Politica
30 ottobre, 2025Palazzo Madama approva la modifica costituzionale che prevede la separazione delle carriere dei magistrati e la nascita di due Csm. Il voto è stato il quarto e ultimo passaggio parlamentare. Meloni: "Traguardo storico". La festa a piazza Navona con le foto di Berlusconi
Con 112 voti a favore, 59 contrari e nove astenuti, il Senato dà il suo via libera definitivo alla riforma della Giustizia. Il voto, il quarto e ultimo passaggio parlamentare, è stato accolto dagli applausi di Palazzo Madama e dall'esultanza di tutto il centrodestra. Ora si apre la sfida del referendum, che probabilmente dovrebbe tenersi in primavera. Subito dopo il voto, le opposizioni hanno protestato mostrando cartelli con la scritta "No ai pieni poteri".
Meloni: "Traguardo storico"
Per Giorgia Meloni l'approvazione è un "traguardo storico" e "un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini. Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani. Ora la parola passerà ai cittadini, che saranno chiamati ad esprimersi attraverso il referendum confermativo. L'Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento, per il bene della Nazione e dei suoi cittadini. Perché un’Italia più giusta è anche un'Italia più forte".
Nasce il Comitato del no
Mentre il Senato si apprestava a dare il suo via libera alla riforma della Giustizia, già nasceva in contemporanea il fronte del no. "Il disegno di legge Nordio inciderà sul rapporto tra politica e magistratura previsto dai costituenti, senza al contempo risolvere nessuno dei temi che sta a cuore ai cittadini, a partire dall'eccessiva lunghezza dei processi", afferma il comitato "A difesa della Costituzione" e per il no al referendum sulla riforma della Giustizia. Il comitato 'Giusto dire no' "parteciperà alla campagna referendaria per spiegare ai cittadini le ragioni per cui la riforma non comporterà alcun miglioramento della giustizia e ribadire che indipendenza e autonomia della magistratura sono valori fondanti della nostra Repubblica a tutela di tutti".
Il flash mob a piazza Navona con la foto di Berlusconi
Al termine della seduta è iniziata il flash-mob a piazza Navona, con i parlamentari di Forza Italia che hanno portato un cartello con la foto di Silvio Berlusconi e con scritto "Grazie a Forza Italia una giustizia giusta"
Le dichiarazioni di voto
Durante le dichiarazioni di voto, Matteo Renzi ha sottolineato che, nonostante “favorevoli da sempre alla separazione delle carriere”, Italia viva si è astenuta “perché la montagna ha prodotto un topolino, è una riformicchia”. Per Maria Stella Gelmini, che è intervenuta annunciando il voto favorevole del gruppo Civici d'Italia, Udc, Noi moderati, “le critiche sulla separazione delle carriere hanno un eccesso di faziosità e di strumentalizzazione perché questa riforma non è contro la magistratura, non è la rivincita della politica contro la magistratura, ma piuttosto, dopo molti anni in cui una parte minoritaria ma agguerrita della magistratura ha lavorato contro sé stessa, si incarica di riportare le cose dentro il solco dell'attuazione della Costituzione”.
Per Forza Italia — che dedica la riforma a Silvio Berlusconi, che "già trent'anni fa l'aveva inserita nel programma del centrodestra" — ha parlato Pierantonio Zanettin, che annuncia la volontà, come anticipato ieri da Maurizio Gasparri, che "si esprimano i cittadini con un voto democratico”, perché “deve essere una riforma sostenuta dalla volontà popolare e per questo da domani inizieremo a raccogliere le firme dei parlamentari per chiedere il referendum confermativo”.
L’intervento più acceso è stato quello del senatore del M5s Roberto Scarpinato, secondo cui “il piano politico” che si sta portando avanti è una guerra a pezzi della Costituzione per distruggerla nei valori portanti”. Alcuni momenti di tensione si sono verificati quando Scarpinato, che prima di diventare senatore è stato magistrato, ha nominato Berlusconi: “C’e' una maggioranza del Paese — ha detto — che non se la beve che Berlusconi, Dell'Utri, Cosentino, Matacena, Previti, Verdini sono dei fiori di giglio”.
Per Peppe De Cristofaro di Avs, “questa riforma è solo una vendetta politica perché voi — ha detto rivolgendosi al centrodestra — siete ossessionati dalle toghe rosse, come le chiamate voi”.
"In quest'aula si consuma un momento di arroganza politica e di protervia di una maggioranza illiberale che, in spregio al carattere della Costituzione, pretende di poterne scrivere unilateralmente parti significative — ha detto annunciando il “no” del Partito democratico il senatore dem Andrea Giorgia —. Quella voluta dal governo e imposta al Parlamento non è una riforma della giustizia né della magistratura ma contro la magistratura e contro ciò che essa rappresenta", ha detto ancora Giorgis parlando di "una ritorsione contro un potere dello Stato che ha osato assumere decisioni contrarie alle politiche del governo”.
Cosa prevede la riforma della Giustizia
Ma cosa prevede la riforma della Giustizia approvata definitivamente dal Senato? Innanzitutto, la separazione delle carriere. Concretamente, significa che i percorsi dei pubblici ministeri saranno separati da quelli dei giudici. Sarà poi una legge ordinaria a prevedere, probabilmente, due concorsi distinti per le due diverse carriere, così da scegliere quale strada intraprendere fin dall’inizio del percorso in magistratura. Il nuovo articolo 104 della Costituzione diventerebbe così: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”.
Un’altra implicazione della riforma della Giustizia sarà la nascita di due Consigli superiori della magistratura al posto dell’unico attualmente esistente: ci sarà un Csm per la magistratura requirente e un altro per la magistratura giudicante. Entrambi gli organi di autogoverno manterranno le loro funzioni organizzative, di valutazione delle carriere e di promozione nei diversi uffici. All’articolo 87 della Costituzione, dove si prevede che il presidente della Repubblica “presiede il Consiglio superiore della magistratura”, saranno aggiunte le seguenti parole ”giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente”. Nascerà poi ex novo un nuovo organo costituzionale, l’Alta Corte, che avrà un ruolo di coordinamento tra i due Csm e che sarà investito della funzione disciplinare, finora svolta dal Csm.
La composizione dei due Csm rimarrà pressoché identica a quella attuale: i membri saranno 30, di cui un terzo laici e due terzi togati. Rimarranno membri di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione e il procuratore generale di Cassazione e a guidarli sarà sempre il presidente della Repubblica. Quel che cambia, però, è la loro designazione. Finora, i componenti laici erano eletti dal Parlamento in seduta comune, mentre i restanti due terzi – i componenti togati – dagli stessi magistrati. Con la riforma Nordio, i membri – al di là di quelli di diritto – saranno estratti a sorte (con l’obiettivo – questa la tesi di chi appoggia la riforma – di bloccare la logica delle correnti): per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti. L’Alta Corte disciplinare, invece, sarà composta da 15 membri: tre saranno nominati dal presidente della Repubblica, altrettanti estratti a sorte da un elenco redatto dal Parlamento in seduta comune, sei estratti tra i magistrati giudicanti in possesso di specifici requisiti e gli ultimi tre selezionati casualmente tra i magistrati requirenti in possesso di specifici requisiti. Il presidente dovrà essere scelto tra i componenti nominati dal capo dello Stato o tra quelli sorteggiati dall’elenco predisposto dal Parlamento.
La possibilità di passare dalla magistratura requirente a quella giudicante – o viceversa – è stata più volte modificata nel corso degli anni. L’ultimo intervento è arrivato nel 2022, con la riforma che porta il nome dell’allora ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Attualmente, il salto tra le carriere è possibile di fatto una sola volta entro dieci anni dalla prima assegnazione. I numeri di chi sceglie di passare da pm a giudice, oggi, sono particolarmente bassi: nell’arco di cinque anni è dello 0,83% la percentuale dei pubblici ministeri con funzioni requirenti passati a funzioni giudicanti, e dello 0,21% la percentuale dei giudici divenuti pm.
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