Politica
27 ottobre, 2025Una formazione veneto-lombarda con il governatore uscente leader e un’altra nazionale con Salvini. Il modello tedesco della Cdu-Csu è l’exit strategy per evitare la rottura
Due Leghe federate, l’una per il Nord l’altra per il Centro-Sud? Oppure sarà una vera e propria scissione, guidata dai veneti? «Dipende dalle risposte che arriveranno …», rispondono sibillini dal quartier generale di Luca Zaia. È stato il governatore uscente del Veneto a lanciare il modello Cdu-Csu: imitando i Cristiano-democratici che utilizzano da sempre due partiti per ramificarsi meglio nel federalismo tedesco – Cdu presente in tutti i Lander meno inBaviera, Csu solo in Baviera – i leghisti dovrebbero affrontare il futuro dividendosi al proprio interno i compiti fra il Nord, riferimento originario del movimento fondato da Umberto Bossi, e tutte le altre regioni d’Italia. Secondo questo schema, si occuperebbe del Settentrione principalmente Luca Zaia. Sarebbe una Lega veneto-lombarda più che lombardo-veneta, federata con quella destinata all’Italia centro-meridionale. Ma, il fantasma della scissione aleggia minaccioso nel momento stesso in cui il leghista che ha guidato per tre mandati il Veneto non ha alcuna intenzione di farsi mettere da parte dopo il voto del 23-24 novembre e rivendica un ruolo di primo piano per il dopo elezioni, anche altrove.
Capolista in tutte le circoscrizioni elettorali: è questa la collocazione strategica che l’ex governatore ha conquistato per non rappresentare «un problema», come da lui minacciato a Pontida. L’alternativa era la lista Zaia, ipotizzata inizialmente per porre un punto fermo nella competizione elettorale a vantaggio di una presenza rivendicata come irrinunciabile. Inevitabile il no di Fratelli d’Italia, per non trovare nell’alleanza veneta due soggetti politico-elettorali leghisti: eccessiva la concorrenza interna.
In Veneto, il centro-destra è certo di avere la vittoria in tasca. È una regione che la sinistra – da quando in Italia è stata introdotta l’elezione diretta del presidente – non è mai riuscita a conquistare. E dove Zaia in questi anni ha costruito un consenso personale tale da renderlo il più forte e rappresentativo governatore leghista.
Ma sarà un test all’interno del centro-destra. Consentirà di verificare i rapporti di forza fra la Lega e il partito di Giorgia Meloni che alle Politiche – con il 32,7% – è riuscito a ottenere più del doppio della Lega, scesa al 14,5%. Il netto sorpasso da parte di Fdi tre anni fa, anche in Veneto ha ribaltato la situazione all’interno dell’alleanza. Nelle Regionali 2020, infatti, La Lega – poco sotto il 17 % – risultava il primo partito della regione mentre Fratelli d’Italia non raggiungeva il 10%, limitando il confronto ai partiti, altrimenti va ricordato che la “Lista Zaia Presidente” raccolse il 44,5%.
Ecco perché Matteo Salvini, dopo essere stato sostanzialmente obbligato dall’ala veneta del suo partito a non cedere a Fratelli d’Italia la candidatura alla guida della Regione (che i meloniani rivendicavano), punta a una vittoria che sia riferibile principalmente alla Lega. E, per il vicepremier, c’è solo un modo: affidarsi a Zaia, che non è Vannacci. Con il flop in Toscana (un misero 4%), il regista della campagna elettorale nella regione ha disatteso le speranze di Salvini di affidarsi al fondatore del movimento “Il mondo al contrario” per evitare il tracollo. Perché l’operazione e non è riuscita? Oltre a essere visto come un elemento del tutto estraneo alla storia leghista e ai suoi «valori» (quelli evocati dal governatore lombardo Attilio Fontana), in Toscana anziché inserirsi con accortezza all’interno di un partito già ramificato, Vannacci ha fatto di tutto per inimicarsi dal primo all’ultimo esponente locale. Saranno pure gli uomini della “vecchia guardia” o “poltronari” come ha detto con eleganza un dirigente vicino all’europarlamentare, ma si sono rivelati capaci di contrastare, sia pure con la sola resistenza passiva, l’espansionismo di chi dal mondo militare è entrato in quello politico senza adattarsi alle mediazioni, neppure a quelle minime. Il generale in pensione raccoglie solo un magro risultato: l’unico leghista eletto consigliere regionale è un suo fedelissimo.
Zaia – non a caso il principale nemico di Vannacci dalle elezioni europee del 2024 in avanti – è un’altra storia. «Diciamo la verità – osserva il padovano Paolo Borchia, capo-delegazione della Lega a Strasburgo –nella conquista di una maggiore autonomia regionale in Italia, che ha costituito la battaglia di questi anni, il nostro movimento è riconducibile solo a tre uomini che sono Salvini, Zaia e Calderoli. Ed è stato il Veneto ad aprire la strada con il referendum del 2017». Salvini dovrà trovare un più saldo punto d’incontro con il governatore uscente e capolista, se la Lega in Veneto dovesse riuscire a portare a casa un buon risultato di lista, oltre all’elezione del candidato di coalizione, Roberto Stefani. Il risultato del Veneto aumenterebbe il potere contrattuale di Zaia in una fase del movimento leghista non certo brillante per il suo leader. Con qualcosa di consistente, Salvini dovrà premiarlo, se non vuole trovarselo contro.
Ma, per quanto riguarda il modello Cdu-Csu proposto dal “Doge”, non c’è molto da aggiungere a una discussione che Gaetano Quagliariello, storico ed ex ministro considera «un po’ artificiale», ricordando che «i popolari tedeschi sono divisi in due partiti che però da sempre hanno una base comune mentre da noi avremmo una Lega lombardo-veneta fortemente nordista, con un ritorno alle origini dettato solo dalla convenienza, e una Lega del Sud che anziché autonomista rischierebbe di essere statalista e clientelare».
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