Politica
25 agosto, 2025La mossa studiata a Palazzo Chigi: il leader leghista alza i toni contro l’Eliseo per dire, senza dirlo, che l’Italia non vuole soldati in Ucraina. Un colpo di dialetto trasformato in strategia geopolitica. Con l'ok di Meloni
Un colpo di dialetto travestito da randellata. “Taches al tram” è rimbalzato dalle labbra di Matteo Salvini fino ai lampadari dorati dell’Eliseo. A Parigi non l’hanno presa per folclore padano: tanto è bastato per convocare l’ambasciatrice italiana al Quai d’Orsay. Ma secondo fonti diplomatiche e partitiche, quell’uscita non è figlia dell’impulsività leghista: è teatro politico. Con un regista a Palazzo Chigi.
Le stesse fonti parlano di un copione scritto in anticipo. Giorgia Meloni avrebbe lasciato campo libero — qualcuno dice “incoraggiato” — al suo vice perché recitasse la parte del guastatore. Obiettivo: recapitare a Emmanuel Macron un messaggio che in versione istituzionale suonerebbe troppo molle. L’Italia non ha alcuna intenzione di calzare anfibi e marciare in Ucraina sotto bandiera UE.
Macron, bollato come “il più guerrafondaio dei leader europei”, incassa lo schiaffo mentre ricuce faticosamente un anno di rapporti tesi con Roma. Ma Salvini affonda, parlando alla pancia del Paese: “Si metta l’elmetto, vada lui a combattere”. In superficie, una frattura; in profondità, un messaggio concordato.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani si dissocia, intona un controcanto istituzionale al Meeting di Rimini. La premier, invece, tace. Un silenzio che nelle stanze semivuote della politica di agosto ha il peso di un discorso. “Fra i due vice, Giorgia oggi è più vicina a Matteo”, mormora un deputato di maggioranza. Il leghista tiene il punto, il silenzio della premier lo benedice.
A Parigi irritazione, a Roma compiacimento trattenuto. Perché l’Italia, in questo agosto bollente, vuole che si sappia senza dirlo: nessun passo verso la trincea. Le fonti di maggioranza la chiamano “la strategia del doppio registro”: Macron parla all’Europa, Meloni resta l’alleata perfetta di Washington e l’amica più affidabile di Donald Trump. Salvini fa il lavoro sporco, Meloni quello da statista.
Nel frattempo, le opposizioni gridano all’imbarazzo internazionale, ma da Palazzo Chigi trapela una convinzione: il colpo è andato a segno. “Abbiamo mandato il messaggio giusto, nel modo giusto”, sussurra un consigliere. E se il linguaggio non è da manuale diplomatico, poco importa. Perché qui la diplomazia la si fa anche a colpi di dialetto.
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