Televisione
17 ottobre, 2025Quel che è accaduto al giornalista di Report ci deve toccare da vicino perché quella macchina esplosa è anche la nostra macchina. Che accendiamo ogni volta che prendiamo in mano un telecomando, nella speranza di conoscere qualcosa di più del mondo che ci circonda
Daphne Caruana Galizia era una giornalista, nota per le sue inchieste sulla corruzione e la criminalità finanziaria. È stata uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017 di fronte alla sua casa di Bidnija, nel nord dell’isola di Malta. Nella sera del 16 ottobre 2025, un ordigno viene fatto esplodere sotto la macchina di Sigfrido Ranucci, noto per le sue inchieste del suo programma Report, su corruzione e criminalità. Stesso giorno, stesso mestiere.
Sicuramente una coincidenza, ma un pensiero seppur a margine, non può che affacciarsi.
Che l’informazione sia un cardine della struttura stessa della democrazia, motore immobile e dovere principe per chi mette le mani su questo mestiere antico è ormai un fatto.
Ma in questa democrazia in cui per arrivare al nodo delle cose bisogna sudare, scontrarsi contro i muri e continuare a sbatterci con forza sino a crearne una crepa sottile, esistono anche i diritti, non solo i doveri. E per i cittadini l’informazione è un diritto. Primario. Donne e uomini che navigano tra gli eventi senza barra che li tenga dritti possono e devono contare sul faro democratico del giornalismo. Che scava e scava e non si ferma, nonostante le unghie spezzate, le mani esauste, le teste stanche.
Quel che è accaduto a Sigfrido Ranucci ci tocca da vicino perché quella macchina esplosa che ha minacciato l’incolumità sua, di sua figlia e di chiunque si fosse trovato a passare, è la nostra macchina. Che accendiamo ogni volta che prendiamo in mano un telecomando, nella speranza di conoscere qualcosa di più del mondo che ci circonda. Ogni volta che prendiamo un giornale, guardiamo un telefono, tendiamo un orecchio, abbiamo la necessità vitale di essere nutriti da un accrescimento comune, firmato da chi è disposto a rischiare per tutti noi.
Ora comincia il tempo delle scuse, della solidarietà casuale e fittizia. Il tempo dei se e soprattutto dei “ma”. «Solidarietà a Ranucci “ma” anche a Kirk». «Informazione libera, ma» E via, coi condizionali, i poteri ipotetici, che provano a mitigare l’attacco continuo al giornalismo, fatto di querele temerarie, intimidazioni, licenziamenti per chi ha parlato troppo, insinuazioni sottili contro un programma, una persona, no io con te ci parlo, se lo scrivi ti querelo, e poi ti tolgo piano piano denari, poteri, redattori, meglio qualche bastone tra le ruote e poi vediamo.
Invece oggi dopo quelle due esplosioni su cui indaga l’Antimafia, è il tempo in cui bisogna pretendere che l’unica esplosione che si merita uno Stato che si ostina a dirsi civile è quella del deflagrante diritto di sapere, del diritto, vitale, alla libertà.
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