro che questo processo deve svilupparsi liberamente, senza l’interposizione mia, né dell’attuale gruppo dirigente e neppure del Garante. Deve essere affidato alla base e deve ovviamente essere completato con una valutazione affidata agli iscritti».
Sulla proprietà del logo Cinque Stelle si leggono versioni diverse. C’è chi dice che appartiene a Grillo, chi invece all’associazione M5Stelle di cui è presidente. Si parla anche dell’ipotesi di cambiare nome al Movimento. Qual è la verità?
«Il simbolo appartiene all’associazione M5Stelle. Su questo non ci sono dubbi».
E sull’ipotesi di cambiare nome?
«Non spetta a me definire preventivamente qual è il perimetro di discussione dell’Assemblea costituente».
I 5Stelle hanno sempre rifiutato le categorie politiche di destra e sinistra, ma nella prospettiva del campo largo si considerano ormai parte del centro sinistra?
«Noi abbiamo una carta dei principi e dei valori che potrà sicuramente essere sottoposta a integrazioni o modifiche, ma è evidente che siamo di fronte a un manifesto progressista. Quindi oggi siamo collocati in un’area progressista che però, con tutto il rispetto, non coincide certo con l’identità e lo spazio politico del Pd. Nessuno può confonderci col Pd o con altre forze che sono nel campo progressista. Conserviamo la nostra originalità, conserviamo la nostra vocazione fortemente innovatrice nel sistema politico e la esprimeremo anche durante questo processo costituente».
Elly Schlein è una possibile alleata o una rivale?
«Essendo nel campo progressista è leader di una forza politica con cui siamo in costante dialogo. Che poi ci sia anche una sana competizione è nei fatti, anche perché c’è una buona parte del sistema mediatico orientato a sinistra che ci tratta con fastidio».
Con Renzi non è proprio possibile instaurare un rapporto?
«Si è molto parlato di questa partita del cuore che sembrerebbe averlo rimesso in gioco sul piano politico nonostante una netta disfatta elettorale. Per quanto mi riguarda vorrei chiarire: se si tratta di assumere iniziative benefiche, io ci sono e sarò sempre disponibile. La politica è un’altra cosa, va fatta seriamente».
In Francia il Nuovo Fronte Popolare, che ha riunito tutte le opposizioni, ha vinto contro le destre. In Italia un recente sondaggio pubblicato da La Repubblica, dice che gli elettori Pd e 5Stelle sono scettici sul campo largo. In particolare non apprezzerebbero la presenza di Renzi e Calenda.
«È la conferma che anche l’elettorato progressista vuole un progetto di qualità costruito su obiettivi chiari e definiti e, soprattutto, non rimane insensibile al tema dell’etica pubblica. Noi per vincere dobbiamo innanzitutto convincere il nostro elettorato e tutti coloro che si rifugiano nell’astensione. Non è pensabile pensare a una mera sommatoria di partiti, tanto poi che Renzi gli elettori li fa scappare».
Quando lei dice che bisogna abbattere il governo Meloni, cosa intende? Qual è la strategia per farlo?
«Creare un progetto alternativo a questa destra reazionaria offrendo una visione di società completamente diversa; non composto da un affastellamento di forze politiche ma dalla definizione di obiettivi e progetti chiari e ben strutturati».
Autonomia differenziata. Il M5Stelle è tra i promotori del referendum abrogativo. Perché siete contrari? Lei ha anche detto in più occasioni che l’autonomia differenziata metterà in difficoltà anche le aziende perché?
«Ho parlato con molti imprenditori del nord. Sono ben consapevoli che avere un sistema burocratico e di regolamentazioni delle attività economiche, dalla produzione al trasporto delle merci, alla distribuzione, alla commercializzazione, completamente diverso passando da una regione all’altra significa ovviamente creare un fortissimo intralcio alla crescita economica complessiva del Paese. Inoltre saranno a rischio i servizi essenziali, dalla sanità all’istruzione. Anche al nord ne sono perfettamente consapevoli».
Pnrr, un piano che appare ora difficile da rispettare alla scadenza del 2026. Meloni ci riuscirà? Lei oggi, con le lentezze fisiologiche italiane, punterebbe ancora ad un accordo di quel tipo?
«Ero così consapevole delle nostre lentezze che un attimo dopo aver ottenuto quel risultato incredibile, insperato per l’Italia, mi sono messo al lavoro per creare una infrastruttura che potesse gestirlo in modo efficace e superare quella che è la tradizionale difficoltà dell’Italia nella capacità di spesa amministrativa. Anche dopo che sono andato via da Palazzo Chigi ho invitato sia Draghi che Meloni a creare un sistema di monitoraggio pubblico da rendere visibile a tutti i cittadini nel sito della Presidenza del Consiglio. Un meccanismo di trasparenza e accountability che potesse mobilitare tutti i cittadini consentendo a tutti di controllare l’attuazione dei singoli progetti. Purtroppo questo non è avvenuto. Ora abbiamo presentato una proposta di legge sia alla Camera che al Senato per istituire una commissione parlamentare che possa monitorare l’attuazione del Pnrr su cui stiamo accumulando notevole ritardo. Sarebbe un’onta per l’Italia anche agli occhi dell’Europa e perderemmo una grandissima occasione storica».
Parliamo del super bonus. Meloni l’accusa di aver portato il Paese sull’orlo del default perché non si è riusciti a controllare i costi. Qual è stata la ratio di rimborsare una somma superiore a quella spesa?
«Meloni dovrebbe innanzitutto prendersela con tutti gli esponenti del suo stesso partito che nel corso degli anni hanno fatto a gara presentando proposte per estendere l’applicazione del superbonus e dilatarlo nel corso degli anni. Continuo a ripetere che il Governo si è fermato solo a indicare i costi ma mai ha voluto documentare i ritorni diretti, indiretti e indotti e questa è una gravissima scorrettezza. Proprio in questi giorni Bankitalia e la legge per l’assestamento di bilancio 2024 hanno certificato che il buco di bilancio nei conti pubblici, che Giorgetti ha denunciato per mesi chiamando in causa proprio il Superbonus, non esiste. Non solo: si evince con chiarezza che il Superbonus ha contribuito alla crescita economica dell’Italia anche grazie al notevole impatto fiscale prodotto».
Come giudica le recenti polemiche sull’informazione dopo il rapporto della Commissione Europea? Meloni l’accusa di speculare su un documento tecnico scritto da degli stakeholder, al fine di recuperare un po’ di consenso. Ma davvero l’Italia deve temere?
«Questo Governo sta intervenendo per assicurare meno controlli, in particolare per il settore pubblico, per i parlamentari e per la classe politica e i colletti bianchi - quindi con un aumento della soglia dell’affidamento diretto dei lavori pubblici, con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la liberalizzazione degli appalti a cascata, la revisione del traffico di influenze, la revisione del sistema del regime delle intercettazioni. Invece quando si tratta di giornalisti cerca di porre limiti a ciò di cui possono scrivere e parlare. E ogni tanto fa capolino anche la norma per inasprire le pene contro i giornalisti. E questo è un dato rispetto a un quadro della nostra informazione abbastanza desolante al quale noi rispondiamo con gli Stati Generali e con una riforma della Rai che escluderà la politica dal servizio pubblico e su questo sfideremo tutte le forze politiche in concreto a misurarsi con questo obiettivo».
A proposito della Rai, la privatizzazione può essere una soluzione in quest’ottica?
«La Rai ha bisogno di una revisione organica della governance, innanzitutto, ma anche della sostenibilità finanziaria, visto che le emittenti tradizionali avranno tutte difficoltà sempre più negli anni a venire, misurandosi con le piattaforme digitali. Prima di entrare nel vivo della discussione sulla riforma della Rai, proponiamo Stati Generali che possono offrire a tutti i cittadini la ricognizione su quello che è lo stato dell’arte del sistema radiotelevisivo e poi da lì iniziare a discutere le proposte concrete di riforma».
In questi giorni si discute tanto sul decreto carceri che cerca di affrontare la grave emergenza. Le norme varate dal Governo e votate dal Parlamento sono sufficienti a risolvere il problema?
«Assolutamente no. Sono un pannicello caldo in una situazione assolutamente esplosiva. Anche perché, se davvero si vogliono migliorare le condizioni carcerarie anche alla luce dei suicidi che aumentano sempre più occorre innanzitutto investire in modo serio sugli agenti della polizia penitenziaria, sul lavoro, sullo sport, sul teatro, oltre che ovviamente sulle condizioni materiali di vita dei detenuti, puntando molto sulla rieducazione. Tutto questo senza soldi non si fa. Il resto sono chiacchiere come lo sono volontà del governo di tagliare le file delle liste d’attesa della sanità con un decreto ridicolo che non ha investito nemmeno un Euro. Non puoi pensare di migliorare il servizio sanitario e le prestazioni senza investimenti. I dati confermano che l’investimento che c’è stato con questo Governo nella sanità è inferiore al costo e al peso dell’inflazione. E però qui la nostra posizione non è soltanto di investire di più ma di investire meglio. E per far questo dobbiamo fare in modo che la politica sia fuori assolutamente della sanità che è diventata nel corso del tempo una di quelle strutture dove si guarda alle simpatie politiche e alle tessere di partito al fine di alimentare filiere di consenso elettorale».