Sostenibilità
10 luglio, 2025In crescita gli investimenti a impatto privati in Europa con un volume in asset non quotati che ha raggiunto i 190 miliardi di euro. “Il vero passo è far capire che può diventare un’opportunità di sviluppo”, dice Stefano Granata, presidente di Sia
«Si può dire che oggi la finanza a impatto abbia sfondato il muro? No, non si può». Bisogna ancora capire cosa fare dell’Impact Investing, quel tipo di investimento che mira a generare un effetto sociale e ambientale positivo, misurabile e compatibile con un rendimento economico. «Oggi il vero passo è far capire che può diventare una reale opportunità di sviluppo», spiega Stefano Granata, il nuovo presidente di Social Impact Agenda per l’Italia (Sia), network italiano della finanza a impatto.
Secondo il report “The Size of Impact” dell’European Impact Investing Consortium, di cui Sia è partner, quello degli investimenti a impatto privati in Europa è un mercato in crescita con investimenti in asset non quotati che, verso la fine del 2024, avevano raggiunto i 190 miliardi di euro, mentre la dimensione del mercato di quelli a impatto pubblico corrisponde a circa 40 miliardi. L’Impact Investing vuole essere il terreno d’incontro tra la filantropia e gli investimenti tradizionali e Sia un’associazione in grado di combinare sostenibilità economica e impatto sociale e ambientale positivo, riunendo istituzioni filantropiche, investitori, imprese sociali e market builder.
«Non si tratta di filantropia, perché si mira ad avere anche dei rendimenti, ma non è neanche finanza tradizionale, perché talvolta si è disposti ad accettare dei profitti un po' inferiori al mercato pur di ottenere un impatto sociale misurabile», spiega Mario Calderini, professore di Social Innovation al Politecnico di Milano. Ma per far sì che l’Impact Investing possa davvero prendere piede, secondo il neo presidente, servono azioni concrete. La presidenza di Granata, per sua stessa ammissione, vuole essere in continuità con quella di Giovanna Melandri, che lo ha preceduto: «Il fatto stesso che lei sia stata eletta come presidente onorario ne è una garanzia», spiega. Ma in alcuni aspetti serve discontinuità: «Bisogna muovere una domanda, bisogna un po' svegliarla, attivare azioni concrete». È evidente - continua - che servono dei piani industriali significativi che facciano da traino: «Mi piacerebbe avviare un paio di progettazioni importanti che fungano da trascinamento per tutto il mondo dell'imprenditoria sociale, quindi sollevare quella domanda e interessare maggiormente anche il mondo della finanza».
In Italia, però, «l'attenzione politica di fatto è stata nulla», spiega Calderini: il grande successo dell’Impact Investing nel Paese - così come in Europa - è stato, semmai, quello di riuscire a contaminare virtuosamente la finanza Esg e quella tradizionale. «A differenza di altri Paesi europei dove, per esempio, si diffondevano strumenti di partenariato pubblico-privati basati sulla finanza d'impatto, come i social impact bonds, nel nostro Paese non sono stati portati avanti espedienti simili». Social Impact Agenda si vuole impegnare, adesso, proprio sul fronte dell’advocacy politica: «Le risorse pubbliche da sole non sono e non saranno sufficienti, serve l'innesto di risorse private orientate alla valutazione d'impatto», spiega Granata.
«Quando, nel 2009, si è iniziato a pensare all’Impact Investing in Europa, ci fu una famosa “profezia” del Monitor Institute secondo la quale la finanza a impatto aveva due possibili destini. Uno era quello di diventare molto pura, capace di fare cose realmente orientate alla trasformazione sociale e ambientale, ma molto piccola, fino al punto di essere irrilevante. L’altro, quello di diventare molto più grande, ma talmente diluita e poco integra da essere altrettanto irrilevante», spiega il professore. «In Italia sono successe un po' tutte e due le cose». Nonostante l’attuale clima geopolitico mondiale ed europeo, in cui la sostenibilità - uno degli stendardi della prima presidenza di Ursula von der Leyen, di cui il Green Deal è stato il simbolo - sembra aver ceduto il passo alla competitività, i temi sociali e ambientali restano una solida base delle politiche comunitarie: «È evidente che la trasformazione ecologica è inarrestabile. Si può rallentare, ci si può investire di meno, ma comunque non si può fermare. Per non menzionare quella sociale», afferma Granata. Per questo parlare di sostenibilità ha ancora senso e, anzi, è inevitabile farlo, soprattutto in un Paese come l'Italia, ormai entrato in un inverno demografico.
Un elemento da non sottovalutare, visto che ne consegue che assistenza e servizi saranno sempre più necessari nel suo sistema di welfare: «Se nel 2050 la metà della popolazione non sarà produttiva, è evidente che abbiamo bisogno di strutture. In questo contesto, la risorsa pubblica da sola non sarà sufficiente a trovare risposte. Un'integrazione con la finanza d'impatto potrebbe essere una delle soluzioni. Ciò non vuol dire che debba essere antagonista al pubblico, anzi: ci possono essere grosse linee di collaborazione». Con la guerra ai confini dell’Europa e il traballante ombrello statunitense, Sia vuole porsi come un antidoto possibile anche nei confronti della corsa al riarmo: «La sostenibilità non passa dagli armamenti. Ambientale o sociale che sia, non può essere funzionale alla creazione di droni, servano essi a offendere o a difendere». Per il presidente di Sia, la priorità è chiara: «Sostenibilità ambientale e sociale sono sullo stesso piano, ma in questo momento, se proprio dovessi posizionarli, metterei prima quella sociale. Perché se noi imponessimo una trasformazione ambientale che non è accessibile o che è solo per pochi, è evidente che finirebbe col non arrivare proprio».
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