Politica
25 novembre, 2025Il partito della premier scende al Nord e al Sud: Fratelli d'Italia doppiato dalla Lega in Veneto, testa a testa con Forza Italia in Campania. La segretaria del Pd blinda la sua leadership e si prepara alla sfida. E alla contromossa meloniana: la nuova legge elettorale
Era cominciata con Giorgia Meloni che saltellava «chi non salta comunista è» sul palco del Palapartenope a Napoli è finita con Elly Schlein che, sempre a Napoli, canta Pino Daniele celebrando la vittoria di Roberto Fico e del campo largo da lei testardamente costruito: «L’aria s’ha da cagna’, l’alternativa c’è», dice la segretaria del Pd. In dieci giorni è cambiato il vento, ancora una volta, in questo passo a due che a cadenza ormai sempre più ravvicinata avvince la capa del governo e la leader del maggior partito d’opposizione. Stavolta il cambio è arrivato a sorpresa, sull’onda di elezioni regionali che, nel loro risultato principale, erano e si sono confermate largamente scontate: la sinistra vince in Puglia e Campania, la destra in Veneto, l’astensione dilaga con percentuali più che preoccupanti.
Ma, appena dietro l’angolo, si apre una fase nuova, per i due principali partiti italiani e le rispettive coalizioni.
Il pomeriggio più nero della sua storia di capa del centrodestra, Giorgia Meloni lo passa a Luanda, in Angola, al vertice con l’Unione africana. Ma non balla, per niente: mai si è vista infatti in tre anni una debacle dei suoi Fratelli d’Italia come quella che gli exit poll prima e i risultati (provvisori) dello spoglio vanno scoperchiando via via. In Campania, l’unica regione dalla quale il centrodestra si aspettava qualcosa di meglio, una sconfitta dignitosa, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ha invece un tonfo: oltre venticinque punti lo separano da Roberto Fico. Ma c’è ancora di più: per tutto il pomeriggio il partito della premier, che esprimeva il candidato presidente e quindi si presentava come naturalmente favorito nel voto, risulta invece sotto Forza Italia, l’alleato minore. Solo a sera tutto si riequilbira, ma solo cinquemila voti separano i Fdi dagli azzurri. Una cosa mai vista, ma che è il frutto evidente di una gestione di Fratelli d’Italia di cui finora nessuno (nessuna) si è voluto occupare.
Ma c’è di più, un altro risultato che conferma l’esistenza dello stesso problema: in Veneto, dove pure il centrodestra rivince in scioltezza con Alberto Stefani, Fratelli d’Italia ottiene la metà dei voti della Lega. Un’altra battaglia persa per il partito di via della Scrofa che sognava di eguagliare i risultati delle elezioni europee del giugno 2024, quando in Veneto aveva ottenuto il 37,5 per cento, il triplo del 13 per cento del carroccio. Solo in Puglia le cose vanno come previsto: oltre trenta punti separano il candidato del centrodestra Luigi Lobuono da Antonio Decaro, ma lo sapevano anche i sassi che sarebbe finita così.
Uguale e contrario sull’altro fronte.
Il pomeriggio più roseo per lo meno degli ultimi mesi, Elly Schlein lo comincia con un gesto ormai consueto, forse tra i suoi preferiti: salire in auto per andare di persona in loco, a festeggiare le vittorie. Fino in Puglia, dove arriverà solo a sera inoltrata, e prima ancora in quella che probabilmente ritiene la sua vittoria più profonda. La Campania. Non importa che là il vincitore sia un esponente del M5S, e non importa che lui arrivi al comitato elettorale con il leader del Movimento Giuseppe Conte. È giusto così e anzi: sono elementi che rafforzano l’immagine d’insieme, restituiscono in pieno l’architettura politica cui la segretaria del Pd ha lavorato per mesi. Quando ha intavolato la trattativa con Vincenzo De Luca perché si facesse da parte ma senza rompere tutto, ancora prima che l’asse con Meloni portasse alla bocciatura del terzo mandato. Quando ha lavorato a convincere il sempre recalcitrante Giuseppe Conte che la strada del campo largo era l’unica percorribile anche per lui (adesso, tipicamente, il M5S si è messo a parlare di legge proporzionale: ma col proporzionale non avrebbe vinto in Campania, dove ha preso il 9,5 per cento). Quando ha, impercettibilmente, fatto in modo che cessasse il reciproco non expedit tra contiani e renziani che un anno fa era stata la causa principale della sconfitta in Liguria. Era stato, quello, l’ultimo caso in cui aveva vinto la disunità, nel centrosinistra.
L’unità è invece la chiave della svolta, o per lo meno quella da cui ripartire per dire che «l’alternativa c’è». Lo si vede ora con la vittoria di Fico, come lo si è visto al comune di Genova con la vittoria di Silvia Salis: chi ha testardamente tenuto in mano il lembo di quel filo magico ha in mano l’intero gioco. In Campania l’equilibrio politico che esce dalle urne è da record: Pd primo partito, Cinque stelle secondo con la metà dei voti, De Luca vittorioso ma non troppo, seguono i riformisti, Clemente Mastella appena sopra il 4 per cento.
E l’essere unitari paga. Dal 2022 a oggi, lo fanno notare i più vicini alla segretaria dem, come Igor Taruffi e Francesco Boccia, il Pd non ha fatto che salire in tutte le votazioni. Accade anche stavolta: quando siamo oltre la metà dello scrutinio, si contano più cinque punti in Veneto, più tre punti in Campania, più sette punti in Puglia. Sono lontanissimi i tempi del quasi pareggio coi Cinque stelle. Il campo progressista ha, insomma, una forma assai diversa da quella della coalizione mancata che fu causa determinante della sconfitta del centrosinistra nel 2022: decisiva è stata e sarà la legge elettorale, come ha candidamente ammesso persino il fratello d’Italia Giovanni Donzelli, spiegando che adesso è ora di cambiarla.

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