Politica
24 settembre, 2025A giugno è entrata in vigore la direttiva European Accessibility Act. A Palazzo Chigi, il dossier è aperto, ma non ancora centrale: a Roma, per ora, prevale la prudenza
A Bruxelles parlano di “pietra miliare nella costruzione di un’Europa più giusta”. Ma a Roma, per ora, prevale la prudenza. Il 28 giugno scorso è entrata ufficialmente in vigore in tutta l’Unione la Direttiva 2019/882, nota come European Accessibility Act (EAA). Una normativa di portata storica che impone a Stati membri, aziende e pubbliche amministrazioni obblighi vincolanti di accessibilità su prodotti e servizi digitali. Non più raccomandazioni, ma regole precise. E sanzioni.
Una rivoluzione silenziosa che chiama in causa anche la politica italiana. Perché se è vero che il principio dell’inclusione è da anni nei programmi di governo, sul fronte dell’attuazione pratica l’Italia rischia di arrivare in ritardo.
Secondo Eurostat, nel 2023 oltre 101 milioni di cittadini europei adulti presentavano qualche forma di disabilità. Di questi, più di 30 milioni con disabilità visiva. Solo in Italia, gli ipovedenti superano il milione e mezzo. Numeri che interpellano direttamente lo Stato: garantire l’accesso pieno e paritario alla vita digitale non è più una scelta politica, ma un obbligo giuridico.
L’EAA prevede che siti web, app, sportelli digitali, piattaforme di e-commerce, terminali bancari, software pubblici e privati, dispositivi digitali e sistemi di pagamento siano resi accessibili a tutti, comprese le persone con disabilità visive, uditive, motorie o cognitive. Ma soprattutto impone che ciò avvenga entro scadenze precise, con monitoraggi regolari e, in caso di inadempienze, sanzioni.
A Palazzo Chigi, il dossier è aperto, ma non ancora centrale. Secondo fonti vicine al dipartimento per la Trasformazione digitale, sono in corso interlocuzioni tra il ministero dell’Innovazione, il MEF e il ministero del Lavoro per la definizione di un piano di attuazione nazionale, che comprenda linee guida tecniche, formazione obbligatoria per la PA e risorse dedicate. Ma i tempi stringono. E le imprese – soprattutto le PMI – attendono chiarimenti.
“Non basta una legge europea per cambiare la cultura di un Paese”, avverte Sebastiano Torcellan, presidente di DataExpert, società leader nella data intelligence e nella trasformazione digitale inclusiva. “L’accessibilità non è solo un tema tecnico: è un principio di democrazia. Garantire che ogni cittadino possa usare servizi digitali in modo autonomo significa riconoscere pienamente i suoi diritti”.
Torcellan tocca anche un nervo scoperto: la disparità territoriale. “Oggi in Italia ci sono PA digitalmente avanzate, ma anche enti locali che non aggiornano i propri siti da anni. Senza un piano centrale, rischiamo un’Italia a due velocità. E chi ci perde sono sempre i più fragili”.
Il quadro normativo europeo è chiaro. L’Italia ha recepito formalmente la direttiva, ma la vera partita si gioca ora: come tradurre quei principi in strumenti concreti, in formazione per i dipendenti pubblici, in criteri di gara per i fornitori IT, in verifiche di conformità reali e non solo formali.
Da parte del governo, il ministro per la Disabilità Alessandra Locatelli ha più volte ribadito l’impegno dell’esecutivo sul fronte dell’inclusione, ma la delega all’accessibilità digitale ricade oggi più direttamente sul sottosegretario con delega all’Innovazione Alessio Butti. Le prime indicazioni operative sono attese per l’autunno, ma a oggi non risulta ancora definito un cronoprogramma vincolante né un piano finanziario di accompagnamento.
E se l’Europa punta su un approccio human-centric, chiedendo che le persone con disabilità siano coinvolte nei processi di design, test e validazione dei servizi digitali, in Italia – denunciano le associazioni – questo coinvolgimento è ancora episodico, non sistematico. “Servono tavoli permanenti, linee guida obbligatorie e una cabina di regia istituzionale”, chiedono con forza le organizzazioni rappresentative.
Nel frattempo, le aziende più strutturate si muovono. Anche perché l’EAA riguarda anche i prodotti e servizi del mercato privato: dalle piattaforme streaming ai terminali POS, dai software gestionali alle interfacce dei servizi bancari. Per molte imprese, adeguarsi non sarà semplice. Ma le esenzioni previste per le microimprese – possibili solo previa valutazione – non bastano a frenare la preoccupazione.
“La vera sfida è culturale”, spiega Torcellan. “L’accessibilità digitale migliora l’esperienza d’uso per tutti. È un fattore competitivo, non un ostacolo. Ma servono strumenti, consapevolezza e una politica che non lasci indietro nessuno”.
Il rischio, altrimenti, è che l’Italia si trovi ancora una volta a rincorrere l’Europa, trasformando un’opportunità sociale e tecnologica in un obbligo burocratico da cui difendersi. L’inclusione digitale, se gestita con visione, può invece essere il pilastro di una cittadinanza piena, moderna e giusta. Ora la palla passa alla politica.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Governati dall'Ia - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 26 settembre, è disponibile in edicola e in app