Il cosiddetto campo progressista scende in piazza contro il riarmo. Ma pare non esserci sintesi tra Pd, Avs e M5s su difesa comune Ue, Ucraina e Nato. Con Conte che guarda più a Mosca

La pace unisce con distinguo

La benedizione – è proprio il caso di chiamarla così – è arrivata dal cardinale Pietro Parolin: «Bene che ci sia una mobilitazione in generale per evitare la corsa al riarmo. Rientra nel secondo appello che il Papa ha fatto: il primo sulla conversione del debito e poi quello a costituire un fondo per debellare la fame nel mondo usando i proventi destinati alla costruzione di armi». Nel pomeriggio del 21 giugno, il segretario di Stato della Santa Sede non si negava affatto a chi gli chiedeva di commentare la manifestazione nazionale che in quelle ore si svolgeva a Roma, per iniziativa dell’arcipelago pacifista composto anche dall’associazionismo cattolico: oltre 400 sigle unificate dalla campagna “Stop ReArm Europe”, l’esatto opposto del “ReArm Europe Plan/Readiness 2030”, nel quale si riconosce larga parte dell’Assemblea di Strasburgo, dopo la presentazione da parte di Ursula von der Leyen, ma che provoca la protesta delle piazze.

 

La manifestazione di Roma, poche ore prima dell’attacco Usa ai siti nucleari iraniani in aiuto alla guerra di Benjamin Netanyahu, voleva interpretare il sentimento pacifista fotografato dai sondaggi italiani e che Giuseppe Conte ha ormai deciso di trasformare in un investimento politico-elettorale, esportando poi le sue iniziative contro il riarmo – sia quello in ambito europeo sia quello legato all’aumento della spesa per la difesa di ogni singolo Stato aderente alla Nato – il 24 giugno nella piazza dell’Aja, per contestare, nelle stesse ore, le scelte all’ordine del giorno del vertice dell’Alleanza atlantica. E questa volta, a differenza di quanto avvenuto a Roma, del tutto in solitaria per quanto riguarda le presenze italiane, cioè senza coinvolgere l’altra componente pacifista del centrosinistra, Avs, che invece era a Roma con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.

 

La scelta anti-riarmo, che sembra trasformarsi tout court in una scelta anti-Nato, è tale da allontanare su politica estera e difesa l’unità del «campo progressista», perché i due documenti Pd-M5S-Avs a favore del riconoscimento dello Stato palestinese e della rottura della collaborazione militare con Israele – peraltro senza l’adesione dei centristi Matteo Renzi e Carlo Calenda nonché dell’ex radicale Riccardo Magi (+Europa) – non bastano a esaurire la piattaforma politica di chi si candida a guidare un Paese. Resta fuori la posizione sul riarmo, sebbene sia il tema destinato a intrecciarsi sempre più con le scelte di politica estera dei Paesi europei. Il no del Movimento di Conte è un no al piano di von der Leyen, che lascia le iniziative ai singoli Stati; ma non è chiaro se l’ex premier condivida con il Pd l’obiettivo della difesa europea (di cui, peraltro, il piano della presidente della Commissione di Bruxelles costituisce un primo passo, come hanno subito avvertito Romano Prodi e Paolo Gentiloni). C’è una certa ambiguità del Movimento, emersa proprio con la partecipazione alla manifestazione antimilitarista del Colosseo, invece disertata da Elly Schlein.

 

Dal Pd, però, sdrammatizza il senatore Walter Verini, eletto nel collegio plurinominale dell’Umbria, la Regione della “Marcia PerugiAssisi della pace”. «Secondo me, su questi temi non debbono valere esigenze di posizionamenti per piccole logiche di politica interna. Lasciamole a una destra barcollante e divisa tra l’europeismo poco incisivo di Antonio Tajani, la posizione irresponsabile di Matteo Salvini pro Vladimir Putin e Donald Trump e l’illusione presto sfumata di fare da ponte tra Usa ed Europa di Giorgia Meloni, spesso irrilevante in questa fase. Mentre il mondo sta vivendo un dramma incalcolabile, mentre il diritto internazionale viene cancellato da autocrati e dittatori, mentre al terrorismo di Hamas e Iran si risponde con le criminali stragi di civili di Netanyahu a Gaza e con la guerra contro Teheran, è il momento di puntare tutte le carte su una nuova Europa, unita anche nella difesa e nella sicurezza».

 

Nella prospettiva del «campo progressista», Schlein evidentemente non può del tutto prescindere dalle spinte pacifiste dell’ala radical (M5S e Avs): non può lasciare “scoperto” il Pd a sinistra. Una pattuglia di europarlamentari e parlamentari nazionali del Nazareno ha manifestato a Roma e non certo in dissenso con la segretaria. Ma il tema del riarmo richiede posizioni chiare. «Non si può dire che gli italiani chiedono di allontanare lo spettro della guerra e allora noi non ci impegniamo sul fronte della difesa», avverte il senatore del Pd, Filippo Sensi, per il quale «dobbiamo fare esattamente l’opposto, impegnandoci di più perché siamo in un contesto in cui la Russia soffia sull’Europa, il Medio Oriente mai è stato così instabile e tutto dovrebbe spingere verso una difesa comune dell’Europa». Sensi (che fa parte della minoranza riformista) si professa comunque «fiducioso» sul fatto che alle prossime elezioni politiche si arrivi «con una convergenza fra i partiti di opposizione che non sia un compromesso al ribasso», anche se «al momento le differenze ci sono su alcuni importanti dossier, il più importante è quello dell’Ucraina».

 

A Montecitorio, i Cinque Stelle hanno chiesto di non escludere «a priori una possibile collaborazione con la Russia» sulla fornitura di gas, qualora la situazione in Medio Oriente provocasse una stretta alle importazioni. Pd e Avs si sono chiamati fuori. Appena due giorni prima, sempre alla manifestazione di Roma, Conte aveva respinto con sdegno l’accusa di «putinismo».

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