Sostenibilità
9 dicembre, 2025Entro il 2028 arriveranno a un gigawatt di capacità, quanto una centrale nucleare. Il governo ci punta, ma l’espansione pone problemi di sostenibilità energetica e idrica
L’ambizione, almeno quella, c’è tutta. Per il resto, si vedrà. «L’obiettivo è trasformare l’Italia in un hub europeo per i datacenter», cogliendo al volo il boom dell’intelligenza artificiale. Parole del ministro delle Imprese e del made in Italy (mimit) Adolfo Urso all’assemblea di Asstel (associazione degli operatori telefonici), a novembre. Il mimit negli stessi giorni ha lanciato la prima strategia italiana sui datacenter. Vuole così attrarre gli investimenti esteri che le big tech stanno facendo a pioggia, nel mondo e soprattutto negli Usa. Questi edifici pieni di computer potenti connessi a internet sono necessari per tutti i servizi digitali e, sempre più, per creare e offrire tecnologie di intelligenza artificiale. Quest’anno le big tech spenderanno 360 miliardi di dollari in infrastrutture (in primis Microsoft, Meta, Google e l’azienda di Chatgpt OpenAI). In Italia finora ne abbiamo avuto solo un assaggio; piccolo ma premonitore di quello che verrà: tra fine 2025 e inizi 2026 la capacità dei datacenter italiana raddoppierà rispetto al dato 2024 (che era 287 megawatt), secondo le stime dell’associazione di settore Ida. Con la previsione di arrivare a 1 gigawatt (mille megawatt) entro il 2028. Un gigawatt, più o meno, è quanto genera una centrale nucleare. Ma non basta mica, per chi ha grandi ambizioni. Del resto, il super datacenter che Meta farà nel 2028, in Louisiana, di gigawatt ne avrà ben cinque. Tutto da solo varrà quanto cinque volte l’Italia. Urso è fiducioso che possiamo diventare uno dei cinque super poli europei per i datacenter, partecipando a una futura gara comunitaria con un progetto Leonardo-Eni da 20 miliardi di euro, che prevede strutture tra la Lombardia e la Puglia.
Le ambizioni, si diceva. Ma il resto? Il resto è per esempio l’impatto su ambiente e famiglie. Ma anche: come Paese siamo pronti a fare questi mostri computazionali energivori? Non lo sono nemmeno le leggi, al momento, e sarebbe il passo più semplice. L’ha rinfacciato Giulia Pastorella (Azione) al ministro dopo le sue dichiarazioni: «Urso predica bene e razzola male». Pastorella accusa il Governo di bloccare da oltre sei mesi una legge bipartisan alla Camera, necessaria per consentire all’Italia di fare datacenter con tempi accettabili e in modo sostenibile. Il Governo a sua volta prepara un decreto in materia, a cura del Mase (ministero ambiente e sicurezza energetica). Annunciato fin da giugno scorso come “imminente”. Stesso aggettivo utilizzato dal Mase a una richiesta de L’Espresso, qualche giorno fa.
Cominciamo dall’impatto sociale di queste ambizioni. Negli Stati Uniti, laboratorio mondiale (o cavia), di questo boom ci sono primi segnali preoccupanti. I dati ufficiali di novembre dicono che nei tre Stati con la più alta concentrazione di datacenter i prezzi delle bollette energetiche, per via della legge della domanda e dell’offerta (di energia), sono aumentati del 12, 13 e 16 per cento. Il doppio della media nazionale. E non di sola energia vive un datacenter. Ha bisogno anche di tanta acqua, per raffreddare i chip. Meta sta arrivando a creare un enorme lago artificiale a tal scopo. Prosciugano l’acqua nei posti che ne hanno più bisogno, titolava l’americana Bloomberg a maggio e si moltiplicano le storie (citate dalla Bbc e dal New York Times, tra gli altri) di famiglie e comunità con problemi idrici a causa della mega struttura sorta di colpo nelle vicinanze.
Terna (gestore della rete elettrica italiana) spiega a L’Espresso di avere ricevuto richieste di connessione alla rete pari a 65 gigawatt, per via del boom datacenter. Ossia più di quanto ora consuma tutto il Paese. Terna però si aspetta che solo una piccola parte delle richieste si realizzerà e che al 2030 l’aumento reale di consumi italiani sarà di 2 gigawatt, rispetto a oggi. Non prevede che l’aumento di consumi faccia salire le bollette, perché in parallelo crescerà l’offerta di energia, anche da fonte rinnovabile. La stessa Terna ha un grande piano da 23 miliardi di euro al 2034 per potenziare la rete e costruire le infrastrutture necessarie a trasportare l’energia dal Sud (dove ci sono più impianti di rinnovabili) al Centro-Nord. In Lombardia, in particolare, dove si concentra il maggior numero di datacenter (ora e in prospettiva).
Alcuni analisti negli Usa temono che i gestori delle reti ammortizzeranno parte di questi investimenti con voci nelle bollette dei consumatori. Terna oggi pesa il 4 per cento sulle bollette degli italiani e non prevede un aumento, perché il potenziamento necessario a supportare quei 2 gigawatt in più è tutto sommato limitato. Sempre che non si realizzi una quota maggiore di quei 65 gigawatt ora prenotati dal mercato a Terna, certo. Sul punto è ottimista anche Bcg (Boston consulting group). L’aumento di consumi e gli investimenti non si ribalteranno in bolletta perché la rete italiana è più avanzata di quella Usa e molto più scarica, come spiega l’analista Giulia Scerrato. Piuttosto l’Italia corre altri rischi, come nota Bcg in un recente rapporto: che il sistema Terna sia congestionato da troppe richieste da valutare (quei 65 gigawatt teorici); che si costruisca in modo troppo concentrato (intorno a Milano); che il mercato sia frenato dal costo dell’energia, in Italia del 50 per cento più alto rispetto ad altri Paesi europei.
E qui veniamo al secondo problema su cui si scontrano le ambizioni governative: la fattibilità. «In Italia non ce la possiamo fare a seguire il boom dei datacenter. Non c’è abbastanza spazio né acqua; non abbiamo abbastanza fonti di energia propria», dice Antonio Cisternino, presidente del sistema informatico dell’università di Pisa e tra i massimi esperti di intelligenza artificiale in Italia. «La dice lunga che Enel ci abbia chiesto 2 milioni di euro per portare a un megawatt la centralina del mio datacenter, uno dei più grandi tra quelli universitari», aggiunge. «Il fabbisogno energetico deve essere preso in carico nei piani nazionali e regionali per l’energia», suggerisce Luigi di Marco, della segreteria Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile). «Vanno migliorate le capacità di previsione e monitoraggio, mantenendo la rotta verso il processo di decarbonizzazione», continua. Migliorare fattibilità e sostenibilità dei datacenter è l’obiettivo della proposta di legge bipartisan ora ferma alla Camera. Risolve una lacuna grave: ora i datacenter in Italia non hanno un codice ateco; non sono previsti nelle norme fiscali, urbanistiche, ambientali. Risultato: un incubo burocratico per chi ci investe. Ci vogliono cinque anni per costruirne uno in Italia, secondo le stime fatte a monte della proposta di legge, firmata da Pastorella con colleghi di Fratelli d’Italia, Lega, M5s e Pd. La norma semplifica l’iter e accelera i tempi. Così il decreto in arrivo dal Mase. Ma la legge alla Camera è più ampia e vuole assicurare anche lo sviluppo sostenibile di queste infrastrutture. Incentiva l’uso di aree industriali dismesse, ex centrali per il carbone. I datacenter possono essere anche un’opportunità per rigenerare alcune aree, come valuta anche Bcg. «Ci sono progetti per recuperare le miniere del Sulcis in Sardegna, fabbriche chiuse in Piemonte, Puglia. Un progetto a Rozzano (Milano) prevede il recupero del calore per impianti di teleriscaldamento», dice Scerrato. Bcg nota anche che i datacenter spingono la digitalizzazione di industrie e Pa, con vantaggi più generali per il sistema Paese. Se l’Italia riuscirà a coglierli e a evitare eventuali ricadute negative esterne, è tutto un altro discorso.
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