In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia Ue, negli hub potranno essere trasferiti gli immigrati già destinatari di un decreto di espulsione. In cdm introdotta una stretta sull'ottenimento della cittadinanza

Gli hub per migranti in Albania diventeranno centri per i rimpatri (cpr), almeno fino alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che dovrebbe sbrigliare la matassa giuridica intorno alle strutture volute dal governo Meloni. Durante il Consiglio dei ministri di oggi - 28 marzo - l'esecutivo ha scelto di cambiare destinazione d’uso ai centri previsti dal protocollo Italia-Albania ma che, ormai da mesi, sono vuoti e inutilizzati. A febbraio, la cooperativa che li gestisce, la Medihospes, ha persino mandato a casa tutti i dipendenti che lavoravano nelle strutture. Il decreto approvato dal cdm (intitolato disposizioni urgenti “per il contrasto dell’immigrazione irregolare”) prevede la possibilità di trasferire anche nelle strutture in Albania i migranti destinatari di un decreto di espulsione che si trovano, oggi, in uno dei 10 cpr su suolo italiano.

I costi potrebbero lievitare

“Abbiamo approvato un decreto che interviene sulla legge di ratifica del protocollo Albania, e non sul protocollo - ha detto in conferenza stampa il ministro degli Interni Matteo Piantedosi -, rendendo possibile utilizzare la struttura, già presente nel centro di Gjader, per il trasferimento anche dall’Italia di persone che sono già destinatarie di provvedimento di espulsione e di trattenimento presso un Cpr”. Ma, ha promesso Piantedosi, i centri “non verranno snaturati”. Pensati come hub per le procedure accelerate di frontiera - procedure straordinarie di valutazione delle domande di protezione internazionale, introdotte con il decreto Cutro - i centri in Albania, finora, non sono mai entrati concretamente in funzione per via della mancata convalida dei trattenimenti da parte dei giudici. Il braccio di ferro tra il governo e la magistratura ruota attorno alla definizione di “Paese sicuro”, su cui entro maggio si esprimerà la Corte di giustizia Ue che è chiamata a stabilire se uno Stato possa essere considerato tale anche quando non sicuro per tutte le categorie di persone e in tutte le parti del Paese. Da questo concetto dipende l’applicazione o meno delle procedure accelerate di frontiera. “Siamo abbastanza fiduciosi - ha sottolineato il titolare del Viminale - perché riteniamo che siamo dalla parte giusta e, per come si sta componendo la nuova situazione in Europa, confidiamo che questo sia l’ultimo step per la ripresa dell’espansione dei centri in Albania”. La realizzazione e la gestione è già costata un miliardo di euro, ma i costi potrebbero lievitare perché i migranti che verranno espulsi dai cpr albanesi, prima di essere portati nei loro Paesi d’origine, dovranno ripassare dall’Italia. Con un via vai di mezzi da e per l’Albania.

Stretta sulla cittadinanza

Ma ci sono anche altri provvedimenti discussi e approvati nell’ultimo Consiglio dei ministri. Il primo è una stretta sulle norme che regolano l’ottenimento della cittadinanza. “Da mezzanotte non si può più richiedere la cittadinanza italiana con le nuove regole - ha spiegato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani -. Da oggi si diventa cittadini se si hanno fino ai nonni cittadini italiani”. Il nuovo provvedimento introduce limiti allo ius sanguinis, e prevede che gli italo-discendenti nati all’estero potranno richiedere la cittadinanza solo per due generazioni, cioè solo chi ha almeno un genitore o un nonno italiano. In questo modo, ha sottolineato Tajani, si cercherà di “evitare abusi o fenomeni di commercializzazione dei passaporti italiani”. Negli ultimi dieci anni, dal 2014 al 2024, i cittadini residenti all’estero sono aumentati del 40 per cento, passando da 4,6 a 6,4 milioni.

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