Alimenti ultra-processati: ogni 100 grammi al giorno aumenta il rischio di ipertensione ed eventi cardiovascolari

A rivelarlo, uno studio presentato al congresso dell’American College of Cardiology 2025. Nel mondo, milioni di persone a rischio

Merendine, patatine, fast-food. Sono tutti alimenti ultra-processati, golosi al palato, ma che possono avere effetti devastanti sulla salute. È questo l’allarme lanciato da un nuovo studio scientifico presentato dai ricercatori cinesi della Sun Yat-sen University di Guangzhou nel corso del congresso dell’American College of Cardiology 2025, in corso a Singapore. La ricerca, guidata dal dottor Xiao Liu, ha analizzato i dati di 41 studi scientifici che hanno coinvolto un totale di oltre 8,2 milioni di adulti in tutto il mondo, dalle Americhe all’Asia, passando per Europa e Oceania. Obiettivo: valutare il legame tra il consumo di alimenti ultra-processati e il rischio di sviluppare ipertensione, patologie cardiovascolari, cancro, disturbi digestivi e mortalità generale. 

Si rischia ipertensione, malattie cardiovascolari e tumori 

Ebbene, i dati non lasciano spazio ai dubbi: basta assumere più di 100 grammi al giorno di questi cibi per vedere aumentare sensibilmente i rischi per la salute. In particolare, mangiare oltre 100 grammi al giorno di alimenti ultra-processati è correlato con un aumento del 14,5% di rischio di ipertensione, del 5,9% di eventi cardiovascolari, del 1,2% di rischio di tumore, un +19,5% di patologie digestive e un +2,6% di mortalità per tutte le cause. 

 

Ma cosa si intende per alimenti ultra-processati? Bevande zuccherate, patatine confezionate, merendine, biscotti industriali, piatti pronti e snack ricchi di additivi sono alcuni degli esempi più comuni. I loro effetti nocivi sulla salute derivano dagli ingredienti con cui vengono prodotti. Si tratta infatti di cibi che contengono alte quantità di zuccheri aggiunti, sodio e grassi nocivi, ma sono poveri di fibre, vitamine e nutrienti essenziali.  Tutti elementi che, sostengono i ricercatori, concorrono a determinare una disregolazione del metabolismo dei grassi, alterazioni del microbiota intestinale, obesità, infiammazione sistemica e stress ossidativo. Ma c’è anche una buona notizia, per così dire: ridurre anche solo in parte l’assunzione quotidiana di questi alimenti può avere effetti positivi rilevanti sulla salute. Per questo, gli autori dello studio suggeriscono che i governi potrebbero intervenire con misure concrete: norme più severe sull’etichettatura degli alimenti, campagne di sensibilizzazione e promozione di diete più semplici e naturali. 

E in Italia come siamo messi? 

Secondo una ricerca condotta nel 2024 da Fondazione Aletheia, il think tank scientifico che studia e promuove modelli nutrizionali sani, nel nostro Paese ben il 14% delle calorie consumate proviene da cibi ultra-processati. Un dato che deve far riflettere soprattutto alla luce dell’aumento del consumo di questi alimenti da parte degli under 30 e delle conseguenze anche in termini di aumento di peso e delle patologie correlate all’obesità. Secondo la Aletheia infatti l’aumento del consumo di merendine e affini è responsabile dell’incremento dell’obesità in Italia, che ha registrato un aumeto del 36% negli ultimi 20 anni. Molto magra è comunque la consolazione che può derivare dal confronto del Belpaese con altre nazioni. Negli Usa ad esempio il cibo ultra-processato, di cui fa parte il cosiddetto “junk food” – “cibo spazzatura” spesso a basso costo e quindi accessibile a larghe fasce di popolazione, apporta addirittura il 60% delle calorie assunte dai cittadini americani. Con evidenti conseguenze su iperglicemia e malattie cardiovascolari, che rappresentano alcuni dei principali problemi di salute con cui hanno a che fare i cittadini e il sistema sanitario a stelle e strisce. Riscopriamo allora la sana e vecchia dieta mediterranea. Cereali, legumi, pesce, ortaggi e olio d’oliva restano sempre la scelta migliore.

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