Il caso Almasri si arricchisce di nuovi particolari e di nuovi punti di domanda. E le opposizioni insistono affinché il governo spieghi tutti i punti che non tornano nella scarcerazione e nel rimpatrio a Tripoli, a bordo di un Falcon in uso ai servizi segreti italiani, del comandante libico su cui pendeva una richiesta d’arresto spiccata dalla Corte penale internazionale e che il nostro Paese sarebbe stato costretto a eseguire. L’ultimo elemento, in ordine cronologico, è la relazione della procura della Corte de L’Aja, che ha chiesto di deferire l’Italia per “inadempienza”. E ora, con una richiesta partita dal gruppo del Movimento 5 stelle con Valentina D’Orso, a cui si sono associate anche le altre opposizioni, è stato chiesto al ministro della Giustizia Carlo Nordio di tornare a riferire in Aula.
La Cpi contro la "discrezionalità" scelta dal governo
Nell’ultimo documento trasmesso al governo, la Cpi elencava una serie di punti usati dall’Italia per giustificare la scarcerazione di Almasri. Tra questi c’era anche una presunta richiesta di estradizione proveniente dalla Libia. Per la procura de L’Aja, “l'Italia sembra aver ritenuto di poter esercitare discrezionalità nel determinare se potesse dare priorità alla richiesta di estradizione della Libia rispetto alla richiesta di consegna della Corte", mentre "aveva l'obbligo di consultare la Corte e la sua mancata consultazione costituisce di per sé una grave inadempienza". Quel che viene contestato è di aver agito senza un confronto "di fronte a qualsiasi problema percepito che potesse ostacolare l'esecuzione della richiesta di consegna della Corte, ai sensi dell'articolo 97 dello Statuto” di Roma.
"Nordio non ha mai parlato di richieste d'estradizione"
"Chiediamo un'informativa urgente del ministro Nordio affinché riferisca subito tutto quello che non ha detto al Parlamento il 5 febbraio scorso nella sua informativa sul caso Almasri - ha affermato la capogruppo pentastellata in commissione Giustizia -. In questi giorni solo grazie alla Corte penale internazionale abbiamo scoperto che l'Italia, nel difendersi nel procedimento che la riguarda, avrebbe giustificato la liberazione del trafficante di esseri umani e stupratore di bambini Almasri sostenendo di aver ricevuto una richiesta di estradizione dalla Libia. A parte che Almasri non è stato estradato ma liberato in patria con tutti gli onori, ma Nordio al Parlamento non ha mai parlato di richieste di estradizione - ha proseguito D'Orso -. Le ipotesi sono due: o il ministro ha mentito alle Camere, e quindi ai rappresentanti ai cittadini, oppure ha mentito alla Cpi. Non c'e' altra possibilità e in entrambi in casi siamo davanti a un fatto di una gravita' assoluta. Il ministro deve venire qui e ammettere che ha mentito all'Italia o alla Corte penale internazionale. È mortificante anche il fatto che questi fatti gravissimi noi li apprendiamo attraverso gli atti della Cpi e la libera stampa che ne dà notizia. Ci vergogniamo del governo che guida il nostro Paese delegittimando gli organismi internazionali, calpestando il diritto internazionale e trasformando l'Italia in uno Stato canaglia, mai era successo uno scempio simile”.
Il cavillo della Libia (e del governo italiano)
Del cavillo usato da Tripoli per farsi riconsegnare Almasri - e dall’Italia per difendersi di fronte alle accuse della Cpi - se ne era avuta notizia in realtà qualche settimana prima della relazione della procura della Corte de L’Aja. E già lì erano emersi una serie di punti che non tornavano. L’ordine di cattura sarebbe stato spiccato il 12 novembre del 2024, mesi prima dell’esecuzione del mandato di cattura della Corte penale internazionale del gennaio 2025. In questo periodo Almasri ha partecipato, da capo della polizia giudiziaria sotto il controllo della magistratura, a diverse riunioni e convegni, ha preso aerei (come quello che lo ha portato in Europa e, poi, a Torino per assistere a una partita allo Juventus stadium). E, quindi, ci sarebbe stata la possibilità di arrestarlo. L’Italia, poi, non avrebbe potuto estradarlo – era questa, di fatto, la richiesta della magistratura libica – perché la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra contro la tortura. Poi, una volta atterrato a Tripoli ed essere stato accolto con tutti gli onori del caso, la procura generale libica aveva fatto dietrofront e aveva comunicato, a differenza di quanto sostenuto fino al giorno prima, che “le accuse nei suoi confronti” erano “destituite di ogni fondamento”.