La ministra indagata
Daniela Santanchè resta sotto processo a Milano per la truffa Covid: dimissioni più probabili
La Cassazione ha respinto la richiesta di spostare a Roma il procedimento sui presunti raggiri all'Inps per la cassa integrazione a 13 dipendenti durante la pandemia
Resta a Milano il procedimento che vede la ministra Daniela Santanchè indagata per truffa aggravata ai danni dello Stato, per oltre 120 mila euro di contributi dell'Inps incassati da sue società, illecitamente secondo l'accusa, durante l'emergenza Covid. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, che ha risolto così la questione di competenza per territorio sollevata dalla difesa della senatrice di Fratelli d'Italia. All'udienza tenutasi mercoledì 29 gennaio, Il procuratore generale e gli avvocati dell'Inps, che si è costituto parte civile come ente pubblico danneggiato, avevano chiesto di confermare la sede di Milano.
La decisione, che di per sé riguarda solo il luogo dove celebrare il processo, ha acquisito notevole rilevanza politica per le dichiarazioni pubbliche della stessa Santanchè. Due settimane fa, dopo il rinvio a giudizio per la prima indagine milanese, dove è accusata di falso in bilancio come imprenditrice del gruppo Visibilia, la senatrice aveva escluso le dimissioni dalla carica di ministra. Su questa seconda inchiesta ha invece affermato: «Se dovesse arrivare un rinvio a giudizio sulla cassa Covid, dove capisco che ci potrebbero essere delle implicazioni politiche, non esiterei a fare un passo indietro».
A Milano, la Procura aveva già chiuso l'indagine per truffa con una richiesta di rinvio a giudizio, destinata ad essere valutata dal giudice dell'udienza preliminare in tempi brevi, a partire dal prossimo 26 marzo. Quando viene deciso un trasferimento di competenza, invece, il codice prevede un lungo rinvio: fascicolo torna in fase di indagini, per cui la durata della procedura si allunga, e l'accusa va riesaminata da nuovi magistrati che non hanno fatto l'inchiesta e non conoscono gli atti.
Il primo processo già incardinato, che coinvolge Daniela Santanchè e altri 15 imputati, riguarda le presunte falsificazioni dei bilanci delle società editoriali e pubblicitarie del gruppo Visibilia, che sarebbero stati truccati dal 2016 al 2022, secondo l'accusa, per nascondere perdite milionarie sempre più gravi. Santanchè è stata presidente e amministratrice della capogruppo fino al novembre 2022, quando lei è diventata ministra e nella carica aziendale le è subentrato il convivente, Dimitri Kunz. Dall'anno scorso, le principali società del gruppo sono finite in liquidazione giudiziale, dopo che il tribunale fallimentare ha accertato, con diversi verdetti, che non sono più in grado di pagare i debiti e non ci sono speranze di risanamento.
L'indagine per truffa, dove sono imputati Daniela Santanchè, Dimitri Kunz e il consulente esterno incaricato della gestione del personale, Paolo Giuseppe Concordia, riguarda i contributi statali incassati da due società, Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria, dal febbraio 2020 al maggio 2022, in base alle leggi speciali (come il decreto ristori) varate dai governi Conte e Draghi. In quei due anni di pandemia, l'Inps ha versato 126.468 euro come «cassa integrazione a zero ore» per 13 dipendenti di quelle due aziende, che in realtà avrebbero continuato a lavorare da casa, in smart working, a spese dello Stato. Il presunto raggiro è stato riscontrato e denunciato dagli ispettori dell'Ipns, che ha deciso di affiancare la procura nel tentativo di recuperare i soldi. La senatrice Santanchè, Kunz e il consulente del lavoro sono accusati, in aggiunta, di aver versato ai dipendenti «finti rimborsi spese», per coprire la differenza tra la cassa integrazione e i normali stipendi, in modo da tacitare i lavoratori.
Le accuse più pesanti vengono però formulate dalla Procura di Milano in una terza indagine, ancora in corso, collegata ai più recenti verdetti del tribunale fallimentare, che negli ultimi mesi ha ordinato la «liquidazione giudiziale» per eccesso di debiti anche delle società di alimenti e prodotti biologici, con i marchi Ki Group e Bioera, che facevano capo alla senatrice Santanchè e al suo ex convivente Canio Mazzaro. In questo caso, tra le accuse ipotizzate c'è anche la bancarotta, che è il più grave dei reati societari, con termini di prescrizione molto lunghi.
Rispetto agli altri imputati, la senatrice ha beneficiato del privilegio legale di non poter essere intercettata, neppure indirettamente (cioè sui telefoni o computer di altri indagati), perché le sue comunicazioni sono sempre state coperte dall'immunità parlamentare. Daniela Santanchè, che è difesa dall'avvocato Nicolò Pelanda, si è sempre dichiarata innocente ed estranea a tutte le ipotesi di reato.