Politica
28 agosto, 2025Da Rimini a Berlino passando per Bruxelles: il risiko delle poltrone europee si intreccia con ambizioni nazionali, strategie transatlantiche e un futuro che potrebbe cambiare volto all’Unione
Il palco era quello del Meeting di Rimini, il pubblico quello delle grandi occasioni. Roberta Metsola non ha solo pronunciato un discorso appassionato: ha scritto il suo manifesto. Un’agenda per l’Europa dei prossimi anni, scandita su parole-chiave come sicurezza, identità, allargamento e competitività. Non un intervento qualsiasi: chi l’ha ascoltata con attenzione ha colto il segnale. La presidente del Parlamento europeo ha lanciato la sua candidatura alla guida della Commissione.
Non è una mossa isolata, né improvvisata. A Bruxelles si è ormai consolidata una convinzione: Ursula von der Leyen non arriverà alla fine del suo secondo mandato. Non perché non lo voglia, ma perché altri equilibri si stanno ridisegnando. Secondo fonti diplomatiche tedesche, la presidente uscente della Commissione avrebbe ormai in mente un obiettivo diverso: la presidenza della Repubblica Federale Tedesca, carica che si libererà a inizio 2027, ma per la quale i giochi si apriranno già nel 2026. Il tempismo in politica è tutto, e von der Leyen lo sa.
Per spianarsi la strada verso Berlino, von der Leyen ha iniziato a costruire ponti oltreoceano. Non è un mistero, nei corridoi della Commissione, che dietro l'accordo sui dazi siglato con l'amministrazione americana – giudicato da molti osservatori europei come un compromesso al ribasso – ci sia anche una finalità politica personale: mantenere rapporti distesi con Washington, ovvero non far arrabbiare Donald Trump. Un investimento che potrebbe rivelarsi determinante se, come pare, von der Leyen dovrà muoversi su un terreno complesso, tra conservatori e liberali tedeschi in cerca di una figura di garanzia. Ed il presidente della Germania non può certo essere un “nemico” di Donald Trump.
In questo scenario si inserisce la figura di Metsola. La presidente del Parlamento europeo gode del sostegno pieno del Partito Popolare Europeo e rappresenta una sintesi ideale tra rigore e rinnovamento. Il suo profilo da “figlia dell’Europa” – giovane, mediterranea, europeista – piace anche ai centristi e a molte capitali. Il discorso di Rimini, così marcatamente politico, ha avuto proprio questo obiettivo: segnare la transizione da figura istituzionale a leader in pectore. Ovvero, vuole essere lei la persona che prenderà il posto di Ursula.
Ma non è tutto. Sullo sfondo si muove un altro nome pesante: Mario Draghi. L’ex premier, tornato al centro della scena con il suo report sull’Europa, resta un nome di prestigio internazionale. Per molti – a Bruxelles come a Parigi – rappresenterebbe la figura ideale per guidare la Commissione in un momento di grandi turbolenze globali. Draghi, però, non ha sciolto le riserve. Chi gli è vicino racconta che, sebbene consideri il ruolo a Bruxelles strategico, il suo vero orizzonte rimane il Quirinale, quando nel 2029 si aprirà la partita per il successore di Sergio Mattarella. Una prospettiva lunga, ma non impossibile. Il risiko è appena cominciato. Ma un fatto è certo: l’Europa del dopo-von der Leyen si costruisce oggi, tra scenari globali in mutamento e leadership ancora tutte da scrivere.
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