L'ex presidente della Camera è sospeso a metà: da due mesi fa una campagna elettorale fantasma, in attesa che Giuseppe Conte si decida a puntare davvero sul suo nome per la corsa al post-De Luca

Roberto Fico, una vita da candidato ombra

Dura la vita del candidato ombra. Fare la campagna elettorale, da oltre due mesi, senza fare campagna elettorale. Farsi vedere il più possibile dai territori e dalle persone che voteranno, ma farsi notare il meno possibile da certi capataz di lungo corso e da certi (auto)ricandidabili in eterno. Una roba estenuante alla Nanni Moretti, ma capovolta: mi si nota di meno se vengo e mi metto in un angolo o se non vengo proprio? L’ultima volta in cui dunque si è trattato di scegliere una collocazione, l’ex presidente della Camera Roberto Fico, grillino della prima ora, presidente della commissione di garanzia M5S, primo nome in lista tra i possibili candidati governatori del centrosinistra in Campania – la regione dove in autunno con le elezioni si giocherà moltissimo dei prossimi equilibri politici – ha scelto la prima: vengo, sto in prima fila, ma resto in ombra. Il 7 giugno lo si poteva dunque trovare schierato in testa al corteo pro-Gaza verso piazza San Giovanni, assieme a Elly Schlein e Giuseppe Conte, ma solo a patto di cercarlo molto bene tra le teste: in prima fila, ma in ombra, disperso tra le bandiere. Tipo uomo invisibile. Un assetto a suo modo geniale.

 

Non fosse che poi a questo tipo di commedie Roberto Fico ci è per lo meno abituato. Quando si insediò alla presidenza della Camera, nel 2018, promise di battersi per la centralità del Parlamento, tre anni prima che – su iniziativa del suo partito – si votasse la legge per dimezzarlo: erano del resto gli anni in cui Gianroberto Casaleggio preconizzava il superamento del sistema parlamentare e Beppe Grillo agitava la famosa scatoletta di tonno. Invece, in quegli anni, il continuo divaricarsi (ma senza effetti) del presidente Fico dalla linea pentastellata diventò talmente proverbiale che a un certo punto i giornali l’avevano soprannominato «muto dissenso» o anche «ribelle afono». Fico fu del resto titolare di uno dei più brevi mandati esplorativi che la storia ricordi: il capo dello Stato Sergio Mattarella glielo affidò alle 17 del 23 aprile 2018, lui lo restituì alle 16.30 del 26 aprile. Meno di settantadue ore, per rispondere (di no, in quel caso) alla domanda sulla fattibilità di un governo Pd-Cinque stelle: e stiamo ancora fermi a quel punto, in fondo.

 

Così adesso che Fico è ormai da mesi candidato in pectore dell’alleanza di centrosinistra in Campania, primo nome nella ipotetica lista del post Vincenzo De Luca (sempre che questo post arrivi, nel qual caso ci sono anche già pronti il numero due e il tre, entrambi pentastellati: l’ex ministro Sergio Costa e il deputato Federico Cafiero de Raho), lo si ritrova ovunque in giro per la regione, ma senza farsi troppo vedere, senza troppi strepiti. A Torre Annunziata a parlare del futuro, a Secondigliano per affrontare il tema delle periferie e andare a trovare la mamma di Patrizio Spasiano, morto a 19 anni sul lavoro, e poi a Pianura, a Marcianise coi lavoratori della Jabil, a Casoria per la giornata contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, alle iniziative della Fondazione famiglia di Maria a San Giovanni a Teduccio, sul palco per presentare il documentario di Fanpage su Mario Paciolla, in giro per le strade a sostenere il referendum, a parlare di partecipazione, sanità, scuola, aree interne, in rete a difendere gli attivisti di Freedom Flottilla e a ricordare Pepe Mujica. Perfetta agenda da candidato di un’alleanza, in attesa del candidato e anche un po’ dell’alleanza.

 

Fico del resto, teorico del «quando si lavora pancia a terra non c’è da avere paura di niente e di nessuno», è da mesi che comincia pazientissimo ogni volta le sue dichiarazioni in questo modo: «Come M5S e come alleanza di centrosinistra», o viceversa «come alleanza di centrosinistra e come M5S», sempre attento a non far travalicare l’una sull’altra, come insegna la scuola delle alte cariche istituzionali. E pazienza se intanto da Roma Giorgia Meloni, giusto per complicare la partita al centrosinistra, fa ripartire il balletto sul terzo mandato cui la Lega terrebbe tanto. È una proposta, quella di Fratelli d’Italia, in bilico tra il bluff e l’obbrobrio giuridico: fra l’altro Forza Italia è contraria, c’è una sentenza della Consulta che va nel senso opposto, manca ormai il tempo per una legge approvata dal Parlamento che sia operativa prima delle Regionali d’autunno, ed è contraria più della metà degli elettori (anche i due terzi, a seconda degli istituti di ricerca). Ma tanto basta a far risalire su, come certi venti quando entrano nel golfo, tutti i residui marini e terrestri che mesi di appeasement avevano spinto a largo. In Campania e non solo.

 

Ecco dunque tornare a serpeggiare, tra il vedo e il non vedo, le perplessità di Giuseppe Conte all’alleanza col Pd, anche in Toscana dove il caso della sindaca dem di Prato, Ilaria Bugetti, indagata per corruzione, sta facendo di nuovo ballare, almeno a livello locale, l’intesa sul bis di Eugenio Giani. Ecco che la questione terzo mandato – mentre eccita le menti di tanti sindaci giunti appunto alla fine del secondo – allenta percorsi già abbastanza scritti, come quello per la successione di Michele Emiliano in Puglia: da tempo si prepara ai box Antonio Decaro, eppure l’attuale maggioranza regionale negli ultimi giorni è sempre più in bilico (il governatore può contare su 26 voti su 51, compreso il proprio). E lo stesso ex sindaco di Bari continua a spargere cautela («deciderò senza forzature e senza tutele»). Mentre da Bruxelles c’è chi dice che Stefano Bonaccini stia (di nuovo) spingendo per farne il competitor di Elly Schlein in un eventuale congresso.

 

È sempre l’ipotesi di un terzo mandato che contribuisce a bloccare la partita in Campania, in un mix tra i risorgenti appetiti del governatore e la tattica di sempre di Giuseppe Conte di tenere tutto sotto scacco, far prevalere la capacità di controllo sulla voglia di vincere, contando di far ricadere alla fine i pesi sui dem. Ecco quindi che Fico, mezzo candidato, ancora non è incoronato, mentre De Luca – che pure in questo tempo ha visto allontanarsi in direzione dem alcuni suoi storici portatori di voti come Mario Casillo – ha già fatto sapere anche ai muri che non lo sopporta («sento circolare nomi di persone che non sanno fare neanche la O col bicchiere»). E Conte nell’ultima intervista al "Corriere della Sera", alla domanda sul punto ha gelidamente osservato: «Quando avremo scritto il programma, ci confronteremo sui candidati». Si può scommettere che per l’ex presidente della Camera non straveda, anche se non può dirlo: favorevole allo ius soli, alle unioni civili, contrario alla linea Minniti sui migranti negli anni in cui il M5S gridava contro i taxi del mare, Fico incarna quella sinistra del Movimento sulla quale il presidente pentastellato ambiguamente pattina senza interpretarla davvero. E sa persino restare in ombra, quando serve. C’è qualcosa di più odioso? Ah sì, l’età.

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