Lo squilibrio a favore del potere esecutivo aumenterebbe con l’elezione popolare del presidente del consiglio.

Presto riprenderanno i lavori sulla riforma costituzionale del premierato che, approvata dal Senato in giugno, sarà discussa in autunno dalla Camera, per poi tornare a Palazzo Madama e a Montecitorio per una seconda lettura. Il lungo percorso si concluderà con un referendum, assorbendo energie politiche che potrebbero essere usate per altre finalità. Ne vale la pena? Da un punto di vista sostanziale, no. È necessario avere governi più stabili in Italia, ma questo può essere ottenuto in altri modi, per esempio col meccanismo della sfiducia costruttiva alla tedesca. Il premierato comporterebbe invece rischi sostanziali per il buon funzionamento della nostra democrazia perché accentrerebbe troppo potere nelle mani del presidente del consiglio. Già negli ultimi anni si è assistito a un graduale svuotamento dei poteri del parlamento rispetto a quelli del governo, sempre più il vero titolare del potere legislativo. Questo grazie all’eccesso di decreti legge, voti di fiducia che bloccano la discussione parlamentare dei provvedimenti, leggi delega che definiscono in modo troppo vago i principi che il governo dovrà seguire nello scrivere i relativi decreti legislativi (vedi recente riforma del fisco) e leggi elettorali che, in assenza di preferenze, portano in parlamento chi è scelto, spesso per la sua fedeltà, dal capo del partito e che è felice di prendere ordini da questo una volta che sia diventato capo del governo.

I rischi di un premierato elettivo
Lo squilibrio a favore del potere esecutivo aumenterebbe con l’elezione popolare del presidente del consiglio perché il parlamento, di fatto, perderebbe l’unico potere di cui resta ancora unico titolare, quello di far cadere il governo. Col premierato, la sfiducia porterebbe probabilmente a nuove elezioni, un rischio che pochi parlamentari sarebbero disposti a correre. Il risultato sarebbe un accentramento di poteri nelle mani del presidente del consiglio, cosa pericolosa perché di solito, quando troppo potere è concentrato nelle mani di un’unica persona, questa finisce per montarsi la testa e prendere decisioni avventate, le cui conseguenze sarebbero pagate da tutti noi. Certo, l’elezione diretta del capo dell’esecutivo c’è anche, per esempio, negli Stati Uniti, ma con una differenza: in quel paese il Presidente non è sicuro di avere la maggioranza nel Congresso, cosa che invece avverrebbe col premierato, grazie al premio di maggioranza che la riforma prevede. Ma al di là della sostanza, chi glielo fa fare al governo di affrontare le incertezze legate alla riforma? Grazie anche alla popolarità di Meloni, il governo è stabilissimo e non saranno certo questioni come lo ius scholae a causarne la caduta.


Ostacoli e conseguenze
Tre ostacoli invece sorgerebbero sulla strada del premierato. Primo, la riforma della legge elettorale su cui sarà complicato trovare un compromesso tra i partiti della maggioranza. Secondo, il referendum, certo non rischioso come quello che affondò Renzi, ma comunque dall’esito molto incerto. Terzo, le elezioni dopo l’approvazione della riforma. Sì, perché se le opposizioni sono attualmente divise, il premierato potrebbe invece facilitarne la coalizione dietro a un nome anti-Meloni. Forse è proprio alle opposizioni che il premierato potrebbe dare una speranza. Conclusione: Meloni farebbe bene a rallentare l’iter di approvazione del premierato, finché, pian piano, cada nel dimenticatoio.