Anche l'Italia soffre di una carenza strutturale: secondo i parametri europei, servirebbero almeno 60 mila infermieri in più per garantire standard adeguati di assistenza

Mancano all’appello quasi sei milioni di infermieri in tutto il mondo. Tra cinque anni la situazione sarà migliorata, ma di poco: nel 2030 ne mancheranno ancora quattro milioni. Sono questi i dati dell’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in collaborazione con il Consiglio internazionale degli infermieri (Icn), in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere che si celebra oggi, 12 maggio.

 

Il report “State of the World’s Nursing 2025” fotografa lo stato della professione a livello globale e i numeri sono chiari: la forza lavoro infermieristica è cresciuta da 27,9 milioni nel 2018 a 29,8 milioni nel 2023. Anche la carenza globale è in lieve miglioramento: da 6,2 a 5,8 milioni in tre anni, con l’obiettivo di scendere a 4,1 milioni entro il 2030. Tuttavia, il rapporto evidenzia che questa crescita maschera gravi squilibri: il 78% degli infermieri lavora in Paesi in cui risiede meno della metà della popolazione mondiale.

Disparità globali che si riflettono anche in Italia

Mentre i Paesi a basso e medio reddito lottano per formare e trattenere il personale, quelli ricchi — tra cui l’Italia — devono affrontare il problema dell’invecchiamento del personale e della dipendenza da infermieri stranieri. Secondo i dati dell'Oms, un infermiere su quattro nelle Nazioni ad alto reddito è nato all’estero. In Italia, secondo recenti rilevazioni della Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi), il numero di infermieri stranieri è in aumento, ma ancora insufficiente a coprire i vuoti lasciati dai pensionamenti. «La complessità della questione infermieristica richiede l’istituzione di una cabina di regia governativa con poteri straordinari in grado di coinvolgere più strutture di vertice e toccare diversi ambiti di intervento per prendere definitivamente un problema che non appartiene a una categoria professionale, ma all’Italia intera», dichiara a L’Espresso la presidente di Fnopi, Barbara Mangiacavalli.

 

Il nostro Paese soffre di una carenza strutturale: secondo i parametri europei, servirebbero almeno 60 mila infermieri in più per garantire standard adeguati di assistenza. Eppure, nonostante la spinta susseguita alla pandemia di Covid, la professione continua a ricevere riconoscimenti più simbolici che concreti.

Genere, benessere e formazione: priorità anche per l’Italia

Il rapporto dell'Oms conferma che l’85% degli infermieri nel mondo sono donne, ma spesso con scarse opportunità di carriera, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Anche in Italia il gender gap è evidente: poche donne infermiere occupano ruoli apicali nel sistema sanitario.

Altra criticità comune è il benessere psicologico: a livello globale, solo il 42% dei Paesi ha predisposto supporti strutturati per la salute mentale degli infermieri. In Italia, dopo l’emergenza Covid, le richieste di supporto psicologico tra il personale sanitario sono aumentate, ma i servizi restano frammentari.

Le proposte dell'Oms per il futuro

Per far fronte alla situazione descritta dall’analisi, l'Oms propone alcune direttrici di azione, valide anche per il nostro Paese:

- Creare nuovi posti di lavoro infermieristici, specialmente nelle aree interne e nelle Residenze sanitarie assistenziali;

- Investire nella formazione, aggiornare le competenze e aumentare i posti disponibili nelle facoltà di infermieristica;

- Migliorare le condizioni contrattuali, il riconoscimento economico e le tutele;

- Promuovere la leadership infermieristica, garantendo rappresentanza nei luoghi decisionali;

- Assicurare supporto psicologico continuo per evitare abbandoni prematuri dalla professione.

«Nelle regioni italiane, sempre più persone vivranno con patologie croniche già diagnosticate, per le quali la sfida non sarà solo clinica, ma soprattutto assistenziale: prevenzione secondaria e terziaria, gestione quotidiana delle terapie, educazione alla salute, monitoraggio, attivazione delle reti comunitarie, sviluppo o mantenimento dell'indipendenza. È un cambiamento epocale che chiama in causa il territorio, non come luogo residuale, ma come fulcro del sistema sanitario. Non possiamo permetterci di rimanere ancorati a un modello che non risponde più alle esigenze reali delle persone. Il futuro della sanità si gioca nelle case, nei quartieri, nelle relazioni. E sarà il capitale umano – adeguatamente formato, valorizzato e integrato – a fare la differenza. E gli infermieri sono e saranno quelli che fanno da perno per queste attività», conclude Mangiacavalli.

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