Il caso Almasri si arricchisce di nuovi tasselli che spiegano – o meglio, che il governo italiano usa per spiegare – il rilascio e l’espulsione lo scorso gennaio del comandante libico, dopo essere arrestato a Torino e su cui pendeva un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale. Il governo Meloni, dopo una serie di proroghe, il 5 maggio ha inviato la propria memoria alla Corte dell’Aja. E nel documento, come riporta Repubblica, è allegato un carteggio, datato 20 gennaio, che Tripoli ha spedito a Roma per farsi riconsegnare Almasri, “in nome dei comuni obiettivi”. Il governo di unità nazionale libico rivendica il proprio diritto a procedere contro il comandante della Rada – poi riaccompagnato in Libia a bordo di un aereo Falcon in uso ai servizi segreti italiani – perché oggetto di un mandato di cattura emesso dalla procura di Tripoli.
Almasri, si legge nel documento pubblicato da Repubblica, è accusato dalla giustizia libica di aver “avuto un ruolo di comando nelle violenze scoppiate nel quartiere di Abu Salim a Tripoli il 14 agosto 2023” e che “le azioni condotte sotto la sua autorità hanno provocato numerose vittime civili e distruzioni di beni”. Nel documento firmato dal procuratore Mohamed Al Muqaryef si chiede di “arrestare l’imputato ovunque si trovi, assicurarlo alla giustizia libica per essere processato secondo le leggi in vigore, collaborazione con le autorità giudiziarie italiane per l’identificazione, detenzione provvisoria e la consegna”. Documento ora usato come arma di difesa dal governo italiano per rispedire al mittente l’accusa di non aver rispettato il trattato di Roma, che obbliga l’assicurazione alla giustizia di chi è ricercato dalla giustizia internazionale. Un ulteriore tentativo autodifensivo, dopo quelli (goffi) del ministro della Giustizia Carlo Nordio nei primissimi giorni dopo il caso Almasri.
Ma ci sono alcuni elementi che non tornano. In primo luogo, l’ordine di cattura libico sarebbe stato spiccato il 12 novembre del 2024, mesi prima dell’esecuzione del mandato di cattura della Corte penale internazionale del gennaio 2025. In questo periodo Almasri ha partecipato, da capo della polizia giudiziaria sotto il controllo della magistratura, a diverse riunioni e convegni, ha preso aerei (come quello che lo ha portato in Europa e, poi, a Torino per assistere a una partita allo Juventus stadium). E, quindi, ci sarebbe stata la possibilità di arrestarlo. L’Italia, poi, non avrebbe potuto estradarlo – era questa, di fatto, la richiesta della magistratura libica – perché la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra contro la tortura.
Dopo il suo atterraggio a Tripoli, accolto da festeggiamenti, l’inchiesta libica si è annullata in annulla di fatto, con la procura generale che ha comunicato che “le accuse nei suoi confronti sono destituite di ogni fondamento”. Fine della storia.