In Italia è stato spesso motivo di accese polemiche tra gli schieramenti politici, accusato di incostituzionalità e da qualcuno addirittura paragonato a una sorta di tortura di Stato. Ma oltre i nostri confini, il 41 bis – il cosiddetto carcere duro – è diventato l’oggetto del desiderio di molti Paesi che inviano delegazioni di esperti per studiarlo. Sono venuti dall’Olanda, dal Cile, e soprattutto dalla Francia.
È da più di un anno che Yves Le Clair, magistrato di collegamento tra Francia e Italia, ha iniziato a lavorare sul dossier, acquisendo documenti, visitando penitenziari italiani, incontrando i vertici del Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) e della Dna (direzione nazionale antimafia e terrorismo), organizzando il bilaterale tra il Guardasigilli Carlo Nordio e il ministro della Giustizia francese Gérald Darmanin. Il 14 giugno è stata pubblicata sul “Journal officiel de la loi” (omologo della Gazzetta ufficiale) la legge che esporta il nostro 41 bis nell’ordinamento penitenziario francese.
Le Clair, prima di entrare nel dettaglio della vostra nuova legge, ci parla della figura del magistrato di collegamento?
«È stata un’invenzione di Giovanni Falcone che aveva chiesto alla Francia di aiutare l’Italia nelle indagini sui rapporti tra Cosa nostra e i marsigliesi partendo dal flusso dei soldi. Poi la collaborazione si è istituzionalizzata ed estesa ad altri campi. Io ho 4 missioni principali: la cooperazione tecnica bilaterale su alcuni strumenti (ad esempio il mandato d’arresto europeo, l’esecuzione di alcune pene alternative non proprio uguali negli ordinamenti dei due Paesi); scambi di informazioni su alcune indagini; preparazione di incontri a livello politico nell’ambito della giustizia; diritto comparato. Le faccio un esempio: proprio stamane un collega francese mi ha chiesto se in Italia utilizzano l’intelligenza artificiale per identificare le persone in strada. La cooperazione segue le regole europee e per quanto riguarda l’Italia sono rinforzate dal Trattato del Quirinale. La Francia ha 20 magistrati di collegamento. Io sono arrivato a Roma, dove mi hanno messo a disposizione un ufficio al ministero a via Arenula, l’estate scorsa».

Uno dei suoi compiti è quello di verificare la fattibilità di inserire nell’ordinamento francese una norma ispirata al 41 bis, in vigore in Italia nella sua prima versione da 39 anni e da 33 in quella rafforzata dopo la strage di Capaci. Perché la Francia ne ha sentito il bisogno proprio adesso? Ha influito il caso dell’attacco al furgone che stava trasferendo un criminale e che comportò l’uccisione di due poliziotti?
«Si certamente, quell’episodio turbò profondamente i francesi. E rese evidente che il regime detentivo ordinario per criminali senza scrupoli non poteva più andare bene. Tutti –politici di ogni schieramento, sindacalisti, operatori di giustizia, società civile – hanno chiesto maggiore sicurezza. Ma al di là dell’ondata emotiva, si stava già ragionando su come tentare di fermare, o quantomeno arginare, un’altra ondata che sta colpendo la Francia e che impone una risposta forte: il narcotraffico. Ci troviamo di fronte a una situazione quasi paradossale: quando riusciamo a prendere e incarcerare i capi delle varie organizzazioni, questi dalle celle continuano a gestire e dirigere i loro affari, dando ordini con il telefonino, con contatti con altri detenuti, attraverso i colloqui. Dovevamo trovare un modo per interrompere questi flussi. E così abbiamo iniziato a studiare la vostra esperienza con il 41 bis».
Attualmente in Italia, secondo il rapporto Antigone, sono 742 i detenuti al regime del 41 bis, alcuni anche da oltre 20 anni, sparsi in 12 penitenziari. Si tratta soprattutto di condannati per reati di mafia e terrorismo. Voi utilizzerete il “carcere duro” solo per i narcotrafficanti?
«Si, è questo l’obiettivo della legge. Oggi la nostra criminalità organizzata è il narcotraffico. La droga arriva dalla Colombia, dal Messico, dal Perù, dal Brasile. Importiamo soprattutto eroina, cocaina, anfetamine. Il consumatore europeo, a differenza di quello nordamericano, è interessato soprattutto ai prodotti che definirei “festivi”, un prodotto che dà energia».
I rapporti tra marsigliesi e ’ndragheta calabrese sono ancora molto forti?
«I marsigliesi in questo periodo sono più concentrati sulla produzione di droghe sintetiche. Sono i calabresi, con la rete di criminalità organizzata più efficace e più potente al mondo, ad avere i contatti con i grandi produttori di cocaina ed eroina. E sono anche quelli che hanno una maggiore competenza in ambito finanziario».
Anche il terrorismo, in particolare quello di matrice islamica, però è un problema per la Francia. Questa nuova legge non varrà per i terroristi?
«Contro il terrorismo abbiamo già un trattamento specifico con le competenze di una procura apposita. Il sistema francese prevede tre procure nazionali speciali: terrorismo, reati finanziari, criminalità organizzata. Quest’ultima, ispirata alla vostra Dna, è nata con una legge votata dal Parlamento il 29 aprile scorso. Ed è in questo ambito che si inquadra il regime carcerario che si ispira al vostro 41 bis».
Gli avete dato un nome?
«Quartieri di lotta contro la criminalità organizzata».
Avete già individuato gli istituti di pena appositi?
«Per il momento sono due: quello di Vendin-le-Vieil nel Nord della Francia e quello di Condé- sur-Sarthe in Normandia. A partire dal 31 luglio ed entro metà ottobre vi saranno trasferiti 200 pericolosi narcotrafficanti».
In sintesi la vostra nuova legge quali aspetti ha preso dal 41 bis?
«Il meccanismo di decisione è lo stesso: un decreto del Ministro della Giustizia. Si prevede un anno, rinnovabile. Alta sorveglianza, nessun contatto con l’esterno, niente telefonini. Comunque ci sono anche altre norme della giustizia italiana che abbiamo studiato con attenzione e in parte trasferito nel nostro ordinamento».
Quali?
«Quelle sui collaboratori di giustizia. Abbiamo imparato da voi che è l’unico modo per sconfiggere davvero le mafie. Il nostro sistema non prevedeva la possibilità di pene ridotte in caso di pentiti accusati di omicidio. Ma l’Italia insegna: chi decide l’uccisione di qualcuno spesso è il capo dell’organizzazione, il pesce grosso. È lui che può svelare i segreti e fornire le informazioni “da dentro”. Ora anche chi è accusato di omicidio può entrare nel programma dei collaboratori di giustizia. Stiamo anche rinforzando il programma di protezione dei testimoni chiave. Un altro aspetto molto interessante della normativa italiana è la possibilità di sequestrare, già in fase di indagine, i beni dei criminali. Altro dossier che stiamo studiando sono i poteri di polizia giudiziaria attribuiti alla polizia penitenziaria».
Non temete che anche in Francia possano nascere polemiche sulle condizioni “non umane” inflitte ai detenuti in regime di carcere duro?
«In alcuni momenti uno Stato ha bisogno di adattare i suoi strumenti di sicurezza alle minacce ai cittadini. Ovviamente vale sempre la regola del giusto equilibrio».