Politica
7 agosto, 2025Prima l'investitura da vicesegretario del Carroccio. Poi Salvini l’ha messo a capo dell’organizzazione elettorale toscana. A chi porti consensi il generale, però, non è scontato
Un anno fa, il tema politico di agosto era il “partito” di Roberto Vannacci. Il generale, da pochi mesi approdato a Strasburgo come indipendente della Lega, era quasi sul punto – almeno così sembrava – di lanciare un nuovo soggetto politico capace di partecipare anche alle elezioni; già ci si interrogava sui consensi che avrebbe potuto raccogliere, considerando che alle Europee del giugno 2024 l’autore de “Il mondo al contrario” era stato eletto con 500 mila preferenze. Tante.
Poi, lo scorso aprile, in occasione del Congresso di Firenze, è avvenuta la scelta di entrare a pieno titolo nel partito di Matteo Salvini, prendendone la tessera, per ottenere, un mese dopo, la nomina a vicesegretario federale. Fu addirittura introdotta una modifica ad personam dello Statuto abolendo la regola dei dieci anni di appartenenza per accedere agli incarichi più elevati.
Svanita presto l’ipotesi del partito alternativo, rivelatasi alla fine impraticabile, per capire a cosa potrebbe portare il “nuovo corso” di Vannacci occorre guardare alla Toscana. Qui, a metà luglio, in vista delle elezioni regionali del prossimo ottobre, Salvini ha assegnato al combattivo neoleghista (generale in pensione da pochi mesi) anche l’incarico di responsabile dell’organizzazione elettorale, nonostante esista, anche per questa incombenza, un segretario regionale. Ne è nata una polemica interna che ha condotto alla fuoruscita di due consigliere comunali di Pontassieve, Cecilia Cappelletti e Deborah Baldi. Il vicesegretario federale – ecco l’accusa che circola – sarebbe pronto a imporre nella lista elettorale della Lega numerosi uomini di fiducia. Minacciando, in prospettiva, lo spazio politico della pisana Susanna Ceccardi, europarlamentare e “fedelissima” di Salvini, con la quale – si racconta – da tempo ci sarebbe tensione.
Perché il caso Toscana è così sintomatico della situazione interna della Lega e dei rapporti tra Salvini e Vannacci? La decisione di affidare al generale (che risiede a Viareggio) la guida della battaglia elettorale – in una Regione dove il centrodestra candiderà per l’elezione a governatore il meloniano Alessandro Tomasi, ma che per la Lega sarà importante in termini di percentuali di voti e di presenze nel futuro Consiglio – conferma il significato politico della decisione presa da Salvini al Congresso due mesi prima: utilizzare Vannacci – come raccontano nella Lega – per le previste elezioni in sei Regioni. Chi meglio dell’europarlamentare, con il piccolo esercito de “Il mondo al contrario” (dal nome del pamphlet) che non è stato affatto smobilitato, può aiutare il partito ad allargare il consenso elettorale?
Salvini – che alle strategie di lungo periodo antepone frequentemente le esigenze del momento o quelle di breve-medio periodo – ha colto al volo l’occasione, dopo la nascita a novembre del movimento politico “vannacciano” in un hotel a Marina di Grosseto, «con tante adesioni al di fuori della Lega», come ricorda l’ex braccio destro Fabio Filomeni, alla fine allontanatosi per via dell’iscrizione del Capo al partito.
Da Vannacci arriva un aiuto al vicepremier per le Regionali, non solo in Toscana. Allo stesso tempo, in un ipotetico futuro, sempre da Vannacci può nascere una possibile alternativa alla stessa leadership salviniana. Sia chiaro: finché Salvini resta saldo alla guida del partito, nessun pericolo di un’Opa sulla Lega. Ma il movimento fondato lo scorso anno è una corrente esterna che potrebbe diventare interna: «Oltre 130 Team Vannacci e tremila soci», in attesa che il generale indirizzi meglio le truppe. I Team sono l’ultima invenzione: bastano dieci persone per costituirne uno, sul territorio. Con il richiamo esplicito al generale anche nell’inno, la loro nascita comincia a innervosire i vertici della Lega, come è avvenuto in particolare nella provincia di Varese, regno del ministro Giancarlo Giorgetti.
Dentro il partito, contestualmente, parte un’operazione tendenzialmente egemonica, con una lunga serie di parole d’ordine che contribuiscono pesantemente a cambiare la fisionomia della Lega, «vannaccizzandola», per usare l’espressione del vicesegretario alla Versiliana.
«Nessuno parla più di antifascismo, quello che ha accompagnato la leadership di Umberto Bossi», si sente ripetere, non a caso, nel Veneto leghista di Luca Zaia, l’unico esponente di punta ad avere tentato di ostacolare l’ingresso di Vannacci nel Carroccio e l’unico che potrebbe ancora fermarne l’ascesa. Sul fascismo, il generale è sfuggente, cavandosela con una storicizzazione, quando viene incalzato sull’argomento: «È finito ottant’anni fa».
Quanto all’attualità, l’Italia è vista in dissoluzione anche nella Difesa: «Chi mandiamo in guerra, quelli del Gay Pride?», è stata la battuta sulle minacce russe all’Europa, giudicate solo «un pretesto» di Germania e Francia per rafforzare le proprie economie con il “ReArm Europe”. Del resto, per colui che è stato anche addetto per la Difesa presso l’ambasciata italiana a Mosca, è meglio Vladimir Putin di Volodymyr Zelensky, meglio «il politico» di un «ex comico». Sull’immigrazione, poi, una lunga serie di frasi provocatorie, compresa l’accusa agli extracomunitari di «distruggere» lo Stato sociale.
È una radicalizzazione che Salvini e i vertici della Lega assecondano con il silenzio-assenso, per raccogliere consensi a destra della stessa Giorgia Meloni. Ma, per Salvini, il rischio è che a raccogliere i frutti, alla fine, sia direttamente Vannacci.
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