Sostenibilità
16 ottobre, 2025Proliferano senza sosta, ben oltre il fabbisogno e gli obiettivi, campi eolici e fotovoltaici. Così il paesaggio cambia e la riscoperta vocazione vitivinicola subisce un nuovo affronto
Lì dove c’era l’erba adesso c’è… un campo fotovoltaico. Se Adriano Celentano passasse dalla strada che collega Palermo ad Agrigento, sulla strada statale 189, proprio alle porte della città dei Templi, patrimonio Unesco, forse riscriverebbe la famosa strofa. Se infatti nel Sud della Sicilia i paesi sono semivuoti, dall’altro lato si moltiplica l’opera di “fotovoltizzazione” del paesaggio. La Sicilia cambia volto, e quel paesaggio da cartolina che d’estate accecava gli occhi con i colori vivaci dei fichi d’India e il giallo del grano, adesso acceca perché riflette i raggi del sole. Senza alcun criterio, infatti, campi di grano sono stati sostituiti da campi di “grano”, intesi come denaro, con un business molto più produttivo rispetto a quello dell’agricoltura. Il prezzo del cereale, infatti, è in picchiata dopo la bolla creatasi con la guerra russo-ucraina e con poche migliaia di euro è facile convincere un agricoltore ad abbandonare un campo fertile per avere un ritorno certo in denaro. Se prima le miniere cambiavano il volto di un paesaggio per il mero profitto, le nuove miniere (d’oro) del fotovoltaico non tengono conto neanche della vocazione di un territorio, neanche di settori d’eccellenza come quello del vino. A Menfi, città italiana del vino 2023, in barba al regolamento comunale, sono tati estirpati interi vigneti, in zona Doc, per installare nuovi pannelli, al posto di vini d’eccellenza. «Menfi ha avuto questa evoluzione turistica grazie al lavoro fatto in questi decenni – spiega Salvo Ognibene, giornalista siciliano tra le voci più autorevoli del settore – grazie al lavoro fatto come patrimonio agricolo e vitivinicolo della Sicilia. Il paesaggio è delineato da uliveti e da vigneti, se si continua a puntare senza regole sul fotovoltaico si rischia di vanificare tutto».
Da Agrigento, fresca capitale della cultura 2025, poco più in là, a distanza di qualche chilometro, c’è un altro territorio d’eccellenza: Gibellina, che a fatica è riuscito a trovare una nuova chiave dopo il terremoto che ne ha segnato la fine nel 1968. Ha puntato sull’arte e nel 2026 sarà capitale italiana dell’arte contemporanea. In un luogo di bellezza però il sindaco lotta per evitare che venga costruito un nuovo campo fotovoltaico che andrebbe a intaccare un panorama oggi celebre per il Cretto di Burri, l’opera di Land Art tra le più grandi al mondo. Il campo, secondo il progetto, come il Cretto, è da record: 48 MW, un parco di pannelli che sarebbe grande quanto la metà della stessa città di Gibellina nuova. «Un altro disastro dopo il terremoto del 1968», secondo il sindaco di Gibellina, Salvatore Sutera che sta percorrendo tutte le strade possibili per bloccare l’opera che ricade sul territorio del vicino comune di Santa Ninfa.
Il trucco per le autorizzazioni si chiama “agro-voltaico”, un lasciapassare a molti progetti che altrimenti sarebbero vietati. Coltivazioni sotto i pannelli per le colture che vogliono l’ombra, una sorta di effetto serra che nei campi di grano e ulivi è un paradosso. Oggi ha questo nome il buco normativo sotto il quale passa di tutto. Raggiunto e superato il Pears 2030, il piano delle fonti rinnovabili della Regione siciliana, secondo cui l’isola doveva raggiungere l’obiettivo della soglia di 530 MW entro il 2030 (obiettivo superato di 6 volte), la normativa attuale non pone limiti ai terreni dell’agro-voltaico che, per definizione, devono essere fertili.
Per questo, 14 sindaci del territorio del Belice hanno consegnato una lettera contro quest’opera di devastazione, chiedendo aiuto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quello che doveva essere un aiuto per gli agricoltori in crisi, è diventato invece un modo per distruggere il territorio siciliano. Senza regole. «Il problema non è il fotovoltaico – dice Annalisa Corrado, eurodeputata all’interno della commissione Ambiente – è proprio che manca una regolamentazione per l’installazione degli impianti. Se bisogna sacrificare un luogo bisogna che ci siano i giusti parametri, così si finisce per demonizzare qualcosa che invece è utile e per cui non si può più aspettare».
Infatti, se inizialmente si parlava di posti che necessitavano una riqualificazione (ex fabbriche o miniere) adesso i luoghi interessati dall’installazione sono i più svariati: da zone di rilevanza archeologica fino a posti a oggi incontaminati. Nei paesi interessati, la lotta è sempre quella di Davide contro Golia, come a Racalmuto, la terra di Sciascia. Sulle colline caratteristiche del territorio, sono previste le installazioni (alcune già in corso) di 4 pali di 190 metri e profondi 28, per centinaia di metri cubi di calcestruzzo. Peccato che la zona conservi le tracce di un territorio neolitico, oltre essere zona mineraria di rilievo con forni Gill. Ma in questi posti non c’è spazio per archeologia e storia.
«Abbiamo vinto il ricorso al Cga per fare spostare una delle pale mentre era in corso di costruzione – dicono dal comitato che si oppone al mega parco eolico già in costruzione – Nonostante ciò, la base è stata già costruita con centinaia di metri cubi di cemento e il danno ambientale per quella che era la collina più alta del circondario è stato già fatto. Per le altre torri abbiamo fatto ricorso al Tar, ma nell’attesa continuano i lavori di montaggio». Così mentre i tribunali hanno tempi biblici, una nuova devastazione del territorio siciliano corre sempre più veloce. E anche un principio nobile, come quello dell’energia verde, diventa l’ennesima corsa al profitto sopra ogni cosa.
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