Dal terzo mandato per i presidenti di Regione, a una nuova comunicazione del Vaticano: ecco la rubrica "Indiscreto"

Il Risiko di Meloni e del Papa

Colpo di scena (ma neanche troppo): Giorgia Meloni si sveglia una mattina e scopre che il terzo mandato non è più un tabù, anzi: può diventare un’arma. Altro che coerenza ideologica, qui si gioca a risiko. Il via libera al tris di Zaia non è una carezza al doge padano. È una mossa chirurgica per far saltare due piccioni (e forse tre) con una sola fava: stanare Salvini, impallinare Stefani, e far sudare freddo il centrosinistra con i suoi De Luca & Emiliano a fine corsa ma con ancora tanta voglia di ribalta. D’altronde, Fedriga è da tempo in sintonia con Zaia più che con Salvini. La strategia di Fratelli d’Italia è chiara: fare il favore al governatore veneto, ma solo per mandare in tilt l’algoritmo leghista. Salvini aveva già pronto il suo golden boy, Alberto Stefani, 32 anni, già blindato come candidato di via Bellerio. Ora rischia di restare fuori prima ancora di entrare. E mentre tutti guardano a Zaia, Meloni punta la Lombardia. Perché, sia chiaro, FdI il Veneto è disposta a mollarlo – purché in cambio arrivi lo scalpo meneghino. Come dire: “Tenetevi l’ultimo giro del Doge, noi ci prendiamo il trono a Palazzo Lombardia”. E visto che Fontana non è esattamente lo zar di Mosca, il blitz è tutto fuorché impossibile.

 

Il centrosinistra? Zitto e impantanato. Perché se passa il principio del “terzo giro libero per tutti”, allora anche De Luca ed Emiliano torneranno alla carica, con tutta la sobrietà politica di due reality show in cerca di share. Ora resta da vedere se ce la faranno in tempo. Ma anche lì, i falchi meloniani sono sicuri: «Basta un emendamento da una riga e lo piazziamo su un decreto al volo». Una furbata? No, una specialità della casa. Del resto, in questa partita non vince chi ha più voti, ma chi muove meglio le pedine. E Meloni, oggi, gioca su tre scacchiere. Salvini è già in stallo, il Pd non ha ancora capito che partita si sta giocando, e Zaia — se tutto va bene — potrà fare il terzo giro.

 

***

 

Leone XIV, il papa seguace di Sant’Agostino ma con anima da spin doctor, non ha intenzione di perdere tempo e sta già lavorando alacremente alla sua squadra di governo ecclesiale. E uno dei primi tasselli da spostare potrebbe essere Paolo Ruffini, l’attuale prefetto del Dicastero per la Comunicazione, già direttore Rai, uomo solido ma ritenuto troppo “classico” per i nuovi tempi digitali.

Il nuovo pontefice vuole un Vaticano che parli al mondo come un podcast virale, che faccia opinione a New York come a Nairobi, che non si accontenti del Tg1 o di Avvenire, ma pretenda prime time su Cnn, Al Jazeera e TikTok.

 

E allora? Via Ruffini e dentro un profilo ibrido, fluente in inglese, latino e social media strategy. I nomi sul tavolo? Eccoli: Christopher Lamb, vaticanista del Tablet, britannico, affilato e teologicamente solido. Ma forse troppo “giornalista” e poco “manager”. Antonio Spadaro, gesuita 2.0, vicino a Bergoglio, conoscitore del digitale... ma forse troppo legato al pontificato precedente. Una donna? Dalla Francia rimbalza il nome di Anne-Marie Pelletier, teologa, ma l’idea di una donna al vertice della comunicazione vaticana (con tanto di accesso ai briefing riservati) fa ancora tremare le tonache più rigide. E poi c’è l’opzione “sorpresa”: un comunicatore laico con background in think tank Usa (si parla di un consulente che avrebbe già fatto briefing riservati alla Segreteria di Stato). Se fosse vero, sarebbe la prima volta di un “Papa Advisor” made in Usa.

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