Una persona su sei ha vissuto una sensazione persistente di solitudine tra il 2014 e il 2023. Il fenomeno ha effetti gravi sulla salute fisica e mentale, con oltre 871 mila decessi annuali legati alla solitudine. L’Organizzazione mondiale della sanità propone una strategia globale per affrontare la problematica. E l’Italia? Al momento non ha ancora una politica nazionale strutturata su questo tema

Oms, solitudine e salute: un rapporto che costa 871 mila morti all'anno

La solitudine fa male. Non solo al cuore e al cervello, ma anche alla vita scolastica, lavorativa e persino all’economia di un Paese. È quanto emerge dal primo rapporto della Commissione dell’Oms sulla "Connessione sociale", che definisce l'assenza di rapporti interpersonale come una minaccia crescente e trascurata alla salute globale. L’Organizzazione mondiale della sanità parte da un concetto chiave: la salute non è solo l’assenza di malattia, ma uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale. Eppure, proprio il benessere sociale è stato ignorato troppo a lungo. La mancanza di connessioni significative tra le persone è uno dei principali problemi odierni.

Un problema mondiale, una persona su sei si sente sola

Secondo il rapporto, una persona su sei nel mondo ha vissuto sentimenti di solitudine nel periodo 2014–2023. Tra i giovani dai 13 ai 29 anni, la percentuale sale fino al 21 per cento, mentre nei Paesi a basso reddito arriva al 24 per cento. Le persone anziane non sono da meno: fino a un ogni tre ha vissuto in isolamento sociale (dati 1990–2022). Anche adolescenti e gruppi vulnerabili – come migranti, persone con disabilità o appartenenti alla comunità Lgbtqia+ – sono tra i più colpiti. Ma non si tratta solo di una sensazione passeggera. Quando la solitudine diventa cronica, aumenta il rischio di morte precoce: tra il 2014 e il 2019, si stimano 871 mila decessi all’anno nel mondo legati alla solitudine. La disconnessione sociale favorisce infatti malattie cardiovascolari, ictus, ipertensione, diabete, demenza, ansia e depressione. Le persone sole hanno il doppio delle probabilità di soffrire di depressione e maggior rischio di sviluppare Alzheimer.

Un impatto anche sull’economia

Gli effetti si estendono alla scuola e al lavoro. Gli studenti soli ottengono risultati scolastici inferiori del 22 per cento rispetto ai coetanei con solide relazioni sociali. E in età adulta, chi si sente isolato guadagna meno, ha maggiori difficoltà a trovare lavoro e rischia l’esclusione sociale. Anche le comunità diventano più fragili, meno sicure e meno reattive in caso di crisi. Il costo economico è pesante: nei Paesi ad alto reddito, la disconnessione sociale rappresenta un costo di miliardi in produttività persa e spese sanitarie. La pandemia di Covid-19 poi ha fatto da catalizzatore. Le restrizioni, pur necessarie, hanno amplificato il senso di isolamento. Contemporaneamente, l’uso crescente della tecnologia ha cambiato il modo in cui ci connettiamo. Gli strumenti digitali possono essere utili, ma se usati male possono peggiorare la qualità delle relazioni e incidere negativamente sulla salute mentale.

La situazione in Italia

L’Italia, al momento, non ha ancora adottato una politica nazionale ufficiale sulla connessione sociale, a differenza di Paesi come Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Germania, Svezia e Finlandia. Il nostro Paese sconta un ritardo sia in termini di ricerca che di interventi strutturali. Alcune iniziative locali – come i patti di comunità, le case di quartiere o la socialità nei centri anziani – vanno nella giusta direzione, ma mancano coordinamento, investimenti e una visione d’insieme. Secondo i dati Istat diffusi quest'anno, quasi il 40 per cento della popolazione over 75 vive da solo, dato significativamente più alto rispetto alla media europea e con implicazioni sulla salute mentale e fisica. Tra questi, quasi quattro individui su dieci non hanno parenti o amici a cui rivolgersi in caso di bisogno, e il 11,7 per cento può contare solo su un vicino. E le donne anziane sono più soggette a vivere sole rispetto agli uomini.

 

A differenza di quanto si potrebbe pensare, la solitudine non è un problema esclusivo degli anziani; il 55 per cento delle persone si dichiara a volte o spesso sola, con il 68 per cento delle persone tra i 18 e i 64 anni che si sente a volte sola. In questo segmento, il 60,5 per cento degli individui che vivono da soli sono uomini. Una conseguenza preoccupante del "fenomeno solitudine" è la riduzione delle dimensioni delle famiglie, con le famiglie unipersonali che superano il 35 per cento. In questo quadro, però, c'è una nota positiva, nonostante l'aumento della solitudine abitativa tra gli anziani, molti di loro mantengono legami con i familiari, con il 60 per cento degli anziani che vive nello stesso comune dei figli. 

Serve un cambio di passo

Per contrastare la solitudine e i suoi effetti nefasti sulla salute, Oms propone un piano d’azione globale, articolato su cinque pilastri:

  1. Politiche pubbliche: promuovere strategie nazionali integrate, che coinvolgano sanità, scuola, trasporti, edilizia e tecnologia.
  2. Ricerca scientifica: investire in studi nazionali e internazionali per comprendere meglio il problema.
  3. Interventi efficaci: lanciare programmi testati – come il “social prescribing” o la terapia cognitivo-comportamentale – adattati a giovani, anziani e persone vulnerabili.
  4. Misurazione: sviluppare un indice globale di connessione sociale e raccogliere dati regolarmente.
  5. Mobilitazione: campagne pubbliche, coinvolgimento della società civile, e una piattaforma online per condividere esperienze tra Paesi.

In attesa che la politica trasformi queste indicazioni in azioni volte a invertire l'isolamento dei singoli, ognuno di noi può agire in prima persona per fare la differenza. Partecipare ad attività di comunità, prendersi cura delle relazioni personali, essere attivi nel quartiere o anche solo ascoltare chi ci sta vicino sono piccoli gesti che migliorano la salute nostra e degli altri. La connessione sociale, rileva l'Oms, è una risorsa di salute pubblica, come l’acqua potabile o i vaccini. E come tale va tutelata, promossa e resa accessibile a tutti.

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