Politica
18 novembre, 2025L'ex sindaco di Bari è candidato senza concorrenti. Ma Michele Emiliano c'è, anche se non si vede: basta scorrere le liste. Tra transfughi, trasformisti, finti civici. Mentre Vendola torna a competere, nel nome di «un'altra» Regione
Vista da Bari vecchia, e da sinistra, la competizione nella terra di Puglia è tutta una questione di santi, patroni, profeti e predestinati. La città è del resto una e bina, levantina per costituzione: era devota a San Sabino fino all’anno 1087, quando 62 marinai portarono qui le spoglie di San Nicola trafugate da Myra, in Turchia. Non ci fu partita: nel giro di cent’anni San Sabino fu spodestato, relegato a figura di secondo piano, nell’immaginario popolare e nella gerarchia, ma non sparì del tutto: diventò co-patrono del più noto e venerato Nicola, in una disputa che si è trascinata nei secoli almeno fino a metà del Novecento. E poi si è rinverdita con un balzo nell’agosto-settembre 2025, quando nel Pd si è deciso che San Nicola si candidava, e San Sabino no.
Ed è proprio qui, proprio ai piedi della cattedrale del co-patrono – sulla facciata troneggiano infatti le statue di entrambi i santi – comincia quasi ogni giorno il suo giro elettorale Antonio Decaro. Ex sindaco, europarlamentare, a volte indicato come possibile leader dei riformisti dem quando non come futuribile segretario del partito, ma sempre e per sempre soprattutto ingegnere, oggi candidato governatore senza rivali per le Regionali del 23 e 24 novembre, viene trattato dalla gente con sfacciata venerazione: scuro di pelle lo è, un po’ di barba ce l’ha, per apparire un San Nicola gli basterebbero giusto i paramenti verdi. Lo saluta, con un cenno del capo, persino il prete ortodosso che celebra messa in Basilica.
Nessuno per strada gli chiede del suo teorico sfidante da destra, Luigi Lobuono, l’imprenditore che è sotto di trenta punti nei sondaggi e con la cui sconfitta, nel 2004, si chiuse la lunga stagione della cosiddetta Emilia Nera e si aprì quella della Puglia governata dalla sinistra che dura ancora oggi; mentre il governo è guidato anche da importanti pugliesi che paiono momentaneamente dimentichi della loro pugliesità, da Raffaele Fitto ad Alfredo Mantovano. E nessuno, qui a Bari vecchia, a Decaro chiede nemmeno notizie del suo, di San Sabino: Michele Emiliano, il governatore uscente che nel 2004 lo fece assessore tecnico alla mobilità, nel 2014 lo incoronò suo successore a sindaco e che invece, adesso, Decaro ha costretto al passo indietro, a non candidarsi, per avere in teoria più ampia l’ascesa a governatore della Puglia, senza l’ingombrante predecessore assiso in consiglio regionale. In una telenovela che si sospetta più simbolico-psicologica che pratico-politica, anche visto come hanno armonicamente composto le liste.
«Emiliano? Che devo dire: gli voglio bene, ricuciremo, spero che ricuciremo», si limita a dire Decaro mentre nei vicoli di Bari vecchia gli fanno la lista come fosse ancora lui il sindaco: non ci sono le luminarie per Natale, lamentano fuori dal bar “Vanni e Mary”, c’è il pilomat rotto, mancano i bagni chimici, l’associazione ha perso la sede, al Comune il suo successore (ed ex capo di gabinetto), Vito Leccese, non è mica bravo come lui, gli fanno notare i clienti del più antico negozio della città “Marnarid dolciumi”. «Bisogna dargli tempo, io nel mio primo anno da sindaco ho fatto schifo», risponde Decaro, bendicente sotto buste di cannoli vuoti, cestini di pasta frolla e piccoli coni appesi al soffitto. C’è chi si preoccupa per il dimagrimento («sto a dieta»), chi mostra le cipolle in cottura, chi vuol vendere il negozio. C’è chi ha nostalgia e la sbandiera proprio adesso: «Non te ne andare», gli dicono. «Ma se sto tornando!», risponde lui, un po’ sbigottito in mezzo agli adoranti. Ha provato per tutta l’estate a scrollarsi di dosso il destino di governatore: «Ma mi sentivo un traditore. Mio padre mi diceva: se vuoi far carriera torna a fare l’ingegnere. In politica devi andare dove ti chiede la gente. E allora eccomi qua».
C’è da dire che, per convincerlo a salire sul palco di Bisceglie e candidarsi ufficialmente, una sera di settembre è dovuta scendere apposta da Roma la segretaria del Pd Elly Schlein: e basta scorrere le foto di quella sera per intuire chi fosse convinto e chi no.
San Decaro di Bari, «mister half million» come lo chiamavano a Bruxelles per via del numero record di preferenze raccolte alle Europee del 2024, adesso che corre da solo verso la Regione, e anche dopo quando la guiderà, ha almeno due problemi, anzi tre: la continuità con Emiliano, la voglia di strafare e la monocrazia, cioè l’essere lui un Uno-Tutto. Sintomo delle prime due si può sintetizzare in una delle liste che lo sostengono, la lista “Per Decaro”: qui trovano spazio alcuni dei personaggi tipici dell’epopea dell’ex magistrato antimafia, poi fin qui travasata nell’era decariana, gli ex fittiani, gli ex forzisti, gli ex missini, i transumanti di ogni genere. È l’essenza del monoblocco emilianista: perché Michele Emiliano negli anni di governo ha smontato in gran parte l’opposizione di destra per inglobarla, forte della sua storia da magistrato di confine, senza badare alla caratura di chi si imbarcava, forse pensando sempre di poterla governare, fino all’esplodere di casi come quello che nella primavera 2024 ha coinvolto l’ex assessora regionale Anita Maurodinoia e suo marito Sandro Cataldo. È quella pratica politica che a suo tempo ha portato, per dire, nel ruolo delicatissimo di capo dell’agenzia regionale del lavoro – e poi dici che i lavoratori e gli operai non votano più a sinistra – un profilo come quello di Massimo Cassano, ex dc, ex senatore di Ncd, parlamentare con FI, candidato con Azione, adesso in corsa con la Lega.
Oggi, in lista “Per Decaro”, coi loro pacchetti di voti, ci sono finti civici e transfughi per eccellenza. C’è l’ex sindaco di Bisceglie a cavallo tra Udc e centrodestra Francesco Carlo Spina, c’è Saverio Tammacco, già fedelissimo di forzisti come Francesco Schittulli e Antonio Azzollini che hanno fatto la storia degli accordi rossobruni, candidato con Fitto alle ultime Regionali ma poi passato, con le sue novemila preferenze, sotto l’ombrello di Emiliano, quindi oggi “per” Decaro. C’è persino Roberto Quarta, eletto a Brindisi come consigliere comunale di Fratelli d’Italia nel 2023, due anni fa, un cane di nome Duce, un padre di «fede mussoliniana», un figlio orgoglioso dell’intera filiera, ma adesso pronto a sostenere l’europarlamentare dem, perché, ha detto in un’intervista, «Meloni è troppo lontana dal territorio, Decaro ha fatto politica tra la gente e per la gente». Non sarà che l’emilianesimo è uscito dalla porta per fare accordi dalla finestra? Tra i sostenitori di Decaro dicono che tutto si misurerà con le preferenze, nella gara tra vecchio e nuovo. Tra il deputato dem Ubaldo Pagano e il delfino di Decaro Francesco Paolicelli, giusto per fare due nomi considerati concorrenti a Bari. Difficile però che basti a fare discontinuità.

L’altro problema di Decaro lo si vede benissimo osservando la campagna elettorale da un’altra prospettiva. Anzi osservando un’altra campagna elettorale. Fuori da Bari, in provincia di Foggia. A San Marco in Lamis, dove fa comizi, anche nell’unica circoscrizione pugliese in cui non è candidato, un altro santo laico della sinistra, l’unico peraltro a chiamarsi Nicola. Nichi Vendola, presidente di Avs, governatore tra il 2005 e il 2015 dopo aver vinto le primarie da sinistra come outsider, un Mamdami ante litteram, è tornato a candidarsi dopo dieci anni di assenza, ancora con il processo Ilva in corso (è imputato a Potenza per concorso in concussione), sulle spalle tutto il fango delle campagne mediatiche e delle inchieste passate, ma ancora di più addosso l’orgoglio di essere l’inventore di quella primavera che ha cambiato la Puglia e che per strada, tutt’ora, gli chiedono «perché non può tornare, perché non possiamo farne un’altra». Gli ricordano, le persone che lo fermano, degli asili nido costruiti, dei computer comprati che hanno cambiato la vita ai fragili che non potevano permetterseli, di chi da precario è stato assunto e ha potuto farsi una vita e una famiglia, della lotta alla mafia che continua a fare, protestando, come prima cosa, che «dell’ombra del voto di scambio nessuno vuol parlare»: in rete lo attaccano, nella realtà corre a stringergli la mano anche chi non lo vota, «perché ho stima e ammirazione». Vendola dice che la destra oggi vince perché «nella minoranza che vota, in Italia, sembra egemone l’idea che la politica non cambierà la vita delle persone, e invece può cambiarla»: la visione di “Un’altra Puglia” è lo slogan della sua campagna. Un’altra dopo quella che ha inventato vent’anni fa, «perché potere è un verbo, è il verbo del movimento, del cambiamento possibile: ma quando “potere” diventa sostantivo puzza di morte, di sepolcro in cui si rinchiudono i potenti».
“Tutta la Puglia” è lo slogan di Antonio Decaro, prodigioso negoziatore post ideologico in cui la politica è tecnica, cose da studiare e da fare, da amministrare. Preferibilmente in modo bipartisan, senza discutere, lavorando nell’interesse di tutti. Di tutta la Puglia. Che, per questo, lo voterà.
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