Un ministro di Israele ha ribadito che vorrebbe "sganciare una bomba atomica su Gaza". Le notizie del giorno

Donald Trump vince le primarie in New Hampshire e ipoteca la nomination repubblicana. Passa l'autonomia differenziata al Senato tra cori e bandiere. Oggi scontro tra Meloni e Schlein in Aula. I fatti da conoscere

Il ministro israeliano Eliyahu ribadisce: «Sganciare l'atomica su Gaza» 
Il ministro israeliano Amichai Eliyahu è tornato ad affermare di ritenere un'opzione quella di «sganciare un'arma nucleare sulla Striscia di Gaza». Il ministro per gli Affari e il patrimonio di Gerusalemme, riporta Haaretz, ha parlato durante una visita nella città di Hebron, in Cisgiordania. Eliyahu ha aggiunto che la Corte Penale Internazionale, che esamina le accuse di genocidio contro Israele, «conosce le mie posizioni». Intanto l'organizzazione islamista palestinese Hamas è disponibile a rilasciare alcuni degli ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre scorso in cambio di una interruzione temporanea delle ostilità a Gaza. Lo afferma il quotidiano "Wall Street Journal", che menziona "mediatori internazionali" confrontatisi direttamente coi rappresentanti dell'organizzazione palestinese.

Come ricordato dal quotidiano statunitense, per settimane Hamas ha escluso la possibilità di liberare altri ostaggi senza un accordo globale per la conclusione delle operazioni militari israeliane a Gaza. Hamas ha respinto un piano presentato da Tel Aviv che avrebbe comportato una pausa di due mesi dai combattimenti, ma secondo funzionari egiziani, l'organizzazione militante palestinese è disposta a negoziare il rilascio di tutte le donne e i bambini che si trovano ancora sotto la sua custodia. Durante l'attacco sferrato contro Israele il 7 ottobre scorso, Hamas ha ucciso circa 1.200 persone e ne ha tratte in ostaggio 240. Circa 130 ostaggi restano nelle mani di Hamas, incluse 19 donne e due bambini, mentre altri 105 sono stati liberati lo scorso novembre nel corso di una tregua durata una settimana.

 

Donald Trump vince anche in New Hampshire: «Ora non posso perdere»
«Quando vinci in Iowa e vinci in New Hampshire, nessuno ha mai perso. Noi non saremo i primi». Così Donald Trump ha espresso la certezza del fatto che la sua nuova vittoria la notte scorsa nel Granite State lo proietti verso la nomination, anche se il cammino delle primarie è appena iniziato. Con un'affluenza definita da record, l'ex presidente si è imposto su Nikki Haley, unica avversaria rimasta in campo, con il 54,4% contro il 43,6% dell'ambasciatrice all'Onu, secondo risultati ancora non definitivi nello stato dove la repubblicana aveva più chance di vincere dal momento che alle primarie potevano partecipare anche i repubblicani non registrati.

Di fronte a risultati «così scarsi» la sua avversaria dovrebbe gettare la spugna, ha detto Trump nel discorso della vittoria durante il quale ha attaccato Haley dandole «dell'impostore» e affermando poi sui social media che vive «in uno stato delirante». Mentre ha pronunciato il discorso della vittoria Trump ha avuto accanto a sé alcuni dei candidati alla nomination repubblicana che si sono ritirati e hanno dato il loro endorsement al tycoon. Come Tim Scott, l'unico senatore repubblicano afroamericano: «Le primarie sono finite - ha detto l'esponente della South Carolina -è arrivato il momento che il partito si riunisca intorno al nostro candidato e prossimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Iniziamo a farlo questa notte!». «Devi proprio odiarla», ha detto Trump, rivolto a Scott, riferendosi al fatto che Haley, quando era governatrice della South Carolina, aveva per prima nominato il repubblicano senatore. Trump ha avuto parole di apprezzamento anche per Ron DeSantis, il governatore della Florida, che si è ritirato a sorpresa domenica. Ed ha invece attaccato Chris Sununu, governatore repubblicano del New Hampshire, e i sostenitori di Haley, accusandolo falsamente di aver permesso a indipendenti e non iscritti repubblicani di votare alle primarie per svantaggiarlo, mentre questa è una regola da tempo applicata nello Stato. «Hanno cercato di danneggiarmi in tutti i modi possibili», ha affermato.

 

Ucraina: Kuleba, situazione al fronte più difficile del 2022 
La situazione al fronte in Ucraina resta attualmente difficile a causa della mancanza di forniture di munizioni. Lo ha affermato il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, in un'intervista al quotidiano tedesco Bild. Secondo il capo della diplomazia Ucraina, «la situazione è molto grave, forse ancora più grave di quanto lo fosse all'inizio dell'invasione russa, quasi due anni fa». Il ministro degli Esteri ha anche aggiunto che il massiccio attacco missilistico russo di ieri dimostra che l'Ucraina ha bisogno di più sistemi di difesa aerea e missilistici. «Anche se l'Ucraina ha aumentato significativamente la sua produzione e continuerà a farlo, vediamo che ancora l'industria della difesa occidentale non è in grado di produrre una quantità sufficiente di munizioni», ha affermato Kuleba. Intanto il numero di soldati russi uccisi dall'inizio della guerra è salito a quota 378.660 con 840 militari morti dall'ultimo aggiornamento delle forze ucraine. Lo riporta Rbc Ucraina. Nelle ultime ore di combattimenti le truppe di Kiev hanno anche distrutto 61 sistemi di artiglieria, 49 veicoli e 37 droni. Nell'ultimo giorno, spiegano le forze di Kiev, in Ucraina si sono verificati 56 scontri. In totale, il nemico ha lanciato 48 attacchi missilistici e 112 attacchi aerei. Le truppe di Kiev hanno continuato le misure per espandere la testa di ponte in direzione di Kherson. 

 

Primo sì all'autonomia, ma è bagarre in Aula
Il coro con l'Inno di Mameli, i tricolori sventolati dalle opposizioni e la bandiera della Serenissima accompagnano il primo sì all'autonomia differenziata nell'Aula del Senato. La marcia del ddl Calderoli, tra scontro politico, bagarre e note di colore, si sposta ora a Montecitorio per tentare un via libera definitivo prima delle elezioni europee. Almeno questo nelle intenzioni della Lega che vorrebbe giocare la carta devoluzione in campagna elettorale.

Le proteste dei gruppi di minoranza hanno animato l'epilogo di una battaglia politica arrivata alle battute finali senza troppe sorprese. Nonostante la diretta tv i leader di partito non intervengono in dichiarazione di voto. A inizio seduta nei banchi del governo solo i ministri della Lega Roberto Calderoli e Matteo Salvini. Si nota anche l'assenza di Ignazio La Russa sullo scranno della presidenza. Qualcuno dice che sia stata una cortesia alla Lega far presiedere Gian Marco Centinaio, per altri invece sarebbe un modo per non enfatizzare l'approvazione di una legge che, parlando di devoluzione, crea un attrito con le posizioni centraliste di FdI.

Quando i dem a sorpresa tirano furi i fogli A4 con stampata la bandiera dell'Italia nel corso delle dichiarazioni di voto al grido di "Viva l'Italia antifascista" e su qualche cartello anche la scritta "Viva Verdi", il commento di FdI non si fa aspettare, Andrea De Priamo, prendendo la parola chiosa: «Dalla bandiera rossa al tricolore è già un bel passo avanti». Nessuno però poteva immaginare che il risultato del voto sulla legge sulla devoluzione alle Regioni sarebbe stato anticipato dal canto patriottico per eccellenza: Fratelli d'Italia di Goffredo Mameli.

È andata così, i senatori Pd e M5s hanno intonato le prime note, seguiti dal resto delle opposizioni, il centrodestra allora non ha perso l'occasione per accodarsi. Tutti in piedi a cantare. Così mentre un coro possente andava in diretta tv, la senatrice della Lega Mara Bizzotto, tira fuori la bandiera della Liga Veneta mentre i colleghi di partito attorno a lei scattavano selfie. È il caos in Aula, Centinaio richiama all'ordine, ottiene un po' di silenzio e comunica il risultato, 110 sì, 64 no e 3 astenuti: opposizioni contro, maggioranza a favore e Azione astenuta con Maria Stella Gelmini che vota a favore in dissenso dal gruppo.

Le opposizioni gridano allo "Spacca Italia" e dichiarano battaglia con referendum e chiamate di piazza, ricordano la rimozione della legge di iniziativa popolare. FdI rivendica l'attenzione alla coesione nazionale introdotta nel ddl, FI parla di «un'Italia più autonoma, ma unita». Quello che il capogruppo Francesco Boccia definisce la resa della Meloni alla Lega, per il presidente dei senatori leghisti Massimiliano Romeo è un «patto di maggioranza» di cui andare «fieri». Esulta quindi la Lega e per Calderoli è un «passo avanti verso un risultato storico» mentre parla di «Un gran risultato» il ministro Salvini.

 

Nardella: «Riforma in salsa padana senza alcuna visione» 
«Dobbiamo attuare meglio il titolo V della Costituzione. Non servono fughe in avanti. Già ora abbiamo una conflittualità elevata tra Stato e Regioni: stiamo assistendo a una specie di Babele normativa sui più svariati argomenti. Invece è necessario semplificare». Lo afferma il sindaco di Firenze Dario Nardella in un'intervista ad Avvenire sull'autonomia differenziata, approvata ieri dal Senato. «L'autonomia è un valore sancito dalla Costituzione, ma troppo spesso viene vista come un viatico per fare quello che si vuole. Invece diritti e doveri valgono anche per le istituzioni. Non può diventare un elemento di rottura della solidarietà di un Paese in ambiti essenziali come la sicurezza e la sanità; un cittadino italiano non può avere un destino diverso a seconda di dove nasce» osserva Nardella ricordando che «quando le riforme vanno a toccare l'impianto della Repubblica, dovrebbero essere quanto più trasversali possibili. Qui si toccano le regole del gioco e i rapporti tra istituzioni e cittadini. Serve una maggioranza più larga, specialmente in una fase così conflittuale come questa». «Purtroppo questa è una riforma in salsa padana senza alcuna visione. L'autonomia differenziata non può andare avanti a colpi di slogan. O peggio: non può essere un'operazione elettoralistica oggetto di scambio e mercanteggiamento con il premierato», conclude.

 

Schlein punta sulla sanità e sfida Meloni in Aula 
La segretaria dem prepara la battaglia sulla sanità, pilastro della prossima campagna elettorale nelle regioni e bandiera, assieme al lavoro, del Partito democratico a trazione Schlein. È quello della sanità il 'tallone d'Achille' delle amministrazioni di centrodestra a cui il Partito Democratico intende puntare e, questo, al di là delle manovre riguardanti alleanze e coalizioni. Non a caso la segretaria ha avviato il giro di ascolto di medici, infermieri e operatori sanitari dall'Abruzzo, una delle cinque regioni al voto nel 2024. E non è un caso che sulla sanità, Schlein intenda rilanciare la sfida a Meloni, a partire dal question time di domani alla Camera. Nell'interrogazione la leader dem tornerà a chiedere alla presidente Meloni quali azioni stia mettendo in campo il governo per superare le drammatiche difficoltà degli ospedali dovute alla carenza di personale. E venerdì la segretaria farà il secondo giro di ascolto, in un'altra delle regioni che andranno al voto. Tutto questo continuando a «portare avanti il lavoro per cercare di arrivare a coalizioni quanto più ampie possibili nelle regioni che sono chiamate al voto».

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