Politica
13 novembre, 2025Parla l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate, oggi alla guida del movimento Più Uno: "Il 15 novembre a Roma ci riuniamo a porte chiuse con quasi 300 comitati per una assemblea organizzativa. Il vero referendum a cui è chiamato il centrosinistra è quello di tornare ad essere credibile”
Da giugno ha avviato un percorso in controtendenza con i rituali della politica tradizionale. Nessuna conferenza stampa, nessun tour televisivo. L'ex direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, gira l’Italia. Lo fa lontano dai riflettori: dai quartieri periferici delle grandi città, ai piccoli paesi. “La vera sfida è unire, è necessario costruire una proposta di Paese, un progetto condiviso. Il 15 novembre a Roma ci riuniamo a porte chiuse con quasi 300 comitati per una assemblea organizzativa. Il vero referendum a cui è chiamato il centrosinistra è quello di tornare ad essere credibile”.
Ernesto Ruffini, in una politica polarizzata si fa fatica a collocare il suo percorso nelle dinamiche dei partiti attualmente sulla scena. Da che parte sta?
La polarizzazione non è un destino. Anche se è ormai la normalità anche in altri Paesi e in altre democrazie, questo non le restituisce un sapore più gradevole. Un Paese diviso è un Paese più fragile. Debole nel pensiero, nella fiducia, nello sviluppo. Un Paese così non cammina, si ferma. È per questo che bisogna evitare la polarizzazione politica, che trasforma ogni differenza in scontro. Oggi, la vera sfida è unire: restituire agli italiani il senso di una comunità che cammina insieme anche quando discute, anche quando non è d’accordo. E unire non significa cancellare le differenze, ma farle dialogare. Significa riconoscerle, accoglierle, metterle al servizio di un progetto comune.
Sì, ma non mi ha risposto: da che parte sta?
Ho scelto di impegnarmi nel centrosinistra. E anche se oggi il centrosinistra non è perfetto, è comunque custode di una promessa e di un patrimonio unico: la convinzione che l’impegno in politica deve muoversi nello spazio dell’uguaglianza e del bene comune.
Eppure, il momento storico sembra tendere in un’altra direzione
È una direzione che può ancora essere invertita. Ma è necessario costruire una proposta di Paese, un progetto, una visione. Non si può ambire solo a vincere le elezioni, a battere gli avversari e poi correre ai ripari perché nel frattempo non si sono fatti i compiti a casa non ci si è impegnati a scrivere insieme un programma di governo condiviso, credibile e sostenibile. È questa l’unica strada per riportare i cittadini al voto e all’impegno politico. C’è stata una stagione, quella dell’Ulivo, in cui tra centro e sinistra si riusciva a elaborare una sintesi di valori e di programma. Una stagione in cui si era stati capaci di coinvolgere i cittadini, anche quelli più lontani dalle logiche dei partiti. Ora sembra che nessuno stia raccogliendo quell’eredità, neppure il Pd che è stato il partito nato da quella stagione.
Nelle interviste che ha rilasciato parla di una visione della politica e del coinvolgimento di chi si sente ai margini nella costruzione del futuro del Paese. Non le sembra un percorso in salita?
Per risponderle prendo a prestito le parole di Aldo Moro, occorre “escludere cose mediocri, per fare posto a cose grandi”. Se l’impegno politico non fosse in salita sarebbe solo la semplice amministrazione del presente, senza nessuno slancio verso un futuro migliore. La politica, invece, si fonda sulla capacità di raccontare un mondo che non c’è ancora, ma che vorremmo che ci fosse. Un mondo che può iniziare da quelle parole che riescono a farci immaginare, quasi a toccare un diverso modello di società e di vita. Parole che possono indicarci la strada da percorrere e riaccendere il desiderio di impegnarci concretamente, fuori dalla comfort zone dei palazzi o nelle dinamiche di partito. Deve invece nascere dall’impegno concreto di ciascuno. Per questo con i comitati di Più Uno, nati in tutte le regioni d’ Italia, dialoghiamo sapendo che solo riattivando la partecipazione potremo costruire risposte veramente condivise.
Cosa sono i Comitati?
I comitati Più Uno sono spazi di discussione e azione politica. La sfida che lanciamo ad ogni cittadino iscritto ai nostri comitati è quella di rispondere a una domanda semplice, ma che ben riassume il senso dell’impegno politico: come vorresti che fosse il tuo Paese?
Immagino che la risposta per loro non sia delle più semplici. Non c’è il rischio di caricare di attese chi, da tempo, ha preso le distanze dai partiti?
Le attese sono l’aspirazione a realizzare quello che ancora non c’è, ma che crediamo possa ancora esserci. Il progetto Più Uno nasce proprio per questo: è un invito aperto a tutti a scoprire cosa fare per il Paese che vorremmo. Non un’organizzazione chiusa o centrata su leadership personali, ma una rete viva e concreta che unisce e prova a ridare voce alle persone e, prima ancora, ad ascoltarle. Vogliamo costruire spazi inclusivi, non circoli autoreferenziali: luoghi in cui ciascuno possa sentirsi parte di una comunità capace di ricucire le fratture che separano territori, generazioni, condizioni sociali. In un tempo di divisioni, unire diventa un atto politico di coraggio. Non vogliamo coltivare l’illusoria promessa che un futuro migliore possa arrivare comunque e senza fatica. E neanche il cinico realismo di chi crede che ormai nulla si possa almeno provare a fare. È un impegno paziente che tiene conto dei tempi e delle curve della democrazia per ascoltare diverse voci, considerato che nessuno è depositario di verità.
Concretamente cosa significa?
Se parliamo di concretezza il 15 novembre a Roma ci riuniamo con 300 comitati per una assemblea organizzativa. Verranno persone da tutta Italia che si sono iscritte con entusiasmo a Più Uno. Qualche mese fa avevamo solo la speranza che intorno a questo progetto potessero riunirsi tanti cittadini che hanno ancora il desiderio di impegnarsi per il Paese provando a fare la differenza, di fare sentire la loro voce per una visione di futuro che la politica attuale non riesce a rimettere dentro la sua inquadratura. Adesso è arrivato il momento di esserci.
Come ha scritto nel suo libro è una questione soprattutto di partecipazione?
La partecipazione è il cuore della nostra proposta. Ma non solo. La democrazia non è uno spettacolo da guardare, ma una costruzione collettiva. Partecipare significa assumersi responsabilità, proporre idee, dare voce a chi non ne ha. Esserci ogni giorno. Solo così saremo capaci di restituire importanza al nostro voto. L’astensionismo, infatti, è il segnale di una frattura profonda e non va giudicato, ma compreso e sanato con credibilità e ascolto autentico per rigenerare la partecipazione. Forse nelle strade, nelle piazze, sui posti di lavoro, nelle scuole, negli eventi culturali c’è ancora voglia di guardarsi negli occhi e confrontarsi. Questi sono gli spazi delle città da riscoprire.
Parla di “rigenerare la partecipazione”, non rischia di sembrare uno slogan?
Siamo in un tempo in cui tutta la politica rischia di ridursi a slogan che finiscono per alimentare sterili conflitti. Le ultime regionali rischiano di aver segnato un punto di non ritorno: bisogna recuperare la partecipazione di chi non ha votato. È una responsabilità che ci chiama in causa tutti. Proprio per questo servono scelte chiare e visioni nette. Non singole proposte che mirano solo a intercettare qualche istanza e a creare velocemente un consenso senza l’ambizione di formulare una visione complessiva del paese che vogliamo essere, senza l’ambizione di mettere mano a un progetto che possa durare più del tempo di una campagna elettorale. Quindi “rigenerare la partecipazione” è un passaggio necessario, al di là degli slogan perfetti, torniamo ad ascoltare le persone e renderle partecipi di questo cammino. In questo senso Più Uno fa politica fuori dagli schemi narrativi di una perenne campagna elettorale con l’ambizione di tracciare un progetto al quale sono chiamati tutti quelli che ancora sperano di vivere un Paese che non sia diviso in tifoserie.
Non pensa che i mancati elettori siano in realtà lo specchio di una crisi di identità dei partiti che dovrebbero rappresentarli?
L’Italia è un Paese che si fonda su una Costituzione in cui tutti possono ancora riconoscersi e a beneficio di un disegno di Paese al quale tutti possono partecipare. Oggi invece, il centrodestra usa la paura e i nemici immaginari per generare consenso. Per questo il centrosinistra deve ridare voce a chi crede ancora in comunità alla quale tutti siamo chiamati, a cominciare da quelle fragili periferie che sembrano dimenticate dalla politica.
E un progetto nuovo come Più Uno a quali valori si affida?
In questo percorso con Più Uno la nostra bussola è l’uguaglianza, quella reale, fatta di opportunità concrete. Un progetto in cui ognuno può fornire il suo contributo insostituibile. Perché è questo il senso di Più Uno: riconoscere la ricchezza che può ricevere il nostro Paese dall’insostituibile e irripetibile contributo di ognuno. I temi attraverso i quali è possibile declinare l’uguaglianza sono innumerevoli e sapremo farli emergere tenendo sempre d’occhio proprio la bussola dell’uguaglianza. Non possiamo permetterci di archiviarla silenziosamente come se nulla fosse. Non possiamo davvero far finta di nulla, facendo finta di non vedere chi resta indietro. Nessuno deve avere il destino scritto nel codice postale o nelle condizioni economiche di partenza. Crediamo in un percorso che non rincorra etichette né giochi di potere, ma che ricostruisca una casa comune aperta, capace di un futuro migliore di quello che oggi invece ci aspetta se rimaniamo spettatori della nostra democrazia.
Quindi Più uno è un movimento destinato a divenire partito?
Più Uno è una chiamata personale: ognuno può fare la differenza. I 300 comitati che vengono a Roma il 15 novembre sono formati da persone che vogliono rimettere in moto un cantiere di idee, per un Paese più giusto, più unito e più partecipato. La forma più adatta per questo obiettivo la decideremo strada facendo.
Non nomina mai la parola “Centro” o la parola “Campo largo”, non doveva essere lei a riempire quello spazio a cui il Pd sembra aver rinunciato?
Sono tante le parole da non utilizzare, soprattutto quando non definiscono pienamente una stagione politica che ha bisogno, quella sì, di parole chiare come impegno, responsabilità, credibilità. Il centrosinistra è a un bivio: o recupera l’elettorato perso per strada, o, altrimenti, sarà spettatore di un Paese in cui è possibile cambiare la Costituzione per un capriccio ideologico. Il vero referendum a cui è chiamato il centrosinistra è quello di tornare ad essere credibile, dimostrando di essere capace di offrire una concreta alternativa di governo e, prima ancora, ricucire gli strappi di una comunità sempre più sfilacciata. È un percorso in salita. Ma è una sfida alla quale non è possibile sottrarci. Il 15 novembre a Roma iniziamo con i comitati Più Uno e ogni inizio è un atto di fiducia nel futuro.
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